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Qual è la priorità?

Bisogna che l’uomo cambi prima la condizione economico-sociale in cui egli vive e, di conseguenza, cambierà anche se stesso, la sua psicologia, e avremo quindi “l’uomo nuovo”?

O è necessario che l’uomo cambi prima la sua anima, la sua coscienza, in altre parole se stesso e, di conseguenza, cambierà anche il mondo attorno a lui, avremo un mondo nuovo?

Per il marxismo non ci sono dubbi: la priorità è cambiare la condizione economico-sociale in cui l’uomo vive.

Anzi per un certo marxismo scolastico sarà questo cambiamento a determinare automaticamente anche l’altro, a generare, quasi produrre, l’homo novus socialista.

Per il Cristianesimo il cambiamento fondamentale e prioritario è, invece, quello del cuore, dell’anima dell’uomo.

Questo cambiamento diffuso, generalizzato, realizzerà poi il cosiddetto “Regno dei Cieli”, cioè – per dirla in termini laici, sociologici, se non marxisti – la nuova società dei liberi ed eguali.

Il mio punto di vista è che i due cambiamenti vadano perseguiti entrambi e in contemporanea.

Ma, se proprio una priorità la dovessi dare, la darei al secondo.

Anche io penso che, se non cambia prima il cuore dell’uomo, nessun cambiamento esteriore, della società attorno a lui, avrà mai radici profonde e sarà destinato a durare nel tempo.

Come la storia delle rivoluzioni economiche, sociali e politiche sembra dimostrare a iosa.

© Giovanni Lamagna

Attorno al concetto di “scienza”

Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere” (Karl Popper, Conoscenza oggettiva: un punto di vista evoluzionistico).

Dobbiamo distinguere chiaramente tra verità e certezza. Aspiriamo alla verità, e spesso possiamo raggiungerla, anche se accade raramente, o mai, che possiamo essere del tutto certi di averla raggiunta. (…) La certezza non è un obiettivo degno di essere perseguito dalla scienza. La verità lo è.” (Karl R. Popper; Congetture e confutazioni; prefazione italiana, 1985).

Gli attacchi di Popper allo storicismo, all’olismo e alla scientificità della psicoanalisi e del marxismo hanno indotto i teorici della Scuola di Francoforte a considerare che le scienze sociali e umane, come la psicoanalisi, la sociologia e l’economia, su cui si fonda in parte il marxismo, hanno un loro rigore di metodo, per quanto caratterizzato da relativa incertezza rispetto alle scienze naturali. Anche in tali campi esistono criteri per stabilire cosa è frutto di una seria analisi scientifica e cosa è asserzione arbitraria. In quanto Karl Marx e Sigmund Freud utilizzarono metodi ritenuti rigorosi al loro tempo e cercarono di verificare empiricamente le loro teorie, in tanto i loro lavori possono essere considerati scientifici e suscettibili di errore e falsificazione.” (da Wikipedia)

Conosco la critica severa, anzi drastica, demolitoria, che Popper muove alla psicoanalisi Ma non la condivido.

Perché non sono d’accordo con la critica di Popper? Provo a rispondere a questa domanda.

Secondo Popper sono scienze solo quelle discipline le cui tesi sono falsificabili; e, siccome le tesi della psicoanalisi non sono falsificabili, la psicoanalisi non è dunque per lui una scienza.

In altre parole, secondo Popper, sono scienze solo le discipline sperimentali; tutte le altre (quindi anche la psicoanalisi) sono pseudo-scienze o, meglio, non-scienze.

Ora, se fosse vera una tale asserzione, tutte le cosiddette “scienze dello spirito” (che Wilhelm Dilthey opportunamente distingue dalle “scienze della natura”) – cioè la storia, la filosofia, la critica letteraria, la psicologia, la sociologia, l’antropologia… (per citarne solo alcune) – sarebbero non scienze.

In altre parole, almeno il 50/60% (a voler essere riduttivi) di quello che l’Umanità considera il suo patrimonio culturale avrebbe un ben scarso valore cognitivo e intellettuale.

Popper, a mio modesto avviso sbagliando, identifica le scienze tout court con le cosiddette “scienze esatte”.

Io, invece, ritengo (e per questo mi sento molto più vicino alle tesi della Scuola di Francoforte che a quelle di Popper) che ci siano anche scienze non esatte, che non vuol dire siano false, sono solo scienze che utilizzano un metodo diverso da quello che utilizzano quelle esatte: anziché procedere per sperimentazioni riproducibili e, quindi, falsificabili, procedono per osservazioni e, quindi, per approssimazioni alla “verità”.

