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I vantaggi dell’ignoranza.

Ci sono solo due vantaggi nell’essere ignoranti: l’ignoranza ci può e dovrebbe spingere 1) ad essere umili e prudenti quando ci vengono richiesti o vorremmo emettere giudizi su cose, avvenimenti o persone; 2) ad essere sempre aperti al nuovo, a sfruttare ogni occasione e momento per acquisire nuove conoscenze.

© Giovanni Lamagna

La mia ignoranza.

Quando confronto quel pochissimo che so con il tantissimo che non so, provo una sensazione di vertigine, come quando ci si trova di fronte ad un abisso senza fondo.

La mia ignoranza, cioè quello che mi resterebbe da imparare e che oramai non riuscirò più ad imparare dato il tempo limitato che mi rimane da vivere, è (appunto!) abissale.

© Giovanni Lamagna

Alcune semplici riflessioni – obbligatorie oggi – sulla guerra e sulla pace.

Stamattina apro il computer, vado su facebook e il primo post che leggo è quello di un mio amico, Antonio, persona assolutamente pacifica e perbene, che così scrive: “Se i popoli usciti dall’oppressione sovietica hanno scelto la NATO significa che temevano la Russia. I fatti lo confermano.”

Ho sentito l’immediato impulso a rispondergli con queste parole:

“… e quindi?… abbiamo fatto bene a far entrare alcuni di questi paesi nella Nato o a far credere loro (come nel caso dell’Ucraina) che prima o poi ci sarebbero entrati?… abbiamo fatto bene a stringere la Russia in una morsa politico/militare ed a provocarne l’istinto revanscista?… ovviamente a questo punto perché non mandiamo le nostre truppe a difendere l’Ucraina dall’invasore russo, invece di limitarci alle sole sanzioni economiche?… che importa poi se ne nasce una guerra totale e (perché no?) nucleare?… per la “libertà dei popoli” si fa questo e altro!… continuiamo a soffiare, anzi a gettare benzina, sul fuoco!… in questo modo otterremo la pace… non certo “la pace perpetua”, che invocava Kant… ma “la pace eterna” dei cimiteri…

Comincio davvero ad avere paura, quando da bocche assolutamente miti (fino a ieri) come la tua, Antonio, sento pronunciare parole come quelle che leggo nel post di cui sopra…”

D’altra parte, appena poche ore prima, il segretario del PD Enrico Letta, quindi non un cittadino qualunque come me e come Antonio, aveva così twittato: “Alla Camera ho posto la necessità di non limitarsi al sostegno politico ed economico all’Ucraina aggredita dalla guerra di Putin. Ho detto che dovremmo aiutarla a difendersi, fornendo loro materiale ed attrezzature militari che li aiutino concretamente a respingere gli invasori.”

Se un uomo (all’apparenza mite come Letta, su cui ricadono responsabilità politiche non proprio insignificanti) arriva a scrivere parole simili, c’è da essere davvero preoccupati: il passo immediatamente successivo è quello di chiedere direttamente l’entrata in guerra dell’Italia, dell’Europa, della Nato.

Ma si rende precisamente conto Enrico Letta delle conseguenze di quello che ha detto e scritto e di quale esito avrebbero le sue parole se ad esse seguissero i fatti? Io ho l’impressione che in molti qua da noi stiano cominciando a perdere la testa, il controllo dei propri pensieri.

Proprio in un momento nel quale, invece di esternare propositi bellicosi e muscolari, occorrerebbe fare un bel po’ di esame di coscienza ed analizzare quali sono state (e ce ne sono state!) le nostre responsabilità (di noi paesi occidentali, della Nato e degli Stati Uniti in primo luogo) in questa lunga vicenda.

Ci rendiamo conto di cosa significherebbe (come in fondo propone Letta) rispondere alla forza e alla violenza con uguale forza e violenza?

Qualcuno in questi giorni ha avuto l’insipienza, prima ancora che l’ardire, di evocare la guerra partigiana contro Hitler e Mussolini. Credo che tale evocazione abbia a che fare con l’ignoranza prima ancora che con la temerarietà.

Si rende conto chi fa simili accostamenti e paragoni storici, di come siano mutati i tempi rispetto a quelli in cui si svolse la guerra partigiana? Di quali armi (per quanto sofisticatissime) usavano allora gli eserciti e di quali armi usano oggi? Si rende conto che una risposta militare occidentale ci porterebbe diritti, diritti dentro una guerra mondiale e nucleare mai vista finora? E chi ne uscirebbe vincitore alla fine?

