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Tre alternative al “selvaggio/civilizzato”.

Ci sono tre alternative al “selvaggio/civilizzato” ovverossia all’uomo che si è civilizzato, evoluto, senza perdere però il contatto con la sua natura primigenia, con le sue radici animali.

La prima è, naturalmente, il “selvaggio/bestiale”, ovverossia l’uomo che rimane bestia, che non si è evoluto, che si comporta in un modo più vicino a quello degli animali che a quello degli umani.

La seconda è la negazione stessa del “selvaggio”, ovverossia l’uomo pienamente addomesticato, integralmente conforme ai modelli sociali prevalenti; quindi, in qualche modo, artefatto, artificiale, inautentico, non genuino.

La terza è la sublimazione totale del “selvaggio” in nome di uno spiritualismo sovraumano o, meglio, extraumano, angelicato e, quindi, negatore della realtà materiale della vita, del valore della corporeità.

Queste tre alternative non si presentano mai (tranne che in rari casi) in maniera secca, integrale, nella stessa persona, ma piuttosto in forme e gradi diversi, perfino a seconda dei momenti e delle situazioni.

È difficile incontrare un uomo rimasto “selvaggio” al livello giusto e “civilizzato” nel modo giusto.

Perfino Freud ritiene che l’uomo debba inevitabilmente pagare un dazio pesante alla natura (e quindi al suo essere “selvaggio”), per diventare pienamente “civilizzato”.

In ciò consiste, appunto, il “Disagio della civiltà”, oggetto di un suo saggio famoso del 1930.

© Giovanni Lamagna

Due modi di pensare

Ci sono due modi di pensare, due finalità e, quindi, modalità di utilizzo del pensiero, che, a pensarci bene, sono radicalmente diversi tra di loro.

Il primo è il pensiero logico, il pensiero che utilizza esclusivamente gli strumenti e il metodo della logica, della mente, dell’intelletto: è il pensiero che ragiona esclusivamente in rapporto a se stesso, in “splendido” isolamento (il pensiero matematico) o tutt’al più in rapporto con e osservando il mondo esteriore, esaminandolo freddamente, sezionandolo, riducendolo a frazioni, ad atomi, riunificandolo, sottoponendolo ad esperimenti (il pensiero delle scienze naturali).

Il secondo pensiero è quello introspettivo, che mira all’analisi di sé, o quello che io definisco contemplativo (Heidegger lo chiama “meditante”), che mira, guarda al mondo altro da sé, ma non per esaminarlo, sezionandolo, squadernandolo freddamente, bensì per comprenderlo, con sguardo sintetico, intuitivo e non analitico, e soprattutto restando in rapporto con il sé, senza cioè separarsi dalle altre dimensioni della psiche, ovverossia dalle emozioni, dai sentimenti, dagli affetti.

E’ (forse) questo il pensiero che muove l’artista (soprattutto il poeta) o che muove il mistico; e che dovrebbe muovere, a mio avviso, anche il filosofo; dovrebbe, ma non sempre lo fa nella realtà.

Perché molto spesso anche il filosofo o, meglio, il filosofo accademico, il filosofo delle scuole e delle Università, mi verrebbe di dire il “presunto filosofo”, il filosofo che vive la filosofia come una professione e non come una modalità dell’esistere, preferisce adoperare il primo e non il secondo tipo di pensiero.

Umberto Galimberti, nel suo libro “Heidegger e il nuovo inizio” (Feltrinelli; 2020), a me sembra dire (a pag. 28), con parole diverse, ma concettualmente affini, riferite in questo caso al filosofo tedesco di cui sta analizzando il pensiero, più o meno le stesse cose che ho inteso dire io poco sopra.

Infatti così scrive: “Rispetto al modo di pensare della metafisica occidentale, Heidegger ha modificato radicalmente e in modo sostanziale la nozione di pensiero, nel senso che, dopo di lui, pensare assume un significato diverso da quello che ha sempre avuto nella metafisica che ha governato il pensiero dell’Occidente. Si tratta, infatti, di un pensiero che rovescia le prescrizioni di quella logica che va alla ricerca di fondamenti scientifici o di fondi a disposizione per l’operare tecnico.

Heidegger addirittura parla di un “abisso” che divide i due modi di pensare, che abitano due regioni totalmente diverse, tra le quali non è possibile costruire alcun “ponte”: “l’unico passaggio possibile è il salto (Sprung)”.

Ed io sono totalmente d’accordo con lui: i due pensieri di cui parlavo prima danno origine a due modi di vivere totalmente e radicalmente diversi.

Il primo, il pensiero scientifico/tecnologico genera un modo di vivere nel quale prevale l’esteriorità e domina, quindi, il valore degli oggetti, dell’accumulare, del consumare e dell’avere.

Il secondo, il pensiero contemplativo/meditante, genera un modo di vivere nel quale prevale l’interiorità e domina, quindi, il valore del dono, della gratuità, della condivisione, della sobrietà, dell’essere.

A seconda se in una società o in un’epoca prevale l’uno o l’altro pensiero essa può essere definita in un modo o in un altro.

La società in cui prevale il pensiero contemplativo/meditante è una società fondamentalmente umanistica, ancorata alla centralità dell’uomo e della natura.

La società in cui prevale il pensiero scientifico/tecnologico va fatalmente verso il post-umano, il post-naturale, l’artificiale e sarà perciò probabilmente definita postumanistica e, addirittura, post-naturalistica.

© Giovanni Lamagna