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Motivazioni all’impegno in politica.

Sarebbe bene che chi è impegnato in politica si interrogasse continuamente sulle reali motivazioni (quelle inconsce e non solo quelle consce) che lo hanno spinto e continuano a spingerlo verso un tale impegno.

Sicuramente in questo modo farebbe meglio di quanto non fanno normalmente quelli che sono impegnati in politica; quantomeno farebbe meno danni.

© Giovanni Lamagna

Le motivazioni e le dinamiche dell’esperienza mistica.

Freud nel famoso epistolario con il suo amico francese, il letterato vincitore di un premio Nobel Romain Rolland, spiega l’esperienza mistica (il “sentimento oceanico” di fusione con il Tutto, di cui gli aveva scritto Rolland) con il bisogno/desiderio regressivo di ritornare nell’utero materno, laddove l’uomo ha sperimentato – è dato supporre – le massime sensazioni di benessere e di felicità.

A me pare (come del resto a molti altri, di cui ho letto; per primo a Rolland, ovviamente, e poi a Jung, già ai tempi di Freud e in polemica con lui, e poi a Elvio Facchinelli e poi a Romano Madera, per venire a tempi più recenti) che con questa sua lettura/interpretazione il grande genio austriaco, fondatore della psicoanalisi, abbia preso una grande toppata.

Ci sono, infatti, persone che vivono cronicamente desiderose di tornare nell’utero materno, la fantasia nevrotica di uscire dal mondo esterno – nel quale le ha proiettate la nascita e nel quale sono incapaci di sperimentare il minimo benessere – per ritornare all’indietro nel guscio protettivo, nel quale, invece, hanno vissuto una condizione di (oramai perduta) felicità.

Sono però le persone nevrotiche di cui Freud si sarà occupato cento volte nel corso della sua esperienza di psicoterapeuta; persone proiettate all’indietro, con lo sguardo rivolto al passato, incapaci di guardare al futuro, anzi terrorizzate da quello che prospetta loro la vita che hanno davanti, in un movimento, in una postura che non hanno nulla a che fare con quelli del mistico.

Il mistico, infatti, fa il movimento esattamente contrario: ha maturato la consapevolezza che ogni idea/desiderio di ritorno all’indietro (simbolicamente nell’utero materno, appunto!) è del tutto impossibile, una pura fantasia nevrotica e autodistruttiva, e perciò si proietta in avanti.

Certo alla ricerca di una felicità che in qualche modo possa assomigliare a quella sperimentata nell’utero della madre, che, come dice Jung, “fu per noi il primo oggetto, con la quale un tempo noi fummo veramente una cosa sola” (“Simboli della trasformazione”; Bollati Boringhieri 1970; p. 318).

Ma in una direzione esattamente opposta a quella della persona nevrotica; lo fa guardando in avanti e non all’indietro, aprendosi al mondo nel quale lo ha proiettato la nascita e non rifuggendone, cercando l’unione col Tutto e, quindi, con tutti i suoi simili nelle loro variegate diversità e non (come fa invece il nevrotico) con l’Unico e sempre Uguale, rappresentato dalla figura materna e simbolicamente dal suo utero.

La felicità che cerca il mistico è dunque una condizione da conquistare faticosamente e non un’eredità di cui godere gratuitamente, il frutto di un’ascesa e non di una discesa, di una crescita spirituale e non di una regressione psichica, di una espansione e non di una contrazione o chiusura.

Chi è il mistico, quali caratteristiche deve avere, a quale chiamata risponde, lo descrive in maniera esemplare, come meglio, a mio avviso, non si potrebbe, il passo del Vangelo di Luca (14; 25-33), che qui riporto integralmente:

25Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: «Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro».

31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.

33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.” (Testo CEI 2008).

Ora, se noi spogliamo questo testo di tutti gli orpelli legati strettamente alla biografia del Cristo e ne traduciamo in termini del tutto laici e perfino mondani il linguaggio, siamo in grado di comprendere con estrema chiarezza chi è il mistico.

Ovverossia una persona tutt’altro che attaccata al passato, meno che mai ai legami familiari, in primis a quelli di sangue.

