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Mistica, eros e sessualità

E’ notorio che l’esperienza mistica, anche quella religiosa, soprattutto quella delle donne, ha mutuato spesso il linguaggio erotico.

Non a caso, alcune opere artistiche raffiguranti le estasi mistiche potrebbero essere confuse con quelle raffiguranti veri e propri orgasmi; una per tutte: la transverberazione di santa Teresa di Gian Lorenzo Bernini in santa Maria della Vittoria a Roma.

Questo sta a dimostrare che tra mistica, erotismo e sessualità sussiste, è sempre esistito, un legame manco tanto sotterraneo, anzi in alcuni casi del tutto esplicito.

Anche se la teologia cattolica lo ha sempre visto – com’era ovvio – con sospetto.

Secondo Anselm Grun (teologo e monaco benedettino, autore di “Mistica”; 2011; Morcelliana) ci sono due strade per coniugare mistica ed eros (p. 149-154).

La prima è quella di prendere consapevolezza fino in fondo della propria energia sessuale e poi sublimarla, quasi trasfigurarla, al fine di vivere un amore totalitario ed esclusivo per Dio: è questa la strada di coloro che si votano al celibato.

Questa strada prevede un taglio, un sacrificio, una rinuncia alla sessualità carnale, materiale, corporea, per vivere una sessualità di natura tutta spirituale, nella consapevolezza che nessuna creatura umana potrà mai estinguere la propria sete d’amore (ogni amore umano è sempre limitato, finito) e che questa potrà essere soddisfatta solo dal rapporto con Dio, che è, al contrario di quello umano, amore infinito.

La spiritualità del mistico celibe si alimenta dunque paradossalmente del “bisogno umano di tenerezza e di amore”, succhia continuamente del sangue dalla ferita “di non essere sposato e di non avere rapporti sessuali”.

L’amore per Dio – aggiunge Grun – non deve sostituire nel mistico-celibe l’amore per l’uomo, ma si ferma alla soglia del rapporto esplicitamente sessuale, che viene sublimato quasi per aumentare ed affinare la potenza dell’amore rivolto a Dio.

L’altra strada, di cui parla Anselm Grun, per coniugare mistica ed eros, è quella, più comune, di coloro che non rinunciano concretamente alla sessualità, ma la vivono nella consapevolezza che, se il loro amore (quindi anche l’amore sessuale) perde “il rapporto con l’ignoto, con il mistero dell’altro”, esso “è condannato all’insuccesso”.

“Perché l’amore umano possa riuscire, c’è bisogno del mistero che va oltre entrambi, c’è bisogno di questa diversità, di questo buio in mezzo alla luce” (p.151), come dice Dorothee Solle.

“Qui l’amore mistico per Dio non è in contrasto con l’amore tra uomo e donna, ma, anzi, è ciò che rende possibile l’amore autentico…

… Hans Jellouschek, un importante terapeuta della coppia, lo spiega affermando che nell’amore c’è un potenziale di trascendenza: l’amore tra due persone ha in sé sempre qualcosa che va oltre entrambe e rimanda all’amore infinito di Dio. L’amore tra uomo e donna riesce soltanto se essi diventano consapevoli del potenziale racchiuso nella loro sessualità. Allora l’uomo e la donna, nella unione sessuale, fanno al contempo l’esperienza di un andare oltre se stessi, entrando nell’amore infinito di Dio.

La mistica, perciò, non è fuori dal mondo, né qualcosa che allontana dal partner o dalla partner, bensì l’elemento di mistero che tiene vivo il nostro amore umano. La consapevolezza dell’esistenza del mistero di Dio tiene desto anche il mistero della persona amata. Quest’ultima resta la lontana-vicina, che siamo sempre capaci di amare perché continua a sottrarsi e, allo stesso temo, ci attrae. L’amore tra due persone, per riuscire, deve <costruire una sorta di reciprocità, nella quale si mantenga l’aspetto ignoto di quanto ci è noto, la diversità dell’altro. Soltanto così potrebbe far partecipare a un sacred power, a un potere condiviso dell’altro> (Dorothee Solle). In un mondo che non ha il senso del mistero di Dio muore anche il mistero dell’altro e, alla fine, anche l’amore muore e, come dice Dorothee Solle, si riduce ad un funzionalismo spietato.” (p.152-153)

In ogni caso, sia che si scelga la prima strada (quella della castità) sia che si scelga la seconda (quella della pratica fisica della sessualità), la via mistica non può essere surrogatoria della “incapacità di creare relazioni”. La via mistica non deve essere un rifugio per coloro che sono incapaci di risolvere “i loro problemi relazionali” (p.153).