D’altra parte, se per questo secondo tipo di scienze è impossibile ambire ad una verità assoluta e oggettiva, in parte questo vale anche per le scienze cosiddette esatte, come del resto riconosce lo stesso Popper (si rileggano le due citazioni da me riportate all’inizio).

Quante verità assodate da queste scienze in un dato periodo storico, sulla base di metodologie considerate ineccepibili dal punto di vista scientifico secondo il punto di vista di Popper, sono state poi smentite da successive sperimentazioni, da ulteriori ricerche scientifiche, avvenute in epoche successive!

Quindi manco esse possono essere considerate verità del tutto assolute ed oggettive.

© Giovanni Lamagna

Rivoluzione e Regno di Dio

Mi pare di capire che Ernest Bloch tenti una sintesi di cristianesimo e marxismo, inserendoli entrambi nel filone messianico ed escatologico del pensiero ebraico.

La rivoluzione (concetto marxista) per lui è la realizzazione del Regno di Dio (concetto cristiano); non nell’alto dei cieli, ma qui in terra.

© Giovanni Lamagna

Il marxismo come religione

Mi diventa sempre più chiara e distinta l’idea che per molti l’adesione all’ideologia marxista e ai partiti che ad essa si richiamano abbia a che fare con una sorta di fidelizzazione ad una religione, per quanto atea, e di affiliazione ad una chiesa, per quanto secolarizzata.

Stesso fanatismo ideologico/dogmatico, stessa presunzione di far parte di un gruppo di iniziati, privilegiati e predestinati, stesso iperattivismo nel fare proseliti, stessa tentazione di fare ricorso (anche) alla violenza, per quanto a fin di bene, che nel caso specifico sarebbe la “rivoluzione”.

© Giovanni Lamagna

Riflessioni da me raccolte nel corso della lettura di “La consulenza filosofica” di Gerd B. Achenbach Feltrinelli Editore

10 marzo 2020

Sto leggendo il libro di Gerd B. Achenbach, “La consulenza filosofica”. Sto alle prime 29 pagine, quindi non posso dire di aver compreso di che si tratta. Ma una prima impressione (forte) me la sono fatta. Adesso la devo verificare.

L’impressione iniziale è che dietro questa formula (“consulenza filosofica”) ci sia una notevole “presunzione” (quella di voler sostituire – addirittura! – la psicoterapia) e, allo stesso tempo, anche una considerevole “confusione” (quella di scambiare il terreno dei conflitti emotivi – che è proprio della psicologia e delle eventuali psicoterapie – con quello della costruzione di una propria “visione del mondo” – che è proprio del pensiero e, quindi, della filosofia e – perché no? – della consulenza filosofica).

16 Marzo 2020

Continua la mia lettura del libro di Achenbach. Sto ancora alle prime 63 pagine, ma mi sono già fatto una mia idea sufficientemente solida di cosa è o può essere una consulenza filosofica.

Innanzitutto è una cosa molto diversa da una psicoterapia; anche se per psicoterapia potremmo intendere qui decine di cose diverse, a seconda delle scuole di riferimento.

E, comunque, anche nella loro estrema diversità le psicoterapie (perfino quella “comportamentale”) si occupano prevalentemente del mondo degli istinti, delle pulsioni, delle emozioni, dei sentimenti. Anche se tendono a farlo con metodi, pratiche e terapie (appunto!) molto diversi tra di loro.

La consulenza filosofica, invece, per quello che ne ho capito, si occupa in prevalenza del mondo della ragione, del pensiero, della coscienza, della consapevolezza.

Le psicoterapie tendono a “guarire” il mondo psicoaffettivo, laddove ci sono conflitti, contrasti, tra diverse pulsioni ed emozioni: tendono a mettere a posto la sfera psicoaffettiva dell’individuo.

La consulenza filosofica interviene sul piano della visione del mondo che ciascun individuo – consapevole o meno che ne sia . si è formato nel corso degli anni e ne guida le azioni e le scelte.

Per verificarne le aporie e le incongruenze (eventuali) e risolverle in una “teoria” più coerente, più organica, meno internamente conflittuale e fragile.

18 marzo 2020

Achenbach, tra pag. 72 e 75, rivolge delle critiche al marxismo e alla psicoanalisi come terapie (la prima) della struttura economico, sociale e politica della società e (la seconda) della struttura psichica dell’individuo, della persona.

Che in parte – almeno in parte – sono giustificate, hanno un loro fondamento.

