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Famiglia e comunità.

Più vado avanti e più prendo atto che la dimensione della famiglia borghese (sia nella sua versione più antica e tradizionale – quella patriarcale – sia in quella più moderna e recente – la famiglia nucleare) mi sta stretta, non corrisponde più alle mie aspirazioni più profonde, ammesso che vi abbia mai corrisposto.

La mia dimensione ideale, quella nella quale oggi mi riconosco di più e che mi esprimerebbe appieno, è la dimensione della comunità.

Un luogo (spirituale prima che materiale) nel quale più persone fanno vita comune, auspicabilmente anche di convivenza, non perché vincolate da un legame di sangue e meno che mai da un contratto giuridico, ma perché condividono valori, interessi, affetti, emozioni, sentimenti, amori, desideri, aspirazioni.

L’idea della “comune”, che affascinò i giovani del ’68, alcuni dei quali provarono anche a metterla in pratica, purtroppo con durate quasi sempre brevi e con esiti spesso fallimentari, continua ad affascinare ed attirare un uomo come me, che di quella generazione sono parte, anche ora che sono diventato anziano, per non dire vecchio.

So benissimo che, anche per la maggioranza di coloro (pochi) che mi stanno leggendo, questa è solo un’utopia, del tutto irrealizzabile.

Ma cosa saremmo noi umani senza utopie? Come faremmo a camminare, ad andare avanti, ad andare oltre il semplice “qui e ora”?

© Giovanni Lamagna

Che cosa è e cosa dovrebbe e potrebbe essere un rapporto sessuale

Che cosa è (per i più) e che cosa dovrebbe e potrebbe essere (per me) un rapporto sessuale?

La mia impressione è che per molte persone, se non per la maggioranza delle persone, il rapporto sessuale sia poco più che uno sfregamento reciproco dei loro corpi: gesto meccanico, ripetitivo, sempre uguale a se stesso, monotono, per cui, alla lunga, perfino noioso.

Oppure il semplice (e triste) soddisfacimento di un bisogno fisiologico (prevalentemente autoerotico e ben poco condiviso), dovuto ad un periodico aumento di pressione ormonale. Nel corso e al termine del quale si prova un modesto e non proprio entusiasmante piacere.

Nel migliore dei casi, un’occasione, un momento di conferma e rassicurazione affettiva reciproche delle due persone in rapporto. Qualcosa, insomma, che attiene più alla sfera emotiva, sentimentale ed affettiva, che a quella specificamente corporea dell’erotismo, della libido, in senso stretto.

Non c’è da meravigliarsi, dunque, che per la maggior parte degli individui la vita sessuale risulti (alla lunga, una volta esauritasi – ammesso che ci sia mai stata – la breve fase iniziale della passione e dell’entusiasmo) ben poco gratificante, se non del tutto insoddisfacente.

E che, soprattutto ad una certa età, arrivi ad occupare un posto tutto sommato poco o per nulla significativo nella “economia” del loro benessere esistenziale: fisico, emotivo, intellettuale, spirituale in senso lato.

La vita sessuale delle persone, invece, almeno a mio avviso, potrebbe essere molto diversa, molto più soddisfacente, se solo si avesse un poco di consapevolezza in più delle sue enormi potenzialità.

E, soprattutto, se si fosse disposti a liberarsi dei tanti tabù (un misto di paure e di pregiudizi) che ancora oggi l’affliggono, nonostante l’apparente liberazione che essa sembra avere avuto soprattutto negli ultimi 50/60 anni.

Cosa potrebbe (e, a mio avviso, cosa dovrebbe) essere, dunque, un rapporto sessuale?

1.Dovrebbe essere innanzitutto un atto di conoscenza, di vera conoscenza, dell’altra/o.

A questo proposito mi colpisce il fatto che nella Bibbia il verbo “conoscere” venga utilizzato più di una volta per indicare il rapporto carnale, ovverossia il rapporto sessuale.

Viene utilizzato per la prima volta in Genesi 4, 1: “Or Adamo conobbe Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino…”. E viene utilizzato poi in Matteo 1, 25: “Giuseppe non conobbe Maria finché ella generò un figlio ed egli lo chiamò Gesù”.

Ora può anche darsi che tale uso fosse dovuto alla pruderie, che impedisce di chiamare una cosa (specie se riguarda il sesso) col suo nome proprio. Anzi è senz’altro così.

E però colpisce (almeno a me colpisce) il fatto che il verbo usato nella Bibbia in alternativa all’espressione “rapporto sessuale” sia proprio quello di “conoscere”. In fondo poteva anche essere usato un altro verbo.

A me piace pensare allora che l’uso di questo termine in qualche modo avvalori (quasi conferma di natura antropologica, visto il suo uso così antico presso la cultura ebraica) la mia tesi che l’atto sessuale è (o almeno potrebbe essere) un vero e proprio atto di conoscenza.

Conoscenza non solo perché nell’atto sessuale si vengono a conoscere parti del corpo dell’altro/a che normalmente non si conoscono, anzi manco si vedono, perché sono coperte, a causa del comune senso del pudore: questa sarebbe una spiegazione piuttosto banale e restrittiva dell’uso del termine.