Quali riflessioni mi ispirano le parole, che ho appena riportate, di Anselm Grun, Dorothee Solle e Hans Jellouschek?

La prima è che anche io, da mistico laico quale mi considero o, meglio, vorrei essere, vedo una profonda analogia, direi “simpatia”, vicinanza-assonanza tra mistica ed erotismo, tra mistica e sessualità. Entrambe le esperienze si alimentano e vivono dello stesso afflato, della stessa tensione, della stessa energia fisico-spirituale.

Se questo intreccio è vero per la mistica religiosa, lo è naturalmente in modo ancora più evidente e consapevole per la cosiddetta mistica laica, come la intendo io.

Naturalmente, da mistico laico, escludo la prima strada indicata da Anselm Grun: quella del celibato.

Non solo perché non la vedo necessaria e neanche funzionale ad una maggiore e più efficace elevazione spirituale di chi la sceglie e la pratica. Ma perché la vedo addirittura controproducente rispetto allo scopo che si propone.

Questa strada, infatti, si giustifica sulla base dell’antica dicotomia tra spirito e corpo, che è stata del tutto superata dalla scienza e dalla filosofia moderna.

Per le quali l’uomo non è un corpo + un’anima, realtà separate: la prima di natura inferiore, la seconda di natura superiore. Ma è un’unità psicofisica, nella quale il corpo influenza l’anima e l’anima il corpo.

Se cresce e sta bene l’anima cresce e sta bene anche il corpo, se all’incontrario si ammala il corpo si ammala anche l’anima e viceversa.

La sessualità, come tutte le manifestazioni della complessità umana, è una realtà psicofisica e come tale non solo non può e non deve essere esclusa da un percorso mistico-spirituale, ma ne deve far parte, lo deve accompagnare, anzi ne deve essere componente primaria ed essenziale.

La sessualità, in altre parole, non è una dimensione inferiore della natura umana, che come tale deve essere riscattata e sublimata, meglio ancora esclusa, per una migliore dedizione a Dio e, quindi, alla vita spirituale.

Ma, essendo una dimensione pienamente umana (così l’ha voluta tra l’altro il Creatore, per chi ci crede), non si capisce perché dovrebbe essere sacrificata, fosse anche in nome di un amore totalitario per Dio.

Vedo nella sessualità del mistico celibe, che sublima totalmente la sua energia sessuale, un che di masochistico, di sacrificio inutile, non richiesto, di natura patibolare.

Meglio – a mio avviso – vivere concretamente la sessualità, sia pure senza fermarsi alla sua dimensione puramente fisico-istintuale, ma riconoscendola come via (non unica, ma importantissima!) per penetrare nel mistero infinito della vita.

Condivido, quindi, molto di più la seconda strada di cui parla Grun: quella che riesce a conciliare pienamente mistica e sessualità.

Condivido persino molti dei concetti e financo il modo di esprimerli a cui fa ricorso Grun per parlarne.

Ad esempio: “Perché l’amore umano possa riuscire, c’è bisogno del mistero che va oltre entrambi, c’è bisogno di questa diversità, di questo buio in mezzo alla luce”.

“… nell’amore c’è un potenziale di trascendenza: l’amore tra due persone ha in sé sempre qualcosa che va oltre entrambe… L’amore tra uomo e donna riesce soltanto se essi diventano consapevoli del potenziale racchiuso nella loro sessualità. Allora l’uomo e la donna, nella unione sessuale, fanno al contempo l’esperienza di un andare oltre se stessi.”

“La mistica, perciò, non è fuori dal mondo, né qualcosa che allontana dal partner o dalla partner, bensì l’elemento di mistero che tiene vivo il nostro amore umano. La consapevolezza dell’esistenza del mistero… tiene desto anche il mistero della persona amata. Quest’ultima resta la lontana-vicina, che siamo sempre capaci di amare perché continua a sottrarsi e, allo stesso temo, ci attrae. L’amore tra due persone, per riuscire, deve <costruire una sorta di reciprocità, nella quale si mantenga l’aspetto ignoto di quanto ci è noto, la diversità dell’altro. Soltanto così potrebbe far partecipare a un sacred power, a un potere condiviso dell’altro> (Dorothee Solle). In un mondo che non ha il senso del mistero… muore anche il mistero dell’altro e, alla fine, anche l’amore muore e, come dice Dorothee Solle, si riduce ad un funzionalismo spietato.”

Ho solo cancellato il riferimento a Dio e al mistero da Lui rappresentato. Perché per me il mistero sussiste anche senza Dio e per quanto mi riguarda questo tipo di mistero (che mi verrebbe di definire tutto terreno, quindi laico) basta e avanza per vivere delle esperienze mistiche, anzi una vita mistica.

