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Sigmund Freud e la pulsione del genere umano a cercare la perfezione.

Nel suo libro del 1920 “Al di là del principio di piacere” (Biblioteca Boringhieri, 1975) Sigmund Freud, ad un certo punto, così scrive: “Prescindendo dalle pulsioni sessuali, è sicuro che non esistano altre pulsioni all’infuori di quelle che vogliono ripristinare uno stato precedente? Non ce ne sono altre che si sforzano di creare una situazione che non era mai stata raggiunta prima? Non conosco, nel mondo organico, alcun esempio sicuro che potrebbe contraddire alla caratterizzazione da noi proposta.

Non è possibile constatare con certezza l’esistenza di una pulsione universale che spinge gli esseri viventi verso un più alto sviluppo; tuttavia è innegabile che il mondo animale e vegetale presentano di fatto un’evoluzione in questo senso.

Ma da un lato spesso le nostre valutazioni per cui consideriamo certe fasi evolutive superiori ad altre sono puramente soggettive e d’altro lato la biologia ci insegna che la più alta evoluzione sotto un certo aspetto è assai spesso compensata o bilanciata da un’involuzione da un altro punto di vista… (pag. 68)

… può essere difficile, per molti di noi, rinunciare a credere che nell’uomo sia insita una pulsione che lo spinge a cercare la perfezione, una pulsione che lo ha elevato fino all’attuale livello di capacità intellettuale e di sublimazione etica e dalla quale ci si può attendere l’evoluzione dell’uomo a superuomo.

Solo che io non credo nell’esistenza di questa pulsione interiore e non vedo in che modo si possa far salva questa benefica illusione.

Mi pare che l’evoluzione del genere umano fino a questo momento non abbia affatto bisogno di una spiegazione diversa da quella che vale per gli animali; quell’infaticabile impulso verso un ulteriore perfezionamento che si può osservare in una minoranza di individui umani può essere facilmente spiegato come una conseguenza della rimozione pulsionale su cui si basa la civiltà umana in tutto ciò che ha di più valido e prezioso.

La pulsione rimossa non rinuncia mai a cercare il suo pieno soddisfacimento…; tutte le formazioni sostitutive e reattive, tutte le sublimazioni non potranno mai riuscire a sopprimere la sua persistente tensione…” (pag. 69)

Qui Freud fa una vera e propria affermazione apodittica, quasi fideistica, anche se di una fede all’incontrario: “… io non credo nell’esistenza di questa pulsione interiore”.

Freud, insomma, afferma molto perentoriamente di non credere “… che nell’uomo sia insita una pulsione che lo spinge a cercare la perfezione…”.

Però, poi, non fornisce alcuna spiegazione, né di tipo sperimentale, né basata sull’osservazione empirica, né motivata da argomentazioni logiche di un dato di cui pure riconosce, ammette l’esistenza, per quanto solo “in una minoranza di individui umani”.

Fa, come ho poc’anzi detto, un’affermazione del tutto apodittica, quasi dommatica; come definire, infatti, le seguenti parole, già da me citate: “io non credo nell’esistenza di questa pulsione interiore e non vedo in che modo si possa far salva questa benefica illusione.”?

Per lui questa pulsione a cercare la perfezione può essere spiegata solo come conseguenza della rimozione dal suo primo e originario obiettivo: quello sessuale; il perché, però, questa pulsione si allontani dal suo primo e originario obiettivo non lo dice, non lo argomenta.

Ora ammettiamo pure che la sua prima e unica spiegazione sia giustificata, fondata; Freud, però, non spiega perché essa (rimozione) si verifichi di fatto, realmente e innegabilmente, per quanto solo “in una minoranza di individui umani”; corrisponda cioè a comportamenti, a decisioni e scelte di vita ben reali e non a pure fantasticherie o sogni o astrazioni o illusioni.

Restano, in altre parole, le seguenti domande: perché in alcuni individui la pulsione libidica viene rimossa e sublimata e si traduce in una spinta al perfezionamento intellettuale ed etico? quale fattore tipicamente umano (non presente nelle altre specie animali, come evidenzia lo stesso Freud) determina questa rimozione/sublimazione?

E qui – mi dispiace dover contraddire Freud – la risposta non può che essere questa, se non per evidenza scientifica, quantomeno per deduzione logica: evidentemente nell’uomo esiste un’ulteriore pulsione, oltre alla libidica e alla coazione a ripetere (le uniche pulsioni che Freud riconosce): la pulsione ad elevarsi, a migliorarsi, a trascendersi, se non proprio a cercare la perfezione.

D’altra parte, se non fosse così, non si spiegherebbe l’esistenza storica di persone (tra le quali lo stesso Freud), che hanno dedicato in passato e dedicano anche oggi la loro vita alla scienza, cioè al progresso dell’Umanità, a volte sacrificando altri tipi di pulsioni, pur del tutto legittime.

E quella di altri uomini che hanno dedicata e dedicano la loro vita all’arte, alla filosofia, alla filantropia.

L’esistenza di questi fenotipi umani (gli scienziati, gli artisti, i filosofi, i filantropi) sono dati di fatto, di realtà, che, per quanto si voglia avere una visione realistica (io preferisco dire cinica) della vita, non si possono negare o ignorare.

E, se esistono, devono avere una loro motivazione e spinta, che non possono essere date (come, invece, tende a ritenere Freud) dalla semplice sublimazione di un istinto primario, comune agli altri animali.

Se esistono, hanno origine, scaturigine, a mio avviso, in una vera e propria pulsione, autonoma e distinta dalle altre, unicamente e tipicamente umana: la pulsione, se non proprio a cercare la perfezione, quantomeno ad elevarsi, a trascendersi, a superare la pura e originaria condizione animale.

