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Figlio/a di zoccola!

A Napoli si usa appellare spesso qualcuno o qualcuna con l’espressione “sei un figlio (o una figlia) di zoccola!”.

A volte con un’intenzione chiaramente offensiva e dispregiativa.

Più spesso col tono affettuoso di chi sta a fare addirittura un complimento.

Perché dico questo?

Per evidenziare che (anche) nella cultura popolare il termine “zoccola” ha una valenza quantomeno ambivalente.

Può significare una persona del tutto negativa: volgare, rozza, moralmente inaffidabile, una persona che si prostituisce.

Ma può anche significare (e più spesso significa) una persona in gamba, una persona con i giusti attributi (e qui non mi riferisco solo a quelli sessuali, anche se pure a quelli), una persona che sa quello che vuole e sa farsi valere; in svariati campi.

© Giovanni Lamagna

Dolore e mammismo.

Se, ogni volta che vivo un dolore o anche solo un disagio, mi vado a gettare tra le braccia di mamma (o di un suo sostituto totemico: mia moglie, mio marito, mia sorella, mio fratello, un mio amico, una mia amica, in certi casi persino un mio figlio o una mia figlia), non crescerò mai, non diventerò mai una persona adulta.

Resterò a vita un/a bambino/a fragile e piagnucoloso/a, che avrà bisogno sempre di tutele e protezioni; materne (o pseudo-materne), appunto!

In cerca dell’amore materno che mi è mancato probabilmente quando ero bambino/a; o mi è stato dato in maniera sbagliata, scorretta, inadeguata.

© Giovanni Lamagna

Maternità e femminilità.

Ritengo che una donna diventata madre debba recuperare ben presto il suo ruolo di femmina.

Trascorsa la fase dell’allattamento e dello svezzamento del bambino, nella quale è (forse) naturale, quasi fatale, che prevalga la sua dimensione di mamma.

Una donna, che, invece, (come talvolta, anzi spesso, accade) rimane mamma a vita, tradisce se stessa.

E fa del male non solo a se stessa e al suo compagno di vita, che si sentirà da lei tradita, ma, in fondo, anche al figlio o alla figlia.

© Giovanni Lamagna

Rapporti schiavi del bisogno di affetto

Alcune (molte?) persone vivono i loro rapporti con gli altri ponendosi unicamente nella posizione del figlio o della figlia, bisognoso/a di affetto.

Lo fanno nel rapporto di coppia. Nel rapporto con gli amici. Perfino nel rapporto con i loro stessi figli.

Ritengo che la ragione principale di questo modo di comportarsi stia nel fatto che ricercano nei rapporti con gli altri quell’amore che non hanno mai ricevuto dai loro genitori.

O lo hanno ricevuto, evidentemente, in una maniera del tutto sbagliata.

Giovanni Lamagna

Che cos’è l’amore che proviamo per l’altro/a?

Che cos’è l’amore che diciamo di provare per l’altro/a?

E’ davvero il sentimento di attrazione per le caratteristiche della persona di cui ci diciamo innamorati?

E’ davvero l’altro/a (cioè quello che egli/ella è) che amiamo?

O piuttosto siamo attratti dall’amore che l’altro/a ci sta dando, ha cominciato a darci?

Siamo noi che amiamo per primi?

O è piuttosto l’altro/a che ha cominciato ad amarci per primo/a e noi ci siamo semplicemente innamorati del suo amore, siamo stati lusingati, sedotti dal suo amore.

D’altra parte non sarebbe la prima volta che quest’ultima cosa accade.

Che cosa è, infatti, l’amore di un figlio o di una figlia per la madre, se non la risposta, incondizionata, automatica, istintiva, ineluttabile, all’amore della madre?

Quale figlio o figlia sceglie la madre? Nessun figlio e nessuna figlia ama la madre per quello che lei è, per le sue caratteristiche.

La ama semplicemente ed essenzialmente perché ne ha ricevuto amore. Perché è stato scelto, desiderato da lei. Non certo perché ha scelto e desiderato sua madre.

Nessun/a figlio/a sceglie la madre. Nessun/a figlio/a ama per primo/a. Il suo amore è semplicemente una risposta all’amore, primo, della madre.

Allora, quando ci innamoriamo, quando cioè cominciamo a provare amore/attrazione per qualcuno/a, non è che ripetiamo lo stesso schema di rapporto?

Siamo noi ad amare per primi e a sedurre l’altro/a?

Può darsi. In alcuni casi sarà sicuramente così.

Ma può anche darsi che no. Può anche darsi che sia l’altro/a ad amarci per primo/a e a portarci a sé, a sedurci nel senso letterale del termine.

Come parecchi anni prima aveva già fatto nostra madre, dandoci l’imprinting di quello che sarebbe stato ogni amore futuro.

Giovanni Lamagna