Mistico è, infatti, tutto ciò che ha a che fare col mistero, con ciò che è ancora ignoto, non è ancora noto. E mistica è ogni esperienza umana che si sforza di disvelare il mistero, l’ignoto, il non ancora conosciuto.

E di questa ricerca fa parte a pieno titolo la sessualità. Se la sessualità non si riduce alla ripetizione monotona e stanca di gesti più o meno sempre uguali a se stessi. Se la sessualità diventa il luogo di una ricerca senza limiti e confini, espressione della creatività e della fantasia che (volendo) possono essere pozzi senza fondo.

Da questo punto di vista mistica e sessualità non solo non sono due esperienze contraddittorie o addirittura agli antipodi, ma possono essere due esperienze che si integrano e rafforzano, potenziano a vicenda.

© Giovanni Lamagna

Lettura, meditazione e contemplazione nell’esperienza mistica

Non ci sono dubbi che anche in un percorso di mistica laica la meditazione occupi un posto ed una funzione importanti.

Qui, però, chiarisco subito, non mi riferisco alla meditazione come la intendono le mistiche orientali, per le quali la meditazione è piuttosto quella che noi occidentali definiamo “contemplazione”.

La contemplazione secondo la mistica occidentale è uno stato di silenzio assoluto, di momentanea solitudine, di sospensione dei pensieri che tendono normalmente ad affollare la nostra mente, di momentaneo distanziamento dalle emozioni e dalle sensazioni che di solito intasano il nostro animo, per concentrarsi in uno stato di profondo abbandono al Mistero di Dio (per la mistica religiosa) o del Cosmo che ci circonda (per la mistica laica).

Ciò che le mistiche orientali chiamano, appunto, “meditazione”.

In questo brevissimo saggio, invece, io per “meditazione” (“meditatio”) intendo ciò che ha inteso storicamente il filone della mistica occidentale, alla quale ovviamente mi sento più vicino perché essa naturalmente è più affine alla mia sensibilità culturale.

Ovverossia una situazione nella quale, a partire da una lettura (“lectio”) – cosiddetta “edificante” per il nostro spirito (quindi non solo per la nostra intelligenza e i nostri pensieri, ma anche per le nostre emozioni e i nostri sentimenti) – siamo stimolati ad elevarci, a fare propositi buoni e positivi di comportamento, a discernere tra varie opzioni per scegliere quelle migliori per la nostra vita, in altre parole a trascenderci, cioè a “superare” noi stessi, ad evolvere, per realizzare il nostro potenziale umano (per alcuni – coloro che hanno fede nell’esistenza di un’entità sovrannaturale e di una vita post mortem – anche divino).

La meditazione (“meditatio”), per la mistica occidentale e per come la intendo io, si pone quindi come anello di congiunzione tra la semplice lettura (“lectio”: ovviamente non una lettura qualsiasi, di semplice svago, divertissement, di piacere emotivo o intellettuale, ma una lettura che, come ho detto prima, si propone di elevare il nostro spirito) e la contemplazione (“contemplatio”).

La meditazione è in altre parole una introiezione profonda di ciò che leggo, che mi aiuta, mi stimola, mi porta, quasi naturalmente, anzi quasi come esito obbligato, verso la contemplazione.

Tra le letture, che io trovo particolarmente utili per la meditazione dal punto di vista di una mistica laica, metto le biografie di personaggi, noti o meno noti, che possiamo considerare come dei veri e propri maestri non tanto o non solo di pensiero, ma anche e soprattutto di vita per noi (così come per i mistici religiosi è la lettura delle “vite dei santi”).

A seguire metterei poi le riflessioni o, meglio, le meditazioni scritte da persone che hanno vissuto in prima persona esperienze che possiamo considerare di tipo mistico e che ce ne indicano quindi la via, il sentiero, mostrandocene un possibile percorso, che potrebbe essere, almeno in parte, valido anche per noi.

Infine, i libri di psicoanalisi o di psicologia in genere che possono aiutarci a capire sempre meglio come siamo fatti, soprattutto come funziona la nostra psiche (i mistici classici, quelli religiosi, qui avrebbero adoperato il termine “anima”), in modo particolare nelle nostre relazioni con gli altri.

Insomma, in quest’ultimo caso, i libri che ci insegnano ad entrare sempre più in contatto con il nostro Io più profondo e nascosto, a coglierne gli inganni e le rimozioni e possibilmente superarli, a coltivare l’interesse, l’ascolto, il rispetto, la compassione, la solidarietà, in altre parole – concretamente, praticamente e non solo astrattamente e retoricamente – l’amore per gli altri.

© Giovanni Lamagna