Archivi Blog

Le tre fasi (possibili) della storia e della vita sessuale di noi umani.

Penso che la storia e la vita sessuale di noi esseri umani possa (o, meglio, dovrebbe) essere marcata da tre fasi, con caratteristiche molto diverse tra di loro.

La prima è quella che va dagli inizi dell’adolescenza fino ai limiti più avanzati della giovinezza. Di solito oggi questa fase si prolunga anche fino ai 25/30 anni.

E’ questa la fase della prima conoscenza e della progressiva esplorazione della propria sessualità e di quella dei partner che via, via si incontrano sul proprio percorso.

Questa fase è di solito caratterizzata (ed è bene che sia così) da una molteplicità di esperienze e di incontri, sia nel numero che nella qualità.

Andrebbe vissuta senza troppe inibizioni; anzi lasciando andare sempre più le inibizioni, per conoscere sempre meglio i propri gusti e le proprie preferenze nella scelta dei partner sessuali.

La seconda fase (quella che comincia, dunque, attorno ai 25/30 anni) la definirei della monogamia, se non proprio totale ed assoluta, quantomeno tendenziale e di base.

E, quindi, dalla esperienza della famiglia nucleare, formalizzata o meno, comunque caratterizzata dall’incontro con un/a partner oramai stabile, di cui ci si è innamorati profondamente, con cui si è disposti a condividere buona parte della propria vita (casa, interessi, svaghi…) e con il/la quale si decide di avere anche dei figli.

Questa fase sarebbe bene (quantomeno auspicabile) durasse almeno fino a quando i figli diventano persone adulte, cioè autonome, in grado di camminare psicologicamente da soli, sulle proprie gambe.

Quindi almeno per una ventina di anni, cioè fino ai 50 anni (poco meno o poco più) dei partner della coppia che ha messo su famiglia.

A questo punto può (o, meglio, potrebbe a mio avviso: non vedo controindicazioni in tal senso) iniziare una terza fase della vita sessuale di una persona: quella che non avrei esitazione a definire poligamica oppure della coppia aperta o, addirittura, in alcuni casi particolarmente fortunati, della “comune”.

I due partner hanno vissuto fino a questo momento un rapporto (più o meno) esclusivo o (quantomeno) privilegiato ed hanno convissuto in una famiglia nucleare per più o meno 20/25 anni.

Hanno (se li hanno avuti), figli oramai abbastanza cresciuti ed autonomi. Che non dipendono quindi più dal loro accudimento psicologico e, in alcuni casi, nemmeno dal loro sostegno economico.

Si trovano in un’età indubbiamente matura (certo, a 50/55 anni non si è più giovani!), ma sono ancora pienamente vitali e, in molti casi, ancora carichi di energia fisica e sessuale, libidica in senso lato.

E’ vero, la potenza sessuale a 50/55 anni ed oltre non è più la stessa che a 20 o 30 o 40 anni. Ma la minore prestanza fisica e ormonale viene (può essere) ampiamente compensata dalla maggiore esperienza erotica e, soprattutto, dalla maggiore libertà mentale e sociale, che di solito si raggiungono a questa età.

I partner della coppia monogamica, compagni più o meno esclusivi di un buon pezzo di vita, dovrebbero, allora, in questa terza fase, poter aprire (anzi, a mio avviso, sarebbe bene lo facessero) la loro coppia e intrecciare il loro rapporto con una molteplicità di altri rapporti erotici, le cosiddette “amicizie erotiche”.

La loro relazione, a questo punto, si trasformerebbe radicalmente: non sarebbe più di natura esclusiva e monogamica, ma entrerebbe a far parte di una rete di molteplici legami amorosi.

Ne guadagnerebbe in questo caso la stessa vitalità e freschezza del loro rapporto, che a questa età di solito tendono (quasi fatalmente) ad appannarsi, se non a esaurirsi del tutto.

L’adrenalina di una sana (perché ben accettata da entrambi) “competizione” potrebbe, infatti, rinnovare un desiderio che, con la routine e “il dato per scontato”, tende quasi inevitabilmente a venir meno, fino a spegnersi completamente.

A voler coltivare un po’ di utopia, la convivenza comunitaria (tipo “comune”) di persone legate da amicizie erotiche intrecciate, laddove si riuscisse a metterla su, sarebbe a questo punto (o, meglio, potrebbe essere) la massima e migliore espressione organizzativa possibile di questa terza fase della sessualità umana.

Cosa che – ne sono perfettamente consapevole – non è niente affatto facile da realizzare: ci sarebbe una quantità enorme di pregiudizi, sia individuali che collettivi, tra l’altro molto ben stratificati storicamente, da superare.

E però è anche vero che l’uomo, sia nella sua espressione singolare che in quella plurale (l’Umanità), non è fatto per rimanere uguale a se stesso. Quindi non è vietato (né tantomeno sbagliato) immaginare un altro futuro possibile.

Se la maternità e la paternità sono dati certi, legati alla natura, non altrettanto si può dire per la famiglia, sia quella classica patriarcale (oramai già da tempo superata, almeno nelle società industriali e postindustriali avanzate) sia quella nucleare più moderna.

E’ vero che ancora oggi la maggior parte dei sociologi, degli psicologi, dei politici e degli uomini di religione si affannano ad affermare che la famiglia è la (indispensabile e insostituibile) cellula base della società, secondo la classica formula della morale cattolica.

Ma chi ci dice che questo dato storico debba persistere anche in futuro e che non possa, invece, venir meno in un avvenire più o meno prossimo?

E’ del tutto da escludere che, accanto a forme classiche di famiglia, possano costituirsi altri nuclei associativi primari, da considerare anche essi cellule base della convivenza sociale più allargata?

