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Banalità, superficialità e presunzione.

Mi ritrovo talvolta a dire o scrivere cose che (ne sono perfettamente consapevole) sono (o dovrebbero essere) scontate; e, quindi, sono (o possono apparire) banali.

Perché lo faccio allora?

Perché osservo che il livello di consapevolezza di sé (almeno sui grandi numeri) è talmente basso e superficiale da rendere necessario (e si spera utile, almeno in qualche caso) ricordare cose che in sé sono oggettivamente scontate e, quindi, banali.

Anche (anzi proprio) a coloro che con grande sufficienza, saccenteria e, perfino, ricorrendo all’ironia e al sarcasmo, ascoltandole o leggendole, (già lo so) le bolleranno immediatamente (e altrettanto superficialmente) come banali e scontate.

Come se per loro fossero davvero scontate e banali.

Cosa che – proprio a giudicare dalle loro reazioni – a me non sembra affatto.

© Giovanni Lamagna

Ignoranza, ingenuità, ipocrisia, consapevolezza, sapienza, dialogo, stupidità, umiltà, saccenteria, paternalismo: alcune precisazioni terminologico-concettuali.

Il mio amico di facebook, Bruno Cancellieri, tempo fa (esattamente il 18 gennaio 2019) pubblicò sulla sua pagina il seguente post:

Al “so di non sapere” socratico preferisco un più realistico e smaliziato, meno ingenuo e meno ipocrita “so di essere arrogante”.

Il problema non è l’arroganza, ma ignorare di essere arroganti o credersi umili.

Perché ognuno di noi sa di sapere qualcosa di più e meglio di qualcun altro e, in tal senso, è arrogante.

Di conseguenza, ogni insegnamento o consiglio è un atto di arroganza”.

Trovai molto stimolanti le riflessioni del mio amico e le commentai con le parole che seguono:

“Caro Bruno, a mio avviso il “so di non sapere” socratico non era affatto ingenuo ed ipocrita, come tu lo definisci.

Infatti, Socrate (sempre a mio avviso) era ben consapevole di conoscere molte cose e, soprattutto, di saperne molte di più di tanti suoi interlocutori, con i quali amava intrattenersi con atteggiamento maieutico.

La sua consapevolezza di uomo saggio era, tra l’altro, confermata continuamente dal modo in cui si concludevano tutti i suoi dialoghi con gli interlocutori che provavano a metterlo in difficoltà: sempre egli riusciva, regolarmente, a smontare i loro argomenti.

La sua dichiarazione di ignoranza non si riferiva, quindi, al rapporto con gli altri uomini con cui interloquiva (in questo caso, sì, sarebbe stato ipocrita), ma alla consapevolezza dell’immensità della Sapienza, che tutti ci sovrasta e di fronte alla quale siamo tutti nani, compreso Socrate.

Il nostro sapere (volendo parafrasare Freud) è per sua natura interminabile, giammai terminabile. Nel senso che la nostra ricerca di sapere è destinata e chiamata a durare tutta la vita.

In questo senso siamo e resteremo sempre ignoranti, non saremo mai definitivamente e del tutto in possesso del sapere potenziale a nostra disposizione.

In questo senso (e solo in questo senso, io credo) Socrate si riteneva ignorante. Non certo per celia ipocrita. E tutti quanti noi faremmo bene a considerarci in questo simili a lui, suoi modesti allievi.

Tu confondi, poi, (almeno a me pare) l’arroganza con la consapevolezza.

Io posso avere consapevolezza di essere oggettivamente più istruito e perfino più colto di altri. Ad esempio, del mio salumiere o del mio macellaio. Ma questo non è un atto di arroganza, è una semplice (e perfino ovvia) presa d’atto. Che né il mio salumiere né il mio salumaio mi contesterebbero mai.

Come posso essere consapevole di essere oggettivamente meno istruito e colto di tanti uomini, che io considero miei maestri spirituali oltre che intellettuali. Faccio due esempi notissimi e indiscutibili, che tutti abbiamo conosciuto, perché vicini alla nostra generazione: Norberto Bobbio e Umberto Eco.

Questa consapevolezza è talmente ovvia ed acclarata, che sarebbe pura stupidità non averla. Cosa c’entra qui l’ingenuità e l’ipocrisia? Affermare da parte mia di saperne più di Bobbio e di Eco non sarebbe un atto di arroganza, sarebbe un atto di pura cretineria.

Qui l’umiltà non c’entra niente: si tratta semplicemente di avere il senso della propria misura. Lo stesso che mi porterebbe ad evitare lo scontro fisico, quand’anche mi avesse fatto un affronto inaccettabile, con il campione mondiale dei pesi massimi.

Infine: ogni insegnamento e consiglio sono per te atti di arroganza? Io dico: dipende…

Dipende innanzitutto da chi li da. C’è chi ha la pretesa di darli senza averne l’autorità morale e quella intellettuale; e, in questo caso, si tratta di arroganza. Arroganza e ignoranza spesso vanno a braccetto. Ma c’è anche chi li dà avendone l’autorità sia morale che intellettuale; ed in questo caso esercita il suo legittimo magistero.

Dipende poi da come li si danno. C’è chi dispensa insegnamenti e consigli come se fossero oracoli; e in questo caso chi si comporta così è saccente, più che arrogante. C’è chi invece offre insegnamenti e consigli pronto al dialogo, perfino al confronto aspro e polemico: in questo caso non vedo né saccenteria né, tantomeno, arroganza.

Dipende, infine, da chi li chiede. Quando gli insegnamenti e i consigli vengono richiesti, è difficile accusare chi li dà di saccenteria o di arroganza. Se invece essi non sono stati richiesti, allora, qui più che di arroganza, parlerei di cattivo gusto e invadenza, intromissione negli affari degli altri; in altre parole di paternalismo, se non di vera e propria maleducazione.

Ti ringrazio di avermi dato lo spunto per questa che, almeno per me, è stata un’utile occasione di riflessione.”

© Giovanni Lamagna