Bensì conoscenza soprattutto perché l’atto sessuale offre la possibilità di conoscere l’altro/a in una molteplicità di dimensioni, che non si fermano alle sole “parti intime” del corpo (quelle che una volta venivano anche definite “pudenda”, cioè “parti di cui vergognarsi”), ma includono anche (e, forse, soprattutto) le emozioni, i sentimenti, i desideri, le fantasie…, ovverossia il complesso mondo della libido dell’altro/a.

Conoscenza, quindi, che non si ferma, non può concludersi al primo rapporto sessuale. Ma ha bisogno di approfondirsi, crescere, con il ripetersi, il reiterarsi dei rapporti sessuali.

Per cui ogni nuovo rapporto sessuale può essere diverso da quelli che lo hanno preceduto. Quindi non un atto meccanico, stancamente ripetitivo e routinario, come purtroppo è (o prima poi diventa) nella maggioranza dei casi. Ma un atto sempre nuovo, che aggiunge ulteriori tasselli alla conoscenza libidica dell’altro/a, che è potenzialmente infinita, inesauribile.

E sfuggire così al malinconico destino che hanno le storie della maggior parte dei rapporti sessuali: monotonia, stanchezza, noia, rinuncia. Tanto da essere stato definito addirittura (e, secondo me, non a caso) con l’espressione triste di “dovere coniugale”, una delle clausole su cui si fonda il contratto giuridico del matrimonio.

2. In secondo luogo l’atto sessuale dovrebbe e potrebbe essere la situazione esistenziale nella quale si realizza (forse) nella maniera più appagante possibile il bisogno, l’esigenza di trascendenza che sono insiti in ogni esistenza umana.

Gli uomini, infatti, al contrario delle cose, delle piante e degli altri animali, non sono chiamati a “stare” semplicemente in questo mondo; ma sono chiamati ad “esistere”, che è qualcosa di diverso dallo “stare”; perché è uno “stare” che si proietta continuamente fuori, oltre (perciò “esistere”; da “ex”: fuori + “sistere”: “porsi, stare”: “uscire, levarsi”).

Un andare oltre, un uscire da sé, che non presuppone però un mondo altro, oltre questo mondo, perciò meta-fisico; ma un andare oltre per ritrovare sempre nuovi mondi all’interno di questo mondo, un uscire da sé per trovare sempre nuove dimensioni di sé; non certo per allontanarsi, alienarsi da sé.

Da questo punto di vista ogni atto sessuale dovrebbe (e potrebbe) essere un atto di trasgressione, nel senso letterale del termine, dell’ “andare oltre” (“trans” + “ire”).

Non tanto (o non solo) nel senso di trasgredire le norme del comune senso del pudore, ma nel senso di sfidare e superare continuamente le proprie paure, le proprie vergogne, le proprie ritrosie, i propri tabù, confrontandosi in continuazione con i lati e gli aspetti più scabrosi e perturbanti (perché ancora sconosciuti e, quindi, misteriosi) di sé.

3. In terzo luogo, infine, l’atto sessuale, se si realizzasse nelle forme che ho provato a descrivere fin qui, potrebbe essere o diventare una vera e propria esperienza mistica. Come ci insegna una delle più importanti tradizioni orientali: quella tantrica.

Se per mistica intendiamo un’esperienza del tutto laica, che non ha niente a che fare con le religioni tradizionali e con la realtà di un Dio trascendente.

Se per mistica intendiamo l’esperienza della unione il più possibile intima e completa con il Tutto, con l’Universo mondo che ci circonda.

Se per esperienza mistica intendiamo il superamento (almeno spirituale) dei nostri confini per raggiungere il massimo di integrazione e di unione possibili con l’Altro.

L’Altro inteso non solo come la persona con la quale compiamo l’atto sessuale, ma l’Altro come il Tutto cosmico, di cui l’altro psicofisico con cui facciamo l’amore è “solo” la porta d’accesso, anche se necessaria, anzi indispensabile.

In questa esperienza (al contrario delle esperienze mistiche comunemente intese, nelle quali la maggior parte di esse vengono normalmente mortificate) entrano in gioco tutte le facoltà umane, a cominciare da quelle corporee, sensitive, a quelle emozionali, sentimentali ed affettive, per finire a quelle razionali e intellettive.

In un’armonia e in una sintesi, che in poche altre situazioni è possibile raggiungere, almeno a così alti livelli di intensità, di piacere e di gioia psicofisici.

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E mi fermo qui. Nella consapevolezza, però, che il discorso potrebbe continuare ed essere ulteriormente approfondito.

Anche se mi pare che quello fatto fin qui basti e avanzi per dare un’idea, per quanto solo iniziale e molto parziale, di quante grandissime potenzialità contenga l’esperienza sessuale umana.

E di come la maggior parte di noi si accontenti, invece, di sperimentarne solo una minima parte, rinunciando così alle enormi gratificazioni – fisiche, emotive, intellettuali e spirituali – che essa potrebbe donarci.

Offrendo indubbi argomenti alla famosa (ma per me non convincente) tesi lacaniana della “impossibilità del rapporto sessuale”.

© Giovanni Lamagna