Una persona adulta, matura, saggia, capace invece di fare progetti e dotata di un acuto senso della realtà, come non lo è invece la persona bloccata psicologicamente.

Una persona che si priva di tutti i suoi averi, compresi quelli a cui si era appigliato quando era bambino, per seguire la propria vocazione; per seguire – avrebbero detto i Greci, che Freud tanto amava – il proprio daimon.

Altro che “desiderio di ritornare alle percezioni neonatali o all’utero materno” (Romano Madera; “Lo splendore trascurato del mondo”; Bollati Boringhieri 2023)!

© Giovanni Lamagna

Il valore del sacrificio.

Il sacrificio non è un valore in sé.

Ma sono il “che cosa”, il “chi”, il “perché”, il “quando” che stanno alla base del sacrificio a dargli valore e motivazioni.

Al di fuori di tali motivazioni il sacrificio non solo è inutile, ma sciocco e (almeno per me) perfino patologico masochismo.

@ Giovanni Lamagna

Vivere dentro e vivere fuori.

19 aprile 2016

Vivere dentro e vivere fuori.

Ci sono uomini (e donne) che amano (e sono capaci di) guardare solo all’esterno, solo fuori si sé.

Sono, magari, molto attenti alla realtà sociale, politica, alla cronaca e, perfino, alla storia. Sanno, magari, fare grandi analisi economiche, sociali, politiche, storiche, filosofiche, culturali in genere, ma del tutto incapaci di guardarsi dentro, di fare un minimo di introspezione.

Anzi rifuggono totalmente da questo tipo di sguardo, come se li appestasse. O, nella migliore delle ipotesi, come se fosse una perdita di tempo o, addirittura una specie di malattia, una forma di depressione o un atto di puro narcisismo.

In questo modo sono incapaci di analizzare le proprie emozioni e i propri sentimenti. In certi casi incapaci perfino di provarne. Non si preoccupano di valutare i loro comportamenti e le reali motivazioni che stanno loro dietro. Agiscono, ma non si chiedono per quali ragioni profonde lo fanno.

Sono disinteressati a qualsiasi processo di crescita interiore, convinti che i cambiamenti possano e debbano avvenire solo fuori, nella realtà sociale e politica esterna, e non (anche, se non prima di tutto) dentro ciascuno di noi.

Queste persone sono adulte fuori, ma immature, quando non addirittura infantili, dentro.

Altri uomini (e donne), all’incontrario, sono del tutto ripiegati/e su stessi/e, si guardano dentro dalla mattina alla sera e quasi si disinteressano di quello che succede fuori di loro, come se il “fuori” non li riguardasse.

Sono capaci di fini autoanalisi e introspezioni psicologiche, ma del tutto incapaci di analizzare la realtà economica, sociale, politica che li circonda. Anzi di questa sembrano addirittura non interessati/e, come se essa non li riguardasse, come se essi/e vivessero sotto una campana di vetro, in una specie di eremo o di esilio volontario dall’umanità.

Non solo non fanno nulla per migliorare il mondo o per contribuire ad eliminare almeno qualcuna delle numerose e gravi ingiustizie che lo affliggono, ma di esse pare quasi che non si accorgano neanche.

Il mondo potrebbe minacciare di crollare loro addosso, ma essi non farebbero niente per prevenire tale minaccia.

Queste persone sono malate di egotismo e, in alcuni casi, di forme più o meno gravi di narcisismo o depressione.

L’ideale per me sarebbe che ognuno di noi fosse capace di vivere sia dentro che fuori, che fosse attento e interessato sia a quello che succede dentro di sé, al proprio mondo interiore (fatto di pulsioni, emozioni, sentimenti, pensieri), sia a quello che succede fuori di sé (innanzitutto nelle relazioni con gli altri, con i più prossimi, e poi anche nella realtà sociale e politica più complessiva).

Che fosse attento e interessato a migliorare se stesso come singolo, come individuo, ma anche attento e interessato a contribuire al miglioramento della comunità, della collettività di cui è parte.

Giovanni Lamagna