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Visioni e allucinazioni

Per come ci appare nel Vangelo Gesù è pienamente figlio della tradizione giudaica.

Egli si considera il Messia, atteso dagli Ebrei, cioè colui che sarebbe venuto ad annunciare la prossima, vicina, fine del mondo con la conseguente venuta del Regno dei Cieli.

Ora, se per regno dei Cieli intendiamo un mondo in cui regnino l’amore, la pace e l’armonia, un mondo “in cui il lupo dimorerà insieme con l’agnello”, il suo annuncio ha una forza profetica straordinaria e per me è valido ancora oggi.

Anche se è da leggere, ovviamente, in una prospettiva del tutto utopica, ovverossia di ciò che il mondo potrebbe essere ed è (almeno per alcuni, tra i quali il sottoscritto) chiamato ad essere.

Ma non è di certo prossimo, a portata di mano e, probabilmente, non sarà mai. L’utopia (forse) non si realizzerà mai, ma ha la funzione di indicarci la direzione di marcia, come ci dice una splendida poesia di Eduardo Galeano.

Se per Regno dei Cieli intendiamo, invece, la fine materiale, fisica di questo mondo e l’avvento di un mondo ultraterreno, metafisico, allora la predicazione di Gesù è da considerare del tutto delirante.

Come è spesso l’annuncio dei profeti: un misto di visioni intrise di profonda saggezza, che parlano anche a distanza di tempo, e di allucinazioni farneticanti, definitivamente smentite poi dalla storia successiva all’annuncio.

© Giovanni Lamagna

I concetti di sincronicità e premonizione/presentimento in Jung

Alle pagine 478 e 479 della sua (quasi) autobiografia (“Ricordi, sogni, riflessioni”, raccolti ed editi da Aniela Jaffé; BUR Saggi) Jung espone il concetto di “sincronicità”.

Per “sincronicità” Jung intende, a detta della Jaffé, “… la significativa coincidenza o corrispondenza

a) di un accadimento psichico e di uno fisico, senza che vi sia relazione causale tra l’uno e l’altro. Tali fenomeni sincronistici avvengono, per esempio, quando vicende interne (sogni, visioni, presentimenti) trovano corrispondenza nella realtà esterna: l’immagine interiore o il presentimento si sono dimostrati “veri”;

 b) di sogni, pensieri, ecc., simili o uguali che hanno luogo contemporaneamente in luoghi diversi. Né l’una né l’altra manifestazione può essere spiegata con la causalità. Sembrano piuttosto essere legate a processi archetipici nell’inconscio”.

Di questa teoria io sono ben disposto a prendere in considerazione il concetto di “presentimento”, che mi sembra affine a quello di “premonizione”, in riferimento a visioni, intuizioni, che si hanno il più delle volte nei sogni ma alcune volte anche in piena veglia e che preannunciano (o, meglio, preannuncerebbero), in anticipo o in coincidenza, fatti che poi si verificano realmente.

Anche se in questo caso parlerei più di ipotesi che di vera e propria tesi scientifica accertata, in quanto l’ipotesi della “premonizione” o del “presentimento” (almeno al momento) non è suffragata da nessuna prova di natura scientifica consolidata.

E’ a mio avviso, quindi, più un dato di fatto (interessante e significativo da registrare) che una vera e propria teoria scientifica da sostenere con ferma e totale assertività.

Minore importanza (anzi nessuna importanza) darei invece ai fenomeni che Jung pure inserisce nella categoria della “sincronicità”: quei fenomeni di tipo fisico che accadono in coincidenza con eventi di tipo psichico.

Come quello famoso raccontato dello scoppio (improvviso , fragoroso e ripetuto) di alcune mensole della libreria dello studio di Freud nel corso di una conversazione molto animata tra lo stesso Freud e Jung.

Anche questo, senza alcun dubbio, è un dato di fatto obiettivo e reale che si può registrare, di cui si può prendere atto, come puro e singolare fatto di cronaca. Ma non vedo quale interesse possa avere e cosa possa spiegare sul piano scientifico.

Provare a vedere una connessione tra l’estrema tensione venutasi a creare tra i due grandi psicoanalisti e la rottura verificatasi nelle mensole della libreria di Freud mi sembra francamente alquanto azzardato, per non dire del tutto bizzarro.

Anche io sono portato a pensare (come del resto sostenuto dallo stesso Freud in una lettera a Jung di qualche giorno dopo l’episodio) che in un caso come questo si sia trattato di pure coincidenze, del tutto fortuite e casuali.

