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Due tipi di follia

Effettivamente, come dice Erasmo da Rotterdam, ci sono due tipi di follia.

Ce n’è una che consiste nella pura perdita di contatto con la realtà ed ha come conseguenza (negativa) l’incapacità di entrare in comunicazione efficace con gli altri e di agire positivamente sulla realtà per modificarla in meglio.

E ce n’è un’altra che, invece, mantiene i piedi ben piantati nella realtà, ma non si rassegna ad essa così com’è, perché mira a modificarla in senso sempre più favorevole agli interessi degli uomini, come individui e come collettività.

La prima è sterile, anzi dannosa, perché pura fantasticheria, allucinazione, delirio, senso futile di onnipotenza, narcisismo solipsistico. Ed ha quindi, in molti casi, esiti devastanti, per sé e per quelli con cui viene in contatto.

La seconda è, invece, costruttiva, foriera di frutti e risultati positivi. Produce cambiamenti e innovazione, che migliorano la qualità della vita delle persone e delle comunità. E’ la follia che genera il progresso degli uomini.

Anche se spesso deve attraversare il deserto dell’incomprensione altrui, per rompere schemi consolidati, pregiudizi, conformismi. Spesso, almeno in prima battuta, viene, infatti, ostacolata, ostracizzata, in certi casi persino perseguitata.

© Giovanni Lamagna

Teoria e prassi

Una teoria senza prassi è inutile, sterile.

E’ vuoto e onanistico solipsismo.

Ma una prassi senza teoria è cieca avventura.

E’ attivismo banale e inconcludente.

© Giovanni Lamagna

E’ vera arte?

Reputo molta arte (o cosiddetta arte) contemporanea figlia di una sorta di solipsismo e di autoreferenzialità, perché incapace di (o, addirittura, indifferente a) comunicare realmente con lo spettatore (medio) dell’opera (che si vorrebbe) artistica.

Spettatore, che, a sua volta, in molti casi, si convince del “bello” che ha di fronte, solo grazie agli effetti (mi verrebbe di dire allucinogeni e perciò manipolatori) di un mercato impazzito.

Orientato da critici ed “esperti”, più o meno interessati, che “creano”, “inventano” l’artista piuttosto che limitarsi a scoprirne e valorizzarne il talento.

Probabilmente è sempre stato così, anche in altre epoche storiche. Tanto è vero che alcuni “artisti”, esaltati in vita, oggi nessuno se li ricorda più. Ed artisti, ignorati o addirittura disprezzati in vita, sono stati riscoperti a distanza di anni e, in alcuni casi, giudicati universalmente addirittura dei geni, autori di veri capolavori.

E’ sempre stato così, ma probabilmente oggi (in un’epoca nella quale la pubblicità è in grado di inventare di sana pianta il valore delle cose, attribuendolo anche a cose del tutto effimere e, in certi casi, perfino dannose) questo succede ancora di più.

Giovanni Lamagna

Chi è l’artista?

21 novembre 2015

Chi è l’artista?

L’artista è quell’uomo (o quella donna) che riesce a dare voce (attraverso la parola o i colori o le forme o i suoni o i gesti o la danza o il canto…) alle sue visioni interiori e, in qualche caso, ai suoi fantasmi, ai suoi demoni.

Questi, però, in qualche modo e misura, devono dare voce ed espressione anche alle visioni ed ai fantasmi di coloro che sono spettatori dell’opera d’arte.

I quali, infatti, si rispecchiano nelle visioni dell’artista, si sentono da lui espressi. E perciò sono presi dalla meraviglia dinanzi alla sua opera.

L’artista fa, potremmo dire, il lavoro che vorrebbero fare anche loro, senza esserne capaci.

Se questa seconda espressione (quella del rispecchiamento artista/spettatore) non avviene, non si dà arte.

Ma solo sterile solipsismo. Puro gesto autistico, non certo artistico.

Giovanni Lamagna