Archivi Blog

Obbedienza e disobbedienza alle leggi.

Una cosa è denunciare la quota di ingiustizia e di ipocrisia presente in molte leggi degli uomini, quando si propongono di reprimere tout court la pulsione, anziché limitarsi a controllarne e incanalarne l’energia.

In questi casi non solo “l’obbedienza non è più una virtù”, ma sono lecite, anzi sacrosante, l’obiezione di coscienza e, quindi, la disobbedienza, la ribellione alle leggi ingiuste o anche solo ipocrite.

Altra cosa è negare la funzione stessa della Legge, di qualsiasi legge, anche la più utile a regolare i rapporti tra gli uomini e limitare la libertà dei singoli per garantire la libertà (quella possibile e mai assoluta) di tutti.

In questi casi la disobbedienza non solo non è una virtù, ma è un vizio, che conduce (seppure conduce) al godimento; ma a un godimento mortifero e autodistruttivo, oltre che distruttivo delle relazioni sociali.

© Giovanni Lamagna

Possiamo fare a meno di una nostra visione del mondo?

Krishnamurti, nel suo libro “La quiete della mente” (Ubaldini, Editore; 2021), a pag. 100, così scrive: “… i sistemi non purificano la mente e non liberano il cuore dalle cose della mente.”

Per “sistema” egli intende “un metodo”, “un ideale”, “un credo”, una “fede”, “un particolare modello di attività”.

Cosa penso di una tale tesi?

Penso che – in linea teorica e di principio – Krishnamurti abbia ragione: i sistemi in qualche modo ci limitano, ci ingabbiano, ci condizionano.

Allo stesso tempo, però, ritengo che non possiamo fare a meno dei “sistemi”, cioè di una certa visione del mondo; non possiamo prescinderne.

D’altra parte, in fondo, lo stesso Krishnamurti porta avanti, propugna una sua particolare visione del mondo, quindi un suo sistema di vita.

E allora?

Credo che la parte di verità di quello che dice Krishnamurti stia in questo: ciascuno di noi non può fare a meno di avere un suo sistema di vita, una sua visione del mondo.

Non deve però chiudersi in questo sistema e diventarne prigioniero.

Il suo sistema deve rimanere aperto ai cambiamenti, sempre.

Deve essere disponibile ad evolvere, financo, se è il caso, a negare sé stesso.

La vita è, infatti, movimento.

Pertanto tutto ciò che contribuisce a fermarla, bloccarla (anche le cose che per un certo tempo e fino ad un certo momento ci hanno reso felici) è negativo, perché interrompe o, quantomeno, ostruisce il nostro flusso vitale.

Bisogna avere (è impossibile non averla) una propria visione del mondo; senza di essa deraglieremmo come un treno uscito fuori dai binari, oscilleremmo come una canna al vento.

Ma la nostra visione del mondo deve essere e restare sempre aperta, disponibile ad essere messa in discussione in qualsiasi momento.

© Giovanni Lamagna

Educarsi al pensiero razionale.

Educarsi al pensiero razionale è una forma di esercizio spirituale, nel senso che intende il filosofo francese Pierre Hadot.

Pensare razionalmente non significa (come alcuni ritengono) negare o reprimere le emozioni, i sentimenti.

Non significa neanche reprimere gli istinti.

Significa, però, tenerli sotto controllo, non lasciarli allo sbaraglio.

Significa elevarsi dall’Io puramente sensitivo ed emotivo all’Io razionale e consapevole, che non annulla o rimuove affatto, ma coordina e armonizza gli istinti, le emozioni e i sentimenti.

Evita che essi vadano l’uno contro l’altro armati, come spesso (purtroppo!) accade.

E in questo caso è nevrosi; quando non, addirittura, psicosi.

© Giovanni Lamagna

Giudizio e pregiudizio

Un pregiudizio è un ossimoro.

In realtà è un non-giudizio.

Perché il giudizio si fonda sulla raccolta dei dati e sulla loro analisi.

Sul discernimento, quindi.

Il pregiudizio, invece, si rifiuta di analizzare i dati di realtà a sua disposizione, prima di esprimere un giudizio.

Può arrivare addirittura a negare l’evidenza.

© Giovanni Lamagna