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Fedeltà e tradimenti.

La cosiddetta “fedeltà” nei rapporti di amore ha ben poco a che fare con il sesso; perlomeno col sesso effettivamente praticato.

Ci sono rapporti nei quali non c’è mai stato un tradimento fisico, sessuale, ma che sono pieni di tradimenti mentali, psicologici.

E ce ne sono altri, nei quali i due partner si concedono parecchie scappatelle sessuali, ma nei quali esiste una sostanziale fedeltà mentale, di anima.

I primi (tradimenti) sono molto più significativi e minano la solidità della coppia molto più dei secondi.

© Giovanni Lamagna

C’è un rapporto tra la nevrosi e una visione troppo angusta della vita.

Nel suo libro “Sogni, ricordi e riflessioni” Carl Gustav Jung così scrive:

Ho spesso visto persone diventare nevrotiche per essersi appagate di risposte inadeguate o sbagliate ai problemi della vita.

Cercano la posizione, il matrimonio, la reputazione, il successo esteriore o il denaro, e rimangono infelici e nevrotiche anche quando hanno ottenuto ciò che cercavano.

Persone del genere di solito sono confinate in un orizzonte spirituale troppo angusto.

La loro vita non ha un contenuto sufficiente, non ha significato.

Se riescono ad acquistare una personalità più ampia, generalmente la loro nevrosi scompare.

Per questo motivo ho sempre attribuito la massima importanza all’idea di sviluppo.

La maggior parte dei miei pazienti non consisteva di credenti, ma di persone che avevano perduto la fede.

Venivano da me le “pecorelle smarrite”.

Persino al giorno d’oggi il credente ha la possibilità, nella sua chiesa, di vivere i simboli.

Si pensi all’esperienza della messa, del battesimo, all’imitatio Christi e a molti altri aspetti della religione.

Ma vivere e sperimentare dei simboli presuppone una partecipazione vitale da parte del credente, e molto spesso oggi questa manca.

Nei nevrotici è praticamente sempre assente.

Trovo molto vera e profonda questa riflessione di Jung; tra l’altro molto coerente col suo pensiero, di cui uno dei cardini fondamentali è quello relativo al concetto di daimon.

Per Jung uno dei compiti fondamentali dell’essere umano è quello di corrispondere al suo “daimon”, cioè alla sua vocazione profonda.

Lacan, al posto di “daimon” e “vocazione”, usava la parola “desiderio”; ma credo volesse esprimere lo stesso concetto.

Se non corrisponde al suo daimon, alla sua vocazione, al suo desiderio, l’uomo è destinato fatalmente all’infelicità; o, quantomeno, alla insoddisfazione; e, quindi, alla nevrosi.

Questa riflessione di Jung – sia detto per inciso – si rifà molto chiaramente al concetto degli antichi Greci di “eudaimonia” (dal gr. εὐδαιμονία, der. di εὐδαίμων «felice», comp. di εὖ «bene» e δαίμων «demone; sorte»).

Che può essere inteso in un duplice senso: il primo (un po’ fatalistico) è quello di aver ricevuto in sorte un buon destino; il secondo (che responsabilizza di più l’uomo) è quello di obbedire al demone buono, cioè alla buona coscienza.

Nel primo significato di “daimon” è felice l’uomo che ha ricevuto in sorte una buona fortuna; nel secondo significato felice è l’uomo che si adopera per realizzare la sua vocazione.

Era questo secondo il significato che gli attribuiva Aristotele, per il quale sostanzialmente felicità e virtù erano sinonimi, la felicità era ottenibile perseguendo la virtù.

Jung, con la riflessione che ho riportato all’inizio, amplia, a mio avviso, ulteriormente il concetto di felicità e di benessere, così come lo aveva definito Aristotele.

La felicità e il benessere per Jung vengono raggiunti nella misura in cui il singolo individuo riconosce e persegue la sua particolare vocazione personale.

E questa per alcuni può consistere nel trovarsi semplicemente un lavoro che assicuri loro un reddito, nel formarsi una famiglia con una moglie o un marito e dei figli, nel procurarsi una rete adeguata di relazioni amicali e nell’avere una quantità sufficiente di beni e di agi materiali di cui godere.

Ma per altri queste quattro cose non bastano, rappresentano un orizzonte di vita troppo limitato; costoro hanno bisogno di altro; costoro hanno una vocazione che trascende i bisogni elementari materiali e psicologici che soddisfano (forse) la maggior parte delle persone e le fanno stare sufficientemente bene, in certi momenti (forse) addirittura li rendono felici.

E perciò, fino a quando non si sintonizzano con la loro vocazione particolare, diciamo pure spirituale, una vocazione che va al di là della dimensione puramente materiale e di quella psicoaffettiva, sono inquieti, insoddisfatti, inappagati, interiormente scissi, sono appunto “nevrotici”.

Nel momento in cui, invece, il loro spirito si amplia, trova un senso e un significato alla vita, che vada oltre le ragioni convenzionali e un po’ stereotipate che soddisfano i più, ecco che, come dice Jung, “la loro nevrosi scompare”.

Trovano pace e serenità, pure in mezzo alle tempeste che la vita ogni tanto pure loro riserva, imparano a godere di piccole ma anche grandi gioie, in certe fasi più o meno prolungate arrivano addirittura a sentirsi felici.

© Giovanni Lamagna