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La nostra personale visione del mondo.
“Il modo in cui i genitori guardano il mondo è il patrimonio più fondamentale che lasciano al figlio. Lo sguardo sul mondo è il primo dono che facciamo al figlio che viene al mondo,” (Massimo Recalcati; “Mantieni il bacio”; pag. 54)
Ho sempre pensato anch’io che la nostra personale visione del mondo fosse/sia il bene più prezioso che ciascuno di noi possiede.
Quindi condivido pienamente, assolutamente il pensiero di Recalcati: la nostra visione del mondo è il bene più prezioso che possiamo lasciare in eredità ad un nostro figlio.
Più dei soldi, più delle case, più di qualsiasi altro bene materiale; molto di più.
© Giovanni Lamagna
L’inganno della psicoterapia
Ci sono uomini e donne che vanno in psicoterapia per sentirsi dire quello che vogliono loro, per essere cioè confermati in buona sostanza nelle loro nevrosi e non per metterle seriamente in discussione.
Ovviamente vanno a perdere tempo, spendendo tra l’altro un sacco di soldi inutilmente.
Ma cosa non si fa per cambiare senza cambiare nulla, alla maniera del principe di Lampedusa, “il gattopardo”!
Può sembrare un paradosso, ma mi risulta da esperienze di persone che conosco: spesso in analisi si realizza proprio questo tipo di dinamica; nella quale ovviamente gli psicoterapeuti sono ampiamente collusi.
© Giovanni Lamagna
Il vero imprenditore
A me l’imprenditore che pensa innanzitutto, se non solo, a fare soldi, a ricavare profitti, fa sinceramente schifo.
Lo considero, infatti, un predatore, un prenditore, più che un imprenditore.
Per me il vero imprenditore è innanzitutto colui che ha una vocazione a mettere su un’impresa.
E per questo corre il rischio di investire il suo capitale.
Non solo.
Il vero imprenditore è colui che mette su un’impresa con la quale vuole fare del bene (sì, del bene: non abbiamo paura di chiamare le cose col loro nome), cioè procurare delle cose utili (non una qualsiasi cosa, purché si venda) alla società in cui egli vive e di cui si sente parte.
E questa (quella morale e psicologica, non già i soldi, il profitto) è la prima, principale ricompensa al suo lavoro.
A lui, quindi, basterà guadagnare il necessario per vivere dignitosamente, cioè più o meno (o poco più di) quanto guadagnano i suoi dipendenti.
Questo è il vero imprenditore.
In una società degna di essere chiamata umana.
Il prenditore, lo pseudo-imprenditore che pensa solo o innanzitutto ai ricavi e ai profitti, è un animale della giungla.
Non un animale civilizzato; ovverossia un essere umano.
© Giovanni Lamagna
Laddove è il nostro tesoro lì sarà anche il nostro erotismo
Il Vangelo dice “… là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6, 21).
Parafrasandolo, mi verrebbe di dire: laddove è il nostro tesoro, lì si concentrerà anche il nostro erotismo, la nostra pulsione erotica.
Se il nostro tesoro sarà una figlia o un figlio, lì si concentrerà il nostro erotismo.
Se il nostro tesoro sarà un amante, sarà lui ad assorbire in massima parte il nostro erotismo.
E la stessa cosa potrà avvenire con altri “tesori”, anche molto diversi tra di loro: il lavoro, la carriera, i soldi, la ricerca intellettuale, l’arte, il gioco…
© Giovanni Lamagna
I diversi gradi di un rapporto.
I rapporti tra gli esseri umani (sto parlando qui di un qualsiasi tipo di rapporto) possono situarsi a livelli e gradi diversi di intensità, di forza, di valore.
Il primo grado è quello dell’interesse.
Ovviamente qui non mi riferisco all’interesse materiale che io posso provare per un’altra persona: cioè al fatto che questa persona mi passa dei soldi, mi garantisce una certa quota del suo reddito o che ambisco a entrare in possesso della sua eredità (quantomeno di una sua quota parte).
Che, per carità, pure può essere una motivazione a stabilire e mantenere un rapporto. Ma non mi sembra, di certo, una motivazione sana, moralmente valida.
E non mi riferisco manco alla pura e semplice attrazione fisica e sessuale. Che mi sembra una motivazione troppo limitata ed elementare per sviluppare un vero e solido rapporto umano.
Qui io parlo dell’interesse spirituale che ciascuno di noi può provare per un’altra persona, che non ha niente a che fare con l’interesse materiale o non si limita all’attrazione fisica e sessuale, che posso nutrire nei suoi confronti.
