Archivi Blog

Il contemplativo e la sapienza.

Non c’è forse frase più bella per definire l’atteggiamento interiore del contemplativo che questa: “Maria serbava in sé tutte queste cose, meditandole in cuor suo.” (Luca 2; 19).

Il contemplativo è, infatti, uno che, in un certo momento della sua vita, ha ricevuto una rivelazione e la custodisce poi in cuor suo, come un tesoro, meditandoci sopra.

E da quella prima illuminazione (custodita, coltivata e meditata) ne sgorgano, ne zampillano poi, come da una sorgente continua, cento, mille altre, cui fanno seguito pensieri e parole di sapienza.

© Giovanni Lamagna

Ci sono persone che hanno trovato e altre che non hanno manco cercato.

Ci sono persone (purtroppo, poche!) che hanno trovato (perché l’hanno cercato) dentro di sé un luogo, una sorgente, dalla quale zampilla continuamente il nuovo, l’originale, il mai visto prima.

Sono persone non necessariamente geniali, ma creative.

Ce ne sono poi altre (purtroppo, la maggioranza! almeno ad oggi) che questo luogo non l’hanno mai cercato e, quindi, non l’hanno mai trovato.

Sono le persone che vivono dell’heideggeriano “così si dice” e “così fan tutti”.

Che si accontentano del solito, del già noto, del déjà vu, della routine.

Che, quindi, non sanno manco cosa sia o dove stia di casa la creatività.

© Giovanni Lamagna

Tre pensieri intorno al rapporto con l’Altro da sé.

Mi chiedo spesso cosa ci fa capire quando ci troviamo di fronte ad una persona che ha avviato (perlomeno avviato) un percorso spirituale e quando invece no.

Dato per scontato che ogni persona ha in sé il germe, il seme, quantomeno le potenzialità dell’attivazione di un tale percorso.

Ma dando altrettanto per scontato (sulla base di osservazioni di evidenza palmare) che non tutti poi germinano quel seme, realizzano concretamente e di fatto questo potenziale.

A mio avviso, uno dei segni inequivocabili, anzi il principale, che una persona si è avviata su un percorso spirituale è il contatto che essa ha con il proprio Altro da sé.

E questo contatto, chi la vede e la frequenta, lo sente, lo avverte, lo percepisce, in maniera più o meno evidente.

La persona spirituale si sente che parla con l’Altro da sé, prima di parlare con te, che vive ed agisce con l’Altro da sé, prima di agire e fare le cose con te.

Il colloquio interiore, più o meno intenso, più o meno costante, è il segno inequivocabile, inconfondibile che una persona vive una vita interiore, spirituale, oltre ovviamente a quella esteriore, sociale, che ci caratterizza tutti.

Il segno che ha attivato quel seme/germe/potenziale, che è, sicuramente, in ognuno di noi, ma che non tutti poi coltiviamo di fatto, dandogli la possibilità di germogliare all’esterno.

…………………………………………

Quando una persona salta il rapporto con l’Altro da sé per arrivare direttamente al rapporto con te non è affatto vero che ti vuole particolarmente bene, che privilegia il rapporto con te rispetto ad ogni altro rapporto.

E’ solo dipendente da te.

Ma la dipendenza da un altro non è affatto indice di amore vero e genuino verso l’altro.

Anzi è segno del contrario: è il segno che vuole prendere, succhiare da te, più che dare, donare ciò che ha in sé.

D’altra parte come potrebbe dare, se non ha? E come potrebbe avere, se non attinge ad una fonte che è “dentro di sé” e non “fuori di sé”?

………………………………………………………

La sorgente della vita, della vera vita, sta nel rapporto con l’Altro da sé.

Quando in noi non è scattato (o, perlomeno, non è scattato ancora) questo rapporto, viene a mancare in noi la linfa vitale.

Quella che è in grado di dare energia ad ogni altro aspetto della nostra esistenza: a quella intellettuale, a quella emotivo-affettiva e, per certi aspetti, persino a quella fisica.

Perché nel rapporto con l’altro da sé consiste propriamente la vita spirituale, che alimenta, io direi dà salute a tutte le altre dimensioni del nostro vivere quotidiano.

Senza vita spirituale queste dimensioni prima o poi inaridiscono, perdono vitalità, si ammalano, fino a morire.

Arrivo a dire che l’assenza o la carenza – debolezza di vita spirituale possono arrivare ad anticipare perfino la nostra morte fisica.

© Giovanni Lamagna