© Giovanni Lamagna

Sentimento oceanico.

Una mia intuizione/convinzione/consapevolezza profonda mi porta a dire che è molto di più quello che mi unisce agli altri uomini e al mondo in generale (da quello animale a quello vegetale e persino a quello minerale) che quello che mi divide e separa.

E’ questa intuizione/convinzione/consapevolezza alla base del “sentimento oceanico”, che ho sperimentato per la prima volta nell’estate del 1966, a 19 anni, e che negli anni a seguire ho continuato a sperimentare e ancora oggi sperimento di tanto in tanto.

Che è poi lo stato dell’anima di massima felicità che mi sia stata data la possibilità di esperire finora nella mia vita: una sorta di orgasmo diffuso, disteso, prolungato, anziché concentrato e limitato nel tempo, come è invece l’orgasmo sessuale.

© Giovanni Lamagna

Il “sentimento oceanico” e il “sentimento egoico primitivo”.

Secondo Sigmund Freud il “sentimento oceanico”, cioè la sensazione di essere tutt’uno con l’universo (ovvero l’equivalente del sentimento religioso secondo Romain Rolland, il letterato francese suo contemporaneo con il quale il fondatore della psicoanalisi aveva avuto un importante scambio epistolare), se esiste, è il “sentimento egoico primitivo” preservato dopo la fine dell’infanzia.

Il sentimento egoico primitivo precede, secondo Freud, la creazione dell’ego vero e proprio ed esiste fino a quando la madre non cessa l’allattamento al seno. Fino a quando viene allattato regolarmente, in genere in risposta al suo pianto, il bambino non ha idea che il seno non gli appartenga. Pertanto, il bambino non ha la percezione del “sé” o, meglio, considera il seno della madre come parte di sé.

Freud sostiene che coloro che sperimentano un sentimento oceanico da adulti stanno in realtà rivivendo un sentimento egoico primitivo. In altre parole lo stesso sentimento che prova il bambino quando è attaccato al seno della madre e non ha ancora percepito che il seno della madre è altro da sé.

Il sentimento oceanico è, dunque, per Freud lo stesso che prova il bambino per tutta la fase dell’allattamento fino al suo svezzamento. Quindi una sorta di vera e propria regressione a quella fase della vita infantile.

Mi permetto (pur con tutto l’ovvio rispetto dovuto al geniale fondatore della psicoanalisi) di essere in disaccordo con questa interpretazione di Freud. E per almeno due motivi.

Il primo è, perfino, banale a dirsi.

Se il sentimento oceanico di cui parla Rolland è sperimentato da adulti, cioè da persone che sono evidentemente uscite dalla fase del “sentimento egoico primitivo” ed hanno acquisito una piena e matura percezione del sé, non si capisce come possano tornare a sperimentare ancora una volta il “sentimento egoico primitivo”.

Si potrà tutt’al più affermare che l’esperienza del “sentimento oceanico” ha delle somiglianze, delle affinità emozionali-affettive con il “sentimento egoico primitivo”. Ma non si potrà dire che quello coincida con questo. Non si potrà dire che si tratti dello stesso “sentimento egoico”, preservato in una specie di memoria bioenergetica.

Il secondo motivo è molto più profondo e significativo del primo.

Il bambino che vive nella fase del “sentimento egoico primitivo” è un soggetto profondamente egocentrico, narcisista, potremmo dire perfino egoista. Tutto concentrato, cioè, sui suoi bisogni primari e del tutto indifferente a quelli degli altri. Tanto è vero che, se, avendo fame, il seno non gli viene dato immediatamente, piange come un disperato e può diventare perfino aggressivo.

L’adulto che vive l’autentico “sentimento oceanico”, quello di cui parla Romain Rolland è, invece, profondamente sensibile ai bisogni degli altri, quasi come (se non, in alcuni casi, addirittura di più) che ai suoi. Rispettoso e amante non solo degli altri esseri umani suoi simili, ma di tutto ciò che ha a che fare con la natura, dal mondo minerale a quello vegetale a quello animale, dall’aria all’acqua in primis.

Queste così diverse manifestazioni esteriori (evidenti a chiunque le voglia osservare senza pregiudizi pseudoscientifici) rendono del tutto irriducibile il “sentimento oceanico”, di cui parla Rolland, al “sentimento egoico primario”, di cui parla Freud. Trattasi di due esperienze completamente e profondamente diverse. Forse addirittura opposte.

Potremmo, infatti, dire (penso senza tema di esagerare troppo) che l’esperienza del “sentimento oceanico” è addirittura lo stigma inequivocabile del completo e definitivo superamento della fase del “sentimento egoico primitivo” nell’uomo, l’uscita completa dalla condizione infantile per addivenire a quella adulta.

La persona che è in grado di sperimentare il cosiddetto “sentimento oceanico” è uscita definitivamente dalla fase egoica primaria del Sé (mi verrebbe di dire) tutto ripiegato su di sé, (cioè dalla fase del narcisismo tipica dell’infanzia e anche – se vogliamo – dell’adolescenza) e si è aperta alla dimensione dell’Altro da sé, che è (o dovrebbe essere) quella tipica dell’età adulta pienamente realizzata.

Chi prova il vero, autentico, “sentimento oceanico” si fonde (o tende a fondersi) con l’Altro da sé non, certo, con il seno della madre, ovverossia con l’immagine di sé proiettata nella madre, come avviene al bambino. Vive un’esperienza del tutto diversa, anzi addirittura opposta, a quella del bambino.

Giovanni Lamagna