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Felicità e infelicità.

Se ci sentiamo infelici vuol dire che abbiamo dentro di noi la nozione (o, meglio, la percezione) di cosa sia felicità.

Se non l’avessimo, non potremmo neanche provare infelicità, perché questa ci apparirebbe (e così la vivremmo) come l’unica condizione umana possibile.

Non avremmo termini di confronto e non avremmo quindi la possibilità di desiderarla.

Ci sentiamo infelici, invece, proprio perché (in fondo, in fondo) riteniamo la felicità una “cosa” possibile, niente affatto irrealizzabile.

Quantomeno sappiamo, in cuor nostro, cosa ci renderebbe felici.

Il fatto che questa “cosa” non sia presente nella nostra vita non significa che sia assolutamente impossibile e del tutto inesistente come realtà umana.

Almeno come realtà umana possibile o, quantomeno, pensabile, ipotizzabile; e, quindi, desiderabile.

© Giovanni Lamagna

Può un corpo apparirmi nel tempo sempre nuovo?

Il corpo di cui conosco a memoria la geografia, le insenature, i rilievi, le profondità, la consistenza, è reso sempre nuovo dall’onda inarrestabile del tempo.” (Massimo Recalcati; “Mantieni il bacio”; Feltrinelli 2019; pag. 120-121)

Sono d’accordo e, allo stesso tempo, non sono d’accordo con questa affermazione.

Sono d’accordo, perché effettivamente quello che dice Recalcati può succedere, non è impossibile, è nell’ordine delle possibilità, anche se, a dire il vero, non è molto frequente.

Il trascorrere del tempo non è fatale, non è destino che renda obsoleto (e quindi non più desiderabile) lo “stesso”, oggetto del mio desiderio; anche – perfino – lo stesso corpo della persona che frequento da anni e che conosco oramai come le mie tasche.

Non sono d’accordo, perché Recalcati in questa sua affermazione utilizza un verbo (“è reso”) al modo indicativo, come se questa esperienza fosse la norma, rientrasse cioè nell’ordine normale e naturale delle cose.

E non fosse solo una possibilità (come, invece, la considero io), quindi niente affatto scontata, anzi – a dire il vero – il più delle volte, come succede nella maggior parte dei rapporti, irrealizzata e, quindi, non verificata.

Non sono d’accordo, inoltre, anche per un altro motivo.

Perché non è il tempo in sé che rende sempre nuovo il corpo dell’altro che amo.

Innanzitutto, per il fatto – persino banale – che il tempo rende oggettivamente più vecchio il corpo dell’altro (altro che nuovo!) e pertanto lo fa meno attraente ai miei occhi.

E, in secondo luogo, perché il tempo di per sé tende a produrre un fenomeno di assuefazione e quindi di appassimento del mio desiderio per quel corpo.

È solo la mia volontà, la mia “buona disposizione” d’animo, il mio voler tener viva la relazione, che mi permette di vedere sempre nuovo il corpo dell’altro, nonostante il trascorrere inesorabile del tempo lo renda sempre più vecchio.

E lo è ancor più, a dire il vero, la capacità dell’altro di rendersi sempre nuovo ai miei occhi nonostante rimanga sempre sé stesso.

È la disposizione dell’altro a rendersi seduttivo in forme sempre rinnovate (una qualità che è della psiche – dell’anima, direbbe Hillman – e non del corpo) che mi fa (può farmi) apparire sempre nuovo il suo corpo.

Niente di scontato, quindi, e meno che mai di spontaneo e naturale!

L’amore, persino il desiderio, possono durare nel tempo; non sono destinati fatalmente ad appassire, come molti (forse i più) ritengono.

Però, perché questo si verifichi è necessario un impegno reciproco delle due persone che si sono incontrate un giorno e che sono state attratte l’una verso l’altra.

L’impegno di ciascuna di loro – direi una “cura”, per usare una bellissima parola che ricorre in una famosa canzone di Battiato – a rendersi ogni giorno nuova agli occhi dell’altra, in modo da rendere possibile ogni giorno l’incanto, la magia della scoperta.

Del “nuovo” nello “stesso”.

© Giovanni Lamagna

Sogno, immaginazione, possibile, impossibile.

Il sogno precede sempre il possibile.

Per realizzare il possibile, infatti, bisogna averlo sognato o, quantomeno, immaginato.

Chi non sogna, chi non ha immaginazione, è capace solo di ripetere, reiterare sempre lo stesso.

Spesso (non sempre, ma spesso) l’impossibile è semplicemente ciò che siamo stati incapaci di sognare, immaginare.

I politici, in genere, sono una esemplificazione illuminante di questo concetto: si limitano ad amministrare l’esistente.

Occorrerebbe, invece, che l’immaginazione andasse al potere.

Come sosteneva uno splendido slogan del ’68.

© Giovanni Lamagna