Io sono interessato spiritualmente ad una persona quando questa persona mi piace per come è fatta, mi attira, ha un carattere, un’intelligenza, un modo di fare, uno stile di vita, potrei aggiungere anche dei valori, degli ideali, che in qualche modo finiscono per diventare per me addirittura un modello, qualcosa cioè con cui mi identifico.
La persona verso la quale provo interesse è una persona alla quale io vorrei in qualche modo, almeno per alcuni aspetti, assomigliare. E’ l’attrazione per un maestro o una guida spirituale, per un amico o anche per un parente, col quale però il rapporto in un certo senso prescinde dalla semplice consanguineità, va oltre la normale familiarità affettiva, che di solito c’è tra parenti.
L’interesse di cui sto qui parlando non è un interesse solo (per usare un termine oggi molto in voga) “virtuale”, ovverossia del tutto teorico e solo dichiarato. E’ un interesse reale, molto pratico, che si dimostra coi fatti.
Incontrando il più possibile la persona con cui si è in un tale tipo di rapporto, frequentandola, conversando spesso con lei, facendole delle attenzioni (piccole o grandi) continue. E’ un interesse, insomma, avvertito molto chiaramente dalla persona che ne è oggetto, sul quale questa persona non può nutrire dubbi.
Il secondo livello (per me già un po’ inferiore al primo) è dato dall’affetto.
Io posso non provare interesse per una persona, nel senso di non sentirmi spontaneamente, istintivamente attirata da lei, eppure posso provare affetto per lei.
L’affetto è una forma di attaccamento ad una persona di natura prevalentemente emotiva, a volte addirittura irrazionale, che può scaturire dalle motivazioni più varie. In genere è legato ad una qualche forma di parentela: più il grado di parentela è stretto più è grande l’affetto.
Oppure ad una qualche forma di vicinanza o frequentazione abituale: a furia di vedere una persona o di passarci dei momenti assieme, ci si affeziona a questa persona; quindi nasce e si consolida un affetto per lei.
L’affetto può accompagnarsi all’interesse spirituale di cui ho parlato prima. In questo caso l’uno rafforza l’altro e viceversa.
Ma può anche prescinderne (più o meno) completamente. Nel senso che io posso volere bene ad una persona, avere quindi affetto per lei, anche senza provare un vero interesse spirituale nei suoi riguardi.
Posso provare, ad esempio, affetto per i miei parenti, anche senza essere spiritualmente e profondamente attratto dalle loro persone, quindi interessato a loro per come sono fatti umanamente.
Per questo per me l’affetto è un sentimento inferiore rispetto all’interesse. Infatti, l’interesse per una persona contempla quasi sempre anche una qualche forma di affetto per questa persona. Mentre non vale il reciproco: io posso provare affetto per una persona, senza provare un interesse spirituale profondo per lei.
Il terzo grado di un rapporto è dato dalla gratitudine, dalla riconoscenza.
Io posso non provare interesse per una persona, posso perfino non provare un particolare affetto per lei, e, però, provare gratitudine, riconoscenza, per il bene o, al limite, per i favori (o anche un singolo favore) che questa persona mi ha fatto.
Esiste una differenza profonda tra i primi due gradi del rapporto e questo terzo. Infatti, l’interesse e l’affetto non si comandano, sono sentimenti spontanei, non me li posso imporre. Non posso impormi di essere attratto da una persona e non posso neanche impormi di volerle bene come moto spontaneo, naturale.
Posso, invece, impormi la riconoscenza, la gratitudine. Se una persona mi ha regalato delle cose (dei soldi, dei favori, un sostegno di qualsiasi tipo…) io sono tenuto ad esserle riconoscente, grato.
Se non dall’affetto (che pure sarebbe naturale, ma che – ripeto – non ci si può imporre) almeno dalla buona educazione.
Il quarto grado di un rapporto, quello più elementare, quello minimo, è dato dal rispetto.
Io dico che è quello minimo, perché, se viene meno il rispetto, viene meno il rapporto stesso. In caso di mancanza di rispetto, infatti, il rapporto (o, meglio, una parvenza di esso) può continuare a sussistere solo se la persona a cui viene tolto il rispetto è talmente masochista, nel senso che ha talmente poco rispetto di se stessa, da tenersi, sopportare la mancanza di rispetto dell’altro..
Nel caso, poi, in cui la mancanza di rispetto sia addirittura reciproca, credo sia a tutti evidente che vengono a mancare le condizioni minime di un qualsiasi tipo di rapporto tra due persone.
Un rapporto può nascere, svilupparsi e durare nel tempo sulla base di un interesse spirituale, dell’affetto o della riconoscenza/gratitudine. Ma senza rispetto reciproco non ci può essere nessun vero rapporto. Senza rispetto reciproco un rapporto, un qualsiasi rapporto, manco nasce.
Giovanni Lamagna