Cosa vi osta, se non la nostra pigrizia emotiva, affettiva ed intellettuale, compresa quella di molti insigni maitre a penser?

© Giovanni Lamagna

Vivere in comunione costante con l’eros.

Vivere in comunione costante con l’eros è, a mio avviso, uno dei due modi privilegiati di stare in contatto con se stessi.

L’altro modo è (come ho avuto modo di argomentare in una precedente riflessione) quello di vivere in presenza costante con l’idea o, meglio, con l’esperienza stessa della morte.

Entrambi possono, quindi, misurare i livelli di consapevolezza tout court di una persona.

Ma cosa vuol dire per me “vivere in comunione con l’eros”?

Non certo – chiariamolo subito – fare all’amore dalla mattina alla sera.

E neanche desiderare di farlo continuamente, quasi compulsivamente.

Non si può, infatti, come è ovvio, fare all’amore sempre, ogni volta che lo vogliamo, o di continuo!

Anche se – sia detto per inciso – in certi giorni è bello poterlo fare in maniera del tutto rilassata, concedendosi tutto il tempo che si desidera, come se non si avesse null’altro da fare, come se il mondo si fermasse e l’unica occupazione a noi richiesta in quel momento  fosse quella e solo quella.

Non è giusto (e neanche possibile) avere in testa una sola idea fissa: quella del sesso.

La nostra vita è, infatti, impegnata (e per fortuna!) in tante cose, tanti aspetti, che non si possono certo trascurare perché presi da una specie di monomania, come sarebbe quella di pensare al sesso e di volerlo fare (o, almeno, desiderare di farlo) dalla mattina alla sera.

D’altra parte, poi, l’eros – anche questo va chiarito bene- non è il sesso. O, meglio, l’eros ha a che fare col sesso, ma non si riduce ad esso. Non va confuso o identificato con esso.

L’eros è un’energia, altrimenti chiamata libido, una spinta vitale complessa, che si esprime nella sua forma più semplice ed elementare, potremmo quindi anche dire primaria, nell’atto sessuale. Ma non si esaurisce con l’atto sessuale.

E’ un’energia che sarebbe innaturale non esprimere di tanto in tanto anche nell’atto sessuale (almeno fin quando se ne ha il desiderio e si ha la prestanza fisica per realizzarlo), ma non necessariamente ha bisogno per esprimersi dell’atto sessuale.

L’eros è anche, anzi soprattutto, un’energia necessaria, indispensabile, per una sana e felice vita interiore.

E’ un’energia, quindi, con la quale sarebbe necessario stare in contatto, in comunione continui, anche quando non si fa materialmente sesso.

L’eros allora è (o, meglio, può essere) una forma di sottile e costante eccitazione, effetto dell’adrenalina, più o meno intensa, che muove le nostre azioni (dalle più semplici alle più complesse) e dà loro energia, forza, gioia, entusiasmo, vitalità, creatività.

Si esprime, quindi, anche nel lavoro, nelle relazioni affettive, nella cura che dedichiamo agli altri, nell’arte, nelle attività intellettuali, nel gioco, negli svaghi…

Insomma in tutte quelle attività nelle quali normalmente sublimiamo il nostro desiderio sessuale.

Sublimare, però, non significa rimuovere, scartare. Quasi come se avessimo paura o, peggio, ripugnanza del nostro desiderio sessuale. Significa semplicemente dargli (momentaneamente) altre forme espressive. Per poi tornare a viverselo, allo stato puro, appena il tempo e le occasioni concrete ce lo consentiranno.

L’eros, insomma, potremmo anche dire, è un po’ quello che per i mistici è Dio.

I mistici sono coloro che stanno in comunione perenne col loro Dio. O, almeno, ci provano, si danno da fare per starci. Non solo quando pregano o quando stanno in meditazione. Ma sempre. Anche quando compiono le azioni più semplici ed umili. Come, ad esempio, fare la spesa o cucinare, passeggiare o conversare con qualcuno.

E’ questo quello che distingue un mistico da un normale uomo di fede, frequentatore di templi o partecipe di rituali religiosi.

La persona erotica è quella che, come i mistici con il loro Dio, sta in contatto continuo con l’eros, con la sua libido, ne tiene costantemente accesa e ardente dentro di sé la fiammella.

E come il rapporto con Dio per il mistico non si esaurisce nei momenti di preghiera e di meditazione, ma è un rapporto continuo, così il rapporto con Eros per la persona erotica non si esaurisce nei momenti in cui fa sesso, ma è un rapporto continuo.

Tutti gli esseri umani posseggono la loro quota di libido. Così come tutti (o quasi tutti) posseggono due gambe, due braccia, due mani…

Tutti gli esseri umani, dunque, sono in qualche modo in contatto con l’eros. Ma non tutti lo sono allo stesso modo.

Così come tutti gli esseri umani posseggono due gambe e due braccia, ma non tutti sono in grado di correre o lanciare un giavellotto allo stesso modo.

Ci sono coloro che curano e coltivano il contatto con l’eros, così come gli atleti si allenano nella corsa o nel lancio del giavellotto. Queste sono le persone erotiche.

E coloro che si accontentano di fare ogni tanto sesso, ma non curano e coltivano il contatto con il loro eros. Costoro non hanno nulla di erotico.

Non è facile per la persona erotica mantenersi in unione costante e continua con Eros. La cosa richiede esercizio, cura, impegno, concentrazione, disciplina.

Le stesse qualità (guarda caso!) che sono richieste al mistico per mantenersi in unione costante e continua con il suo Dio. E all’atleta per mantenersi nella forma fisica giusta per affrontare le gare.

Giovanni Lamagna