Rivelano però tutti i loro limiti e perfino una loro ridicola presunzione quando pretendono di mettere in discussione il valore stesso di alcune analisi fondamentali che il marxismo e la psicoanalisi hanno fatto della struttura economico-sociale del capitalismo (il primo) e della struttura psichica dell’individuo (la seconda).

In altre parole può darsi (anzi è senz’altro vero) che il marxismo e la psicoanalisi non si siano rivelate efficacissime come terapie delle malattie sociali e individuali. Questo dato di fatto però non invalida né l’uno né l’altra come strumenti di analisi e diagnosi di queste malattie.

20 marzo 2020

La consulenza filosofica a mio avviso non potrà mai sostituire, come sostiene Achenbach, le psicoterapie del profondo.

Perché la prima si occupa del pensiero e cerca di addestrarlo ad un suo utilizzo ottimale: è sostanzialmente un esercizio della mente e delle sue facoltà razionali, ovverossia delle facoltà superiori dell’uomo.

Le seconde, invece, si occupano essenzialmente di “ciò che sta sotto”, del profondo dell’uomo e non del superiore, dell’inconscio, delle istanze emotive e talvolta irrazionali, che spesso, senza che egli ne sia consapevole, guidano le azioni e il comportamento dell’uomo.

22 marzo 2020

Questo Achenbach, a mio avviso, fa parecchia confusione. Dice anche cose interessanti, per carità. Per cui la sua lettura è utile, mi offre degli stimoli di riflessione.

Ma dimostra di conoscere poco la psicoterapia, mentre la critica. Tra l’altro con la sottesa pretesa di sostituirla con la consulenza filosofica.

Ad esempio, secondo lui, la consulenza psicologica “espliciterebbe la logica inconscia dell’anima” “con conoscenze e teorie psicologiche”… “con Freud e Jung” (pag. 96)

Insomma, secondo Achebanch uno psicoterapeuta col suo paziente si metterebbe a discutere di Freud e di Jung e delle loro teorie psicologiche: in questo consisterebbe la psicoterapia. Ma si possono dire bestialità simili?

24 marzo 2020

Acheenbach sostiene (pag. 104): “… nella consulenza (filosofica)… si ha a che fare con persone che… non progrediscono, che non sanno andare oltre, che sono giunte a un punto dal quale non si va più avanti”.

Mi chiedo: ma questa non è la stessa situazione in cui si trova chi cerca una consulenza psicologica, di chi inizia un percorso terapeutico?

E la risposta mi sembra senz’altro affermativa.

Allora cosa distingue una consulenza filosofica da una psicoterapia?

25 marzo 2020

Io condivido parecchie cose di quelle che scrive Achenbach sul modo di intendere la filosofia.

In modo particolare condivido la sua polemica contro la filosofia accademica, incapace di confrontarsi coi problemi reali dell’esistenza, quelli della gente comune.

Condivido quindi la sua istanza di apertura alla vita, al mondo, alla società, che sta fuori dalle aule universitarie.

Non condivido assolutamente, invece, l’idea che la consulenza filosofica possa sostituirsi alla psicologia, alla psicoanalisi, alle psicoterapie, nelle loro varie versioni.

Posso condividere alcune critiche che Achenbach fa alla psicoanalisi e alla sua traduzione terapeutica. Non posso però condividere assolutamente l’idea che la consulenza filosofica – almeno per quello che ne ho capito io – possa prendere il posto della psicoterapia.

29 marzo 2020

Al di là del merito delle cose che dice, il linguaggio di questo Achenbach non mi piace per niente.

E’ accademico (eppure parla spesso contro l’Accademia!), è pomposo, involuto, spesso oscuro.

Lontanissimo, insomma, dal linguaggio che prediligo io.

30 marzo 2020

Questo Achenbach mi sta stufando. Parla, parla… ma in fondo dice ben poco.

Dice male della filosofia accademica e su questo concordo pienamente. Anche se mi viene il dubbio che ne parli male più per invidia (perché voleva entrare a farne parte) che per reale differenziazione.

E dice male della psicoterapia. Come se esistesse LA psicoterapia  e non LE psicoterapie. Ma soprattutto attribuendo alle psicoterapie pretese che esse non hanno e non hanno mai avuto; tipo quella di offrire certezze ai loro pazienti.

9 aprile 2020

A conclusione della lettura di questo libro posso dire che essa è stata poi tutto sommato abbastanza interessante. In modo particolare per due ragioni:

1.mi ha permesso di riflettere in modo abbastanza approfondito su quello che è la filosofia per me;

  1. mi ha stimolato a cogliere le differenze che ci sono (e sono a mio avviso notevoli) tra una consulenza filosofica e una psicoterapia.

© Giovanni Lamagna