A meno di non riuscire a dimostrare che, ogni volta che si verifica una lite (magari tra persone di particolare ingegno ed energia biopsichica), questa provochi anche effetti collaterali (dicesi altrimenti: danni) di natura fisica nell’ambiente circostante.

Nel primo caso, invece, (quello del “presentimento” o “premonizione”) si potrebbe ipotizzare (ma per il momento, ripeto, solo ipotizzare) un livello di comunicazione tra diverse unità psichiche o di intuizione di una singola psiche, che si realizzerebbe al di fuori dei normali processi di comunicazione o di percezione della realtà (quelli di cui oggi siamo a conoscenza oggi e che siamo stati capaci di indagare fino ad oggi in maniera scientifica adeguata).

Per cui non mi sento di escluderla del tutto come ipotesi di una qualche attendibilità, anche se ancora tutta da verificare e dimostrare, prima di poterla sostenere come tesi scientifica.

© Giovanni Lamagna

Svuotare la mente e liberarla dai desideri?

Per me – al contrario di quello che sostiene la cultura un tempo egemone nel lontano Oriente – non si tratta di “svuotare la mente, liberarla dal desiderio…”, come ci ricorda ancora oggi Byung-Chul Han nel suo “Il profumo del tempo” (pag. 69).

Io ritengo, infatti, che sia impossibile svuotare la mente dai suoi pensieri. Anche volendolo.

Cercare di farlo, quindi, come ci suggeriscono gli orientali, è un tentativo vano.

La mente, infatti, è i suoi pensieri. Per eliminare i pensieri bisognerebbe eliminare la mente. Cosa impossibile! Perché l’uomo è non solo mente, ma anche mente, non solo pensieri, ma anche pensieri.

Per eliminare mente e pensieri bisognerebbe dunque eliminare l’uomo stesso, uccidendolo o costringendolo a suicidarsi.

L’uomo può, tutt’al più, far fluttuare i pensieri, non inseguirli per metterli immediatamente in una sequenza logica, come di solito è abituato a fare in nome del primato della ragione su tutte le altre dimensioni della psiche.

Può farli galleggiare liberamente come palloncini che si librano nell’aria, in un gioco di libere associazioni, che generano altri pensieri e, soprattutto, emozioni, sentimenti, intuizioni, nuove visioni prospettiche.

E questo può essere sicuramente un modo creativo di utilizzare la mente e i pensieri: è l’esperienza della contemplazione, dell’arte e quella della psicoanalisi.

E, però, mai e poi mai l’uomo potrà liberarsi totalmente dei pensieri, svuotare totalmente la mente, come pretenderebbe un certo pensiero orientale.

…………………….

Ancora di più è vano, anzi è insano, liberare la mente dai desideri.

Il desiderio, infatti, – lungi dall’essere un male, fonte addirittura dell’infelicità umana, come sostiene un certo pensiero orientale, ad esempio il buddhismo – è forza vitale, è energia, è sangue che scorre nelle vene della vita psichica.

Spegnerlo avrebbe come effetto quello di togliere linfa alla vita stessa.

Si tratta, semmai, di coordinare i desideri, spesso contraddittori tra loro, di incanalarli, per non disperdere in mille rivoli la loro energia, di dare loro una direzione unitaria, laddove essi affiorano in noi il più delle volte senza un progetto coerente.

E si tratta soprattutto di aver coscienza del limite, quella che Lacan chiama “legge della castrazione” e, prima di lui, Freud aveva definito “principio della realtà”.

Non tutti i nostri desideri, infatti, potranno avere immediata soddisfazione, non tutti i nostri desideri potranno essere pienamente realizzati.

Ma, se quanto sopra è vero, è altrettanto vero che solo attraverso i desideri noi possiamo scoprire prima e trovare la forza poi di realizzare il nostro daimon, cioè il destino per il quale un giorno siamo venuti al mondo.

Aveva ancora una volta ragione, dunque, Lacan a sostenere che il peccato maggiore per ognuno di noi è quello di tradire “il proprio desiderio”. Altro che liberare la mente dai desideri!

Perché senza desideri la nostra vita è destinata tristemente a spegnersi. Come sanno bene i depressi, per i quali nessun desiderio ha valore, nessun desiderio anima e dà senso alla loro vita.

Per cui essi vivono (fisicamente) ma come se fossero morti (psichicamente).

Giovanni Lamagna