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Pensare e contemplare.

Si pensa un’idea, un concetto astratto, un numero, una figura geometrica…

Si contempla il volto o il corpo di una persona, un paesaggio, la natura, un’opera d’arte…

Il pensiero ha a che fare soprattutto col ragionamento; è un’operazione tutta mentale.

Il contemplare è un atto essenzialmente del guardare (reale o metaforico); si associa spesso alla meraviglia, allo stupore.

© Giovanni Lamagna

Il mio antidoto alla frenesia e al logorio della vita moderna.

Vedo, constato, che, in questa nostra epoca nella quale la velocità è diventata un valore principe, la grande maggioranza delle persone corre, si affanna, fa le cose senza un attimo di tregua, senza mai tirare il fiato.

Come presa da un ingranaggio al quale non riesce a sottrarsi, ma che anzi forse le piace perfino assecondare, in certi casi addirittura autolesionisticamente e, quindi, masochisticamente.

Io, invece, a differenza di questa maggioranza, amo stare il più possibile fermo, seduto, a pensare, a riflettere, a meditare, a contemplare, a connettermi con la parte di me più intima e nascosta, con il mio io profondo.

È questo il mio status fondamentale, stavo quasi per dire il mio lavoro odierno, specie da quando sono andato in pensione e non vado più a lavorare.

L’ho scelto e lo preferisco anche a costo di apparire (anzi, essere) un po’ lento, se non proprio passivo, nelle mie reazioni agli stimoli esterni o eccessivamente statico, inattivo.

E, forse, questo mio atteggiamento, ne sono consapevole, può indurre reazioni negative nei miei confronti da parte di alcuni, che possono giudicarlo persino indolente, pigro.

Eppure niente e nessuno riesce a smuovermi, a distogliermi da questa mia postura fondamentale.

Quasi mi fossi assegnato un compito: quello di andare contro corrente, di compensare con una loro aggiunta, un loro surplus, un loro eccesso, la carenza di lettura-meditazione-contemplazione, direi addirittura di anima, di spiritualità, che a me sembra caratterizzare il muoversi frenetico, in certi casi e momenti addirittura caotico e agitato, della maggior parte dei miei simili.

Cosa è, infatti, l’agire senza il necessario distacco e, quindi, senza una quota parte di pensiero, di riflessione, di meditazione, se non un inutile e a volte persino sciocco girare a vuoto?

Non che sia tale o che giudichi tale la maggior parte delle azioni degli uomini che mi circondano; non arrivo a pensare questo; anche se talvolta, anzi in molti casi – devo confessarlo – tale pensiero mi sfiora.

È che, forse, a mio giudizio, un po’ più di riflessione prima di agire, prima di tradurre un impulso istintivo o puramente emotivo in azione, non farebbe male; anzi!

È a questa carenza, a questa deficienza di consapevolezza, che ritengo voglia (lo ammetto: forse presuntuosamente), quasi per un istinto o per un riflesso condizionato uguale e contrario, sopperire il mio non-agire, il mio “stare fermo”.

Che, forse, per altri aspetti, non lo nego, arriva ad essere anch’esso negativo, per motivi opposti, soprattutto quando eccede, quando supera un certo livello.

Come se esso (forse mi illudo in questo) potesse essere il necessario o, quantomeno, utile bilanciamento di altri eccessi; quelli che vedo prevalere attorno a me.

© Giovanni Lamagna

Contemplare.

Contemplare, per me, è altra cosa dal meditare.

Mentre nel meditare sono molto presenti i pensieri, anche se accompagnati dalle emozioni e dai sentimenti e, persino, dalle sensazioni fisiche, nel contemplare i pensieri quasi si assentano, vivono un momento di sospensione.

Contemplare, per me, è come entrare in connessione con il Tutto, con il Cosmo vivente, in tutte le sue varie manifestazioni, è vivere il “sentimento oceanico”, di cui parla lo scrittore-mistico francese Romain Rolland.

© Giovanni Lamagna

Non sottovalutiamo la ricchezza lessicale della nostra lingua madre.

Un’amica di facebook, Carolina Ambrosino, a proposito della differenza tra il “guardare” e il “vedere”, tempo fa così mi scriveva citando il vocabolario  Treccani:

Guardare: Dirigere gli occhi, fissare lo sguardo su qualche oggetto (non include necessariamente l’idea del vedere, in quanto si può guardare senza vedere, così come si può vedere qualche cosa senza rivolgervi intenzionalmente o coscientemente lo sguardo), l’intenzionalità del guardare non comporta per forza la capacità o il risultato del vedere.

Il vedere implica, infatti, la realizzazione precisa di una percezione di stimoli esterni. Posso dire, perciò: “ho guardato dappertutto, ma non ho visto niente di strano”; ma non posso dire “ho visto dappertutto, ma non ho guardato niente di strano”.

Quando ho fatto questa foto ho visto ma non ho guardato il fiore piccolo nascosto sotto il fiore grande. Esso si prepara ad emergere senza quasi disturbare il fiore grande e la sua bellezza, senza carpirne l’attenzione…che lezione dalla natura!!!

