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Bianco o nero?

La felicità, la gioia, il piacere, perfino il buonumore non sono l’esatta antitesi del dolore, della sofferenza, del lutto, della malattia.

Ci sono situazioni in cui essi si alternano a breve distanza di tempo o sono addirittura misteriosamente compresenti.

La vita non è fatta solo di bianco o di nero, ma è un impasto strano, a volte inspiegabile, assurdo, di opposti, apparentemente inconciliabili.

© Giovanni Lamagna

Scrivere e parlare.

La maggior parte degli uomini ha difficoltà a mettere nero su bianco, cioè a scrivere.

Molto di più che a parlare.

E non credo soltanto perché scrivere è più faticoso che parlare.

Ma anche (e forse soprattutto) perché lo scritto impegna di più che il parlato.

Sia con sé stessi che con gli altri.

“Verba volant, scripta manent”.

© Giovanni Lamagna

Non mi piacciono i tiepidi.

Gramsci diceva: “Odio gli indifferenti.”

Io dico: “Non mi piacciono i tiepidi.”

Gli uomini delle mezze misure, quelli che non fanno mai scelte nette, ma stanno sempre un po’ da una parte e un po’ dall’altra.

Non perché io pensi che il mondo sia fatto solo di bianco e di nero e che non esistano i chiaroscuri.

Ma perché penso che ciascuno di noi sia chiamato a realizzare un compito; il suo compito; a seguire il suo daimon, ovverossia la sua vocazione particolare.

E questa chiamata esige sempre una qualche radicalità, non mezze misure.

Qui mi sovviene l’episodio riportato nei tre Vangeli sinottici; io cito quello raccontato da Matteo (19; 16 – 22):

Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?».

Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti».

Ed egli chiese: «Quali?».

Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso».

Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?».

Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi».

Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.”

Questo racconto per me è estremamente esemplificativo della tesi che ho sostenuto in premessa.

C’è una vocazione che è comune a tutti gli uomini: quella di seguire le norme della morale, quelle che rendono civile la convivenza tra gli umani, quelle che hanno istituito il “contratto sociale”.

Queste norme non esigono una particolare virtù; non distinguono cioè un uomo dall’altro uomo.

Tutt’al più lo distinguono dal “degenere”, da colui cioè che è uscito fuori dal “genere”, che non rispetta le norme “generali”, che fanno un “genere”; in questo caso il genere animale.

Ed esiste poi una vocazione particolare, che è singolare e non “generale”; una vocazione che è propria di ciascuna persona e non di altre.

Il giovane ricco ebbe – come ogni uomo – questa chiamata, ma non la seguì; perché era attratto anche da altre cose (nel suo caso dalle molte ricchezze che possedeva).

Il suo cuore era diviso; da un lato era attratto dalla figura del Cristo; dall’altro era trattenuto dal suo status sociale.

Fu incapace di compiere la scelta radicale, progressiva, evolutiva, a cui lo chiamava Gesù, e fece una scelta altrettanto radicale, ma regressiva, involutiva, che obbediva solo ad una parte di sé, alla parte più gretta e meschina, quella che lo legava alle cose, che lo rendeva prigioniero delle sue (false) sicurezze e gli impedì di spiccare il volo, di perseguire la “perfezione”.

Ovverossia la realizzazione del suo essere persona, che non si riduce (per nessun uomo può ridursi) al possesso di cose, ma sottende una crescita spirituale e, quindi, inevitabilmente un distacco, una separazione dalle cose materiali, che danno indubbiamente sicurezze (quanto solide?), ma tolgono libertà e, quindi, non sono in grado di assicurare la gioia.

E, infatti, il giovane ricco se ne andò triste; la scelta da lui compiuta, quella della mediocrità, non poteva dargli gioia.

Ed è questo, a mio avviso, il destino degli uomini mediocri, che non fanno mai scelte radicali, ma preferiscono restare nel mezzo, un po’ da una parte e un po’ dall’altra.

Magari sono anche brave persone, ma non persone che mirano a quella che Gesù chiama la “perfezione”.

Che non consiste, a mio avviso, nel diventare “santi”, cioè senza macchie e senza difetti, ma nel perseguire il più possibile la propria compiutezza, il proprio essere persone del tutto singolari e uniche: diverse da tutte le altre.

© Giovanni Lamagna

Bianco o nero?

Più invecchio e più divento consapevole che il mondo non è o del tutto bianco o del tutto nero.

E che gli uomini non possono essere divisi nettamente in buoni da una parte e cattivi dall’altra.

Il mondo è fatto di chiaroscuri e gli uomini (tutti gli uomini) hanno in sé una parte buona e una cattiva.

Questa consapevolezza ci dà la possibilità di riconoscere ciò che di buono c’è in ogni essere umano e la porzione (anche se piccolissima) di giusto e di vero che c’è in ogni idea, per quanto da noi avversata.

© Giovanni Lamagna