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Chiarezza e valore di un pensiero.

Quando un pensiero non viene espresso in una maniera chiara e distinta vuol dire (al 100%) che non è chiaro e distinto manco a chi lo esprime.

E questa cosa ne infirma di per sé il valore: come può essere solido e valido un pensiero che non è del tutto chiaro manco a chi lo espone?

C’è, a mio avviso, un nesso strettissimo tra la forma del pensiero e il suo contenuto, tra la sua chiarezza e comprensibilità (almeno a certi livelli) e la sua “verità”.

Il valore della forma di un pensiero per me è dato essenzialmente dalla chiarezza; e questa, il più delle volte, è prova e conferma anche della validità del suo contenuto.

© Giovanni Lamagna

Linguaggio e contenuti.

La prosa di Sigmund Freud è – quasi sempre – di una chiarezza adamantina, esemplare.

Eppure è utilizzata per esprimere concetti niente affatto semplici, meno che mai banali, anzi spesso molto complessi.

Dovrebbe essere di lezione, quindi, per quanti fanno generalmente ricorso ad un linguaggio oscuro, anche per esprimere concetti tutto sommato abbastanza semplici o, addirittura, elementari.

Come se si compiacessero nel non essere compresi.

E come se l’acutezza, la profondità e la complessità dei contenuti si misurassero dal linguaggio poco chiaro o addirittura incomprensibile ai più.

© Giovanni Lamagna

Filosofi dal pensiero oscuro.

Molti filosofi danno l’impressione che non desiderino o che non abbiano interesse ad essere capiti.

Come Eraclito, disprezzano il volgo.

Hanno, infatti, uno stile oracolare: più che argomentare ed esplicitare con chiarezza i loro ragionamenti, li accennano appena.

A mio avviso non sono i migliori filosofi tra quelli che si sono susseguiti nella storia di questa disciplina.

© Giovanni Lamagna

Le parole in amore.

Amare veramente, seriamente, non vuol dire, per me, elogiare, sempre e comunque, o, peggio, adulare, blandire la persona che si dice di amare.

Ma parlarle (il più possibile) con chiarezza, franchezza, sincerità, apertura e, nello stesso tempo, con tatto e benevolenza, smussando l’aggressività.

Equilibrio non facile da trovare e praticare.

© Giovanni Lamagna

Esplorare significa fare delle scelte.

Krishnamurti (ne “La quiete della mente”; Astrolabio Ubaldini 2021; pag. 54) così scrive: “La scelta esiste solo quando la mente è confusa. Nel momento in cui la mente è esitante, confusa e non è in grado di vedere con chiarezza, allora viene fatta una scelta.”

Mi chiedo: come potrebbe essere altrimenti?

La mente umana vive spesso, se non il più delle volte, nel dubbio, nell’incertezza e, quindi, nella confusione.

Non ha niente a che fare con la mente (supposta) divina, la quale sola sarebbe onnisciente e perfetta, quindi senza oscillazioni ed esitazioni.

La mente umana è caduca, imperfetta, per sua natura esitante e alla ricerca.

Nel dubbio, nell’incertezza, deve operare delle scelte; o, quantomeno, vivere l’illusione che siano possibili per essa delle scelte.

Krishnamurti aggiunge: “Ciò che è importante non è la scelta, ma mettere ordine nella confusione, o meglio porre fine alla confusione in modo da comprendere con chiarezza.”

Io però mi chiedo: come si fa a mettere ordine nella confusione, se non facendo delle scelte?

Che potranno anche essere inizialmente sbagliate, ma che in ogni caso ci aiuteranno a capire dove sta la “verità” e qual è la strada più giusta da seguire, quando questa all’inizio non ci appare chiara e senza alternative.

La scelta, quindi, al contrario di quanto afferma Krishnamrti (“… l’esplorazione non ricade nel dominio della scelta”; pag. 55) è parte integrante del processo di esplorazione.

Anzi per me esplorare significa scegliere, procedendo per prove ed errori.

Alcune volte il cammino avanza spedito, perché si ha la fortuna (sì, alle volte, è anche questione di fortuna!) di imboccare subito la strada giusta.

Altre volte ci si accorge ad un certo punto del cammino di aver imboccato la strada sbagliata; ed allora bisogna avere l’umiltà, la pazienza, la costanza e la tenacia di tornare indietro e imboccare una nuova strada.

Esplorare significa dunque scegliere; l’uomo non può fare a meno di scegliere.

Perché nessun uomo (almeno all’inizio) è davvero “individuo” nel senso letterale del termine; cioè “indivisibile, non frammentato, e quindi non confuso”.

Ogni uomo, almeno all’inizio, (ma potremmo anche dire sempre, nel corso della sua vita, anche se si può auspicare che lo sia un po’ di meno e sempre meno, man mano che la sua esperienza va avanti, procede, si arricchisce, che diventa più saggio) è frammentato “in pezzetti, consci ed inconsci”.

Io dico è un puzzle, i cui tasselli all’inizio sono sparpagliati, dispersi, e vanno poi ricomposti, con un lavoro paziente, tenace, che esige appunto riflessioni e scelte, per prove ed errori.

Nessuno è in grado di ricomporre il suo puzzle in un breve istante e senza operare delle scelte; senza esitazioni, senza (almeno all’inizio) provare un gran senso di confusione e diciamo pure di smarrimento.

© Giovanni Lamagna

Lo sguardo contemplativo.

Lo sguardo contemplativo è uno sguardo particolare: lungo, perché si proietta lontano, ben oltre il momento presente, anche se si costruisce momento per momento; e dritto, affilato, tagliente, come una spada.

La sua caratteristica principale è la concentrazione, la capacità di mettere a fuoco la realtà (quella interiore e quella esteriore), di limitare al massimo (e sempre di più, mano a mano che cresce la sua pratica ed esperienza) la dispersione, la dissipazione, le distrazioni, di cui soffre normalmente la nostra mente.

E’ lo sguardo concentrato sul proprio desiderio fondamentale, sulla propria vocazione unica e personale, su quello che