Inoltre, dovremmo anche capire che spesso nell’approccio all’altro, alla vita ecc., ci sono particolari, anche importanti, che possono sfuggire e che potrebbero essere recuperati prestando più attenzione, soprattutto per evitare incomprensioni, “letture” superficiali e tant’altro.”

Quando ho letto il post di Carolina, mi è venuto spontaneo pensare al verbo “osservare”, dal latino “observare”, da “ob” (avanti, sopra, attorno) e “servare” (custodire, salvare, conservare, preservare, serbare, badare, stare attento).

Verbo, che, a mio avviso, è molto più ricco dei suoi (quasi) sinonimi: “vedere” e “guardare”.

Il vedere è un atto puramente percettivo, fisico, organico.

Già il guardare è qualcosa di più: implica un atto intenzionale.

Per guardare mi devo concentrare, stare attento, devo mettere in funzione la mente o, quantomeno, l’attenzione, mentre il vedere è un atto irriflesso, che avviene anche quando sono distratto.

Perciò posso vedere, ma non guardare; mentre il guardare implica sempre il vedere.

L’osservare è ancora di più: è l’atto di custodire, conservare, introiettare, ciò che ho prima vista e poi guardato.

E’ l’atto di Maria che, dopo aver ricevuto l’Annunciazione dall’Angelo, “conservava in cuor suo” l’annuncio ricevuto.

C’è poi il verbo “contemplare”, che contiene molto di più dello stesso verbo “osservare”.

A tale proposito ripropongo un pensiero che ho già pubblicato qualche tempo fa.

“L’atto del contemplare è diverso da quello del vedere.

Si vede con gli occhi del corpo. Si contempla con gli occhi dell’anima.

Il vedere si ferma alla realtà fisica, materiale.

Il contemplare consente di andare oltre questa realtà, di penetrare nella realtà spirituale, di guardare ciò che è invisibile agli occhi del corpo.

Ciò che ha a che fare con la vita della psiche, dell’anima.”

© Giovanni Lamagna

Meditare e contemplare: analogie e differenze.

Per me meditare significa raccogliere in sé (quasi col metodo psicoanalitico delle libere associazioni) quante più risonanze è possibile (fisiche, emotive, sentimentali, intellettuali) ci vengono dall’ascolto di un discorso parlato o dalla lettura di un testo scritto.

Si può meditare anche su un’esperienza di vita, riflettendo su quello che è capitato ad altri o a noi stessi e facendo valutazioni, riflessioni, che non coinvolgono solo la mente, ma anche il cuore e, talvolta, perfino il corpo.

Non bisogna mai dimenticare che ciascuno di noi è l’amalgama, l’unione di queste tre cose. Quindi si medita con la mente (innanzitutto), ma si medita anche con il cuore e, persino, con il corpo.

Per me l’immagine più perfetta ed efficace della persona, che ha meditato o che sta meditando, è quella della Madonna nella grotta di Betlemme, assieme a Giuseppe e al bambino, dopo la visita dei pastori; la scena è descritta dal Vangelo di Luca (2,16-19):

16 Andarono in fretta, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia; 17 e, vedutolo, divulgarono quello che era stato loro detto di quel bambino. 18 E tutti quelli che li udirono si meravigliarono delle cose dette loro dai pastori. 19 Maria serbava in sé tutte queste cose, meditandole in cuor suo.

Contemplare per me è, invece, altra cosa dal meditare.

Mentre nel meditare è molto presente il pensiero, anche se – come abbiamo visto – accompagnato dalle emozioni e dai sentimenti e, persino, dalle sensazioni fisiche, nel contemplare il pensiero quasi si assenta, vive un momento di sospensione.

Contemplare per me è come entrare in connessione con il Tutto, con il Cosmo vivente, in tutte le sue varie manifestazioni, è vivere il “sentimento oceanico”, di cui parla lo scrittore-mistico francese Romain Rolland.

Nell’atto del contemplare anche il corpo e le emozioni vivono come una fase di surplace. O, meglio, sono come concentrate su un punto fisso e allo stesso tempo dilatate su una dimensione che tende all’infinito.

Le emozioni e i sentimenti prevalenti sono quelli della meraviglia e dello stupore, gli stessi sentimenti che in genere accompagnano anche la meditazione. In più si aggiungono, forti, intensi, quelli della gioia e della gratitudine.

Una gratitudine che il credente sa bene a chi indirizzare. E, infatti, la indirizza a Dio, Ente Supremo, creatore di tutte le cose, del Cosmo, di cui il contemplativo si sente parte, minutissimo frammento.

E il contemplativo che non è credente (perché esistono anche contemplativi atei: io, ad esempio, nel mio piccolo, mi definisco tale) a chi indirizza la sua gratitudine? Non lo sa manco lui, sa solo che la prova.

E’ una gratitudine, come sentimento primario, istintivo, per l’atto stesso del vivere, per l’unità interiore che sta sperimentando, per la gioia grande che nell’atto del contemplare, almeno in certi momenti, lo invade.

© Giovanni Lamagna

Pensare e contemplare

Il pensare è un’attività fredda, meccanica, operativa, calcolante, asettica, neutra, fatta di fasi disposte rigidamente in sequenza.

Il contemplare, invece, è un’attività calda, creativa, circolare, gratuita, morbida, oscillante, ondivaga, cordiale.

Giovanni Lamagna