Io credo, alla luce di tali semplici e persino banali ragionamenti, che oggi come non mai si ponga il problema di dire, una buona volta e per sempre, “no alla guerra!”, a qualsiasi guerra, anche a quella difensiva, anche a quella motivata dalle ragioni più sacrosante; e che non abbia più molto senso ricorrere alle antiche categorie di “aggressori” ed “aggrediti”, di “vittime” e di “carnefici”.

Che sia venuto il tempo di individuare altri strumenti di resistenza alla forza e alla violenza e persino all’invasione di un soggetto “nemico”; di “costringerlo” alla pace senza scendere sul suo stesso terreno di confronto.

Sono ben consapevole che un tale discorso può sembrare imbelle o quantomeno astratto e inattuale; temo (purtroppo! a giudicare dalle affermazioni che stanno facendo in questi giorni) che così lo giudichino (senza manco prenderlo in considerazione) un Enrico Letta o un Biden o chi sta a capo della Nato.

Ma che alternative abbiamo, se non quella di andare incontro ad una guerra totale e definitiva, che di certo non avrebbe come esito la sconfitta del nemico “brutto, sporco e cattivo”, ma un suicidio collettivo di tutti i popoli del pianeta, a cominciare da quelli europei?

E’ venuto il momento di provare a far nascere dal basso (non vedo altre vie) una tale coscienza collettiva e popolare e di imporla ai nostri governanti, dell’una e dell’altra parte. A tale scopo mirava e mira, nel suo piccolissimo, questa mia riflessione.

© Giovanni Lamagna

Sui concetti di laicismo e di illuminismo

Io mi considero un laico a tutto tondo. Per il quale la libertà di pensiero e della sua espressione è un valore sacro. Memore della celebre frase: “Non condivido le tue idee, ma darei la vita perché tu le possa affermare liberamente”.

Ma non penso che il laicismo sia sinonimo di supponenza e presunzione, tale da portarmi a considerare (per fare un esempio calzante con alcuni recenti avvenimenti) tutti coloro che hanno fede in Dio come dei poveri diavoli, ai quali sia normale mancare continuamente di rispetto per la loro “superstiziosa ignoranza”.

Ora – sia chiaro- con queste mie affermazioni non voglio giustificare affatto (anzi li condanno senza se e senza ma; e penso che vadano perseguiti e puniti severamente dalla legge i loro autori) le quattro uccisioni avvenute in questi ultimi giorni in Francia da parte di alcuni fanatici islamici.

Credo, però, che vada compreso – proprio in nome di una laica e quindi direi scientifica razionalità – il contesto nel quale esse sono avvenute, se non si vuole ulteriormente avvelenare il clima dei rapporti tra culture ed etnie diverse e favorire così il ripetersi di altri episodi criminali simili.

Da questo punto di vista ritengo sia un dato obiettivo (difficilmente controvertibile) che una certa supponenza laica (presunta illuminista, in realtà stupida perché – se non intollerante – quanto meno inopportuna) le abbia in qualche modo oggettivamente provocate (nel senso letterale del termine: di “chiamate a sé”).

Chi non si rende conto che determinate sue affermazioni, fossero pure perfettamente razionali e irreprensibili sul piano del costume e della morale occidentale, sono invece inopportune e fuori luogo (anche in società laiche e non confessionali come le nostre), perché poco rispettose di una cultura altra, non è un vero illuminista, ma solo uno sciocco, perché presuntuoso, irresponsabile.

Una cosa è argomentare e criticare anche severamente le idee diverse dalle nostre (e questo è “illuminismo”, sano e del tutto legittimo, anzi sacrosanto), altra cosa è disprezzare e irridere le idee diverse dalle nostre, fosse pure utilizzando “l’arma” della satira (e questo, almeno per me, è il contrario dell’illuminismo, perché è una forma di intolleranza speculare, anche se opposta, a quella che si vuole criticare).

© Giovanni Lamagna

Ignoranza, ingenuità, ipocrisia, consapevolezza, sapienza, dialogo, stupidità, umiltà, saccenteria, paternalismo: alcune precisazioni terminologico-concettuali.

Il mio amico di facebook, Bruno Cancellieri, tempo fa (esattamente il 18 gennaio 2019) pubblicò sulla sua pagina il seguente post:

Al “so di non sapere” socratico preferisco un più realistico e smaliziato, meno ingenuo e meno ipocrita “so di essere arrogante”.

Il problema non è l’arroganza, ma ignorare di essere arroganti o credersi umili.

Perché ognuno di noi sa di sapere qualcosa di più e meglio di qualcun altro e, in tal senso, è arrogante.

Di conseguenza, ogni insegnamento o consiglio è un atto di arroganza”.

Trovai molto stimolanti le riflessioni del mio amico e le commentai con le parole che seguono:

“Caro Bruno, a mio avviso il “so di non sapere” socratico non era affatto ingenuo ed ipocrita, come tu lo definisci.

Infatti, Socrate (sempre a mio avviso) era ben consapevole di conoscere molte cose e, soprattutto, di saperne molte di più di tanti suoi interlocutori, con i quali amava intrattenersi con atteggiamento maieutico.

La sua consapevolezza di uomo saggio era, tra l’altro, confermata continuamente dal modo in cui si concludevano tutti i suoi dialoghi con gli interlocutori che provavano a metterlo in difficoltà: sempre egli riusciva, regolarmente, a smontare i loro argomenti.

La sua dichiarazione di ignoranza non si riferiva, quindi, al rapporto con gli altri uomini con cui interloquiva (in questo caso, sì, sarebbe stato ipocrita), ma alla consapevolezza dell’immensità della Sapienza, che tutti ci sovrasta e di fronte alla quale siamo tutti nani, compreso Socrate.

Il nostro sapere (volendo parafrasare Freud) è per sua natura interminabile, giammai terminabile. Nel senso che la nostra ricerca di sapere è destinata e chiamata a durare tutta la vita.

In questo senso siamo e resteremo sempre ignoranti, non saremo mai definitivamente e del tutto in possesso del sapere potenziale a nostra disposizione.

In questo senso (e solo in questo senso, io credo) Socrate si riteneva ignorante. Non certo per celia ipocrita. E tutti quanti noi faremmo bene a considerarci in questo simili a lui, suoi modesti allievi.

Tu confondi, poi, (almeno a me pare) l’arroganza con la consapevolezza.

Io posso avere consapevolezza di essere oggettivamente più istruito e perfino più colto di altri. Ad esempio, del mio salumiere o del mio macellaio. Ma questo non è un atto di arroganza, è una semplice (e perfino ovvia) presa d’atto. Che né il mio salumiere né il mio salumaio mi contesterebbero mai.

Come posso essere consapevole di essere oggettivamente meno istruito e colto di tanti uomini, che io considero miei maestri spirituali oltre che intellettuali. Faccio due esempi notissimi e indiscutibili, che tutti abbiamo conosciuto, perché vicini alla nostra generazione: Norberto Bobbio e Umberto Eco.

Questa consapevolezza è talmente ovvia ed acclarata, che sarebbe pura stupidità non averla. Cosa c’entra qui l’ingenuità e l’ipocrisia? Affermare da parte mia di saperne più di Bobbio e di Eco non sarebbe un atto di arroganza, sarebbe un atto di pura cretineria.

Qui l’umiltà non c’entra niente: si tratta semplicemente di avere il senso della propria misura. Lo stesso che mi porterebbe ad evitare lo scontro fisico, quand’anche mi avesse fatto un affronto inaccettabile, con il campione mondiale dei pesi massimi.

Infine: ogni insegnamento e consiglio sono per te atti di arroganza? Io dico: dipende…

Dipende innanzitutto da chi li da. C’è chi ha la pretesa di darli senza averne l’autorità morale e quella intellettuale; e, in questo caso, si tratta di arroganza. Arroganza e ignoranza spesso vanno a braccetto. Ma c’è anche chi li dà avendone l’autorità sia morale che intellettuale; ed in questo caso esercita il suo legittimo magistero.

Dipende poi da come li si danno. C’è chi dispensa insegnamenti e consigli come se fossero oracoli; e in questo caso chi si comporta così è saccente, più che arrogante. C’è chi invece offre insegnamenti e consigli pronto al dialogo, perfino al confronto aspro e polemico: in questo caso non vedo né saccenteria né, tantomeno, arroganza.

Dipende, infine, da chi li chiede. Quando gli insegnamenti e i consigli vengono richiesti, è difficile accusare chi li dà di saccenteria o di arroganza. Se invece essi non sono stati richiesti, allora, qui più che di arroganza, parlerei di cattivo gusto e invadenza, intromissione negli affari degli altri; in altre parole di paternalismo, se non di vera e propria maleducazione.

Ti ringrazio di avermi dato lo spunto per questa che, almeno per me, è stata un’utile occasione di riflessione.”

© Giovanni Lamagna