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“Filosofare è imparare a morire”
Il filosofo non fa che separare se stesso dalla vita che vive, osservarla come dal di fuori, metterla in qualche modo a distanza, per poterla analizzare, studiare.
Si allena così, quasi senza volerlo e forse senza neanche rendersene conto, a separarsi definitivamente da essa, cioè a morire.
Hanno quindi ragione Cicerone e con lui Montaigne ad affermare che “filosofare è imparare a morire” (Montaigne, “Saggi”; libro I, cap. XX).
© Giovanni Lamagna
Quale morte augurarsi?
La migliore sarebbe quella che arriva improvvisa, senza alcun preavviso, evitandoci lunghe e dolorose malattie con un’atroce agonia: una morte che ti stendesse in un breve istante, un attimo prima ci sei ed un attimo dopo non ci sei più.
Ma questo tipo di morte avviene purtroppo in rari casi e capita a pochi fortunati.
In alternativa non resta che augurarsi una morte almeno dignitosa.
Che avvenga, come dice Montaigne, “quietamente e senza strepito” (“Saggi”; libro I; cap. XX)
© Giovanni Lamagna
A cosa serve scrivere?
Sempre leggendo Montaigne (“Saggi”; Libro I; cap. VIII), annoto.
Lo scopo fondamentale della scrittura è quello di riordinare le idee.
La scrittura, infatti, le ferma e perciò stesso le stabilizza.
Molto più e molto meglio di quanto non possa e non riesca a fare la parola parlata.
© Giovanni Lamagna
Montaigne e Freud
Montaigne si rivela un fine psicologo ante litteram: ha, infatti, anticipato non poche intuizioni freudiane.
Il cap. IV del libro I dei suoi “Essays” così si intitola: “Come l’anima riversa le sue passioni su oggetti falsi quando i veri le vengono a mancare”.
Qui Montaigne anticipa chiaramente il meccanismo di difesa freudiano dello “spostamento”.
© Giovanni Lamagna
Emozioni, sentimenti, passioni, ragionamenti.
Riferendosi alla tristezza e alla gioia, Montaigne così scrive: “Tali violente passioni hanno poca presa su di me. Io ho sensibilità tarda per natura. E la corazzo e ispessisco ogni giorno col ragionamento” (“Saggi”; Libro I, capitolo II; pag. 13).
Su questa affermazione dissento profondamente da Montaigne.
Sono convinto, infatti, sulla scorta delle lezioni ricevute dalla psicoanalisi in genere e dalla bioenergetica in particolare, che le emozioni e i sentimenti non vadano mai repressi, ma debbano essere liberati e lasciati fluire.
La mente, coi suoi ragionamenti, li deve tutt’al più filtrare e incanalare, mai reprimere.
Altrimenti ristagnano e imputridiscono, facendo marcire con loro tutta l’anima, quindi anche la mente.
© Giovanni Lamagna
Una testa ben fatta e una testa ben piena.
17 gennaio 2016
Una testa ben fatta e una testa ben piena.
C’è, indubbiamente, un nesso tra “l’atto del leggere” e “l’esercizio del pensiero”. Il primo non potrebbe avvenire senza una qualche partecipazione del secondo. E in qualche modo e misura il secondo è certamente favorito dal primo.
Ma nesso e (potremmo aggiungere anche) interdipendenza non sono sinonimo di coincidenza o equivalenza.
Ci sono, infatti, persone che hanno letto e leggono molto, ma hanno pensato e pensano poco.
Sono quelle persone per le quali ciò che leggono non affonda nel loro pensiero, non scende in profondità, ma resta in superficie e talvolta scivola via nella dimenticanza più totale, tal altra resta come bagaglio nozionistico, che non diventa però carne della propria carne, sangue del proprio sangue, non si trasforma cioè in vita. Soprattutto non modifica, non trasforma, non migliora, non eleva la loro vita.
Al contrario, ci sono altre persone che hanno letto poco nella loro vita, ma hanno pensato molto e soprattutto vanno in profondità quando pensano.
Sono persone che leggono ed hanno letto poco, perché non ne hanno avuto e non ne hanno le possibilità economiche o perché svolgono attività lavorative che non lasciano loro molto tempo per leggere o, semplicemente, perché sono lente nella lettura, hanno bisogno di tempo per assimilare e meditare ciò che leggono. Ma che traggono tesoro da ciò che leggono, lo masticano e lo assimilano come se fosse cibo, che si trasforma in carne della loro carne e sangue del loro sangue. Che fanno di ogni lettura un incontro con l’autore del testo che leggono. E da quel testo si fanno trasformare o con esso si confrontano per dissentire e polemizzare (se è il caso).
Una persona di grande cultura è indubbiamente una persona che ha entrambe le caratteristiche: ha letto molto ed allo stesso tempo ha meditato molto. E’ una persona che è a conoscenza delle molte cose che altri prima di lei hanno pensato e scritto. In questo modo se non altro si evita di aprire porte che sono già state aperte da altri. Ma allo stesso tempo ha esercitato molto il pensiero critico. Ovverossia non ha accolto in maniera acritica le cose che ha letto, ma le ha filtrate alla luce del suo pensiero originale e creativo. Non le ha accumulate dentro di sé come se fossero altro da sé, ma le ha assimilate, elaborate, trasformate, ricreate, rese nuove ed originali.
Il desiderio di ognuno di noi dovrebbe essere quindi quello di leggere molto ed allo stesso tempo di pensare molto; soprattutto, di pensare bene.
Ma dovendo scegliere, essendo costretti a scegliere (in base a quello di cui siamo capaci e alle condizioni di vita in cui siamo messi), io credo sia meglio optare per la seconda qualità. Infatti, come diceva Montaigne e come ha ribadito di recente Edgar Morin, “è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”.
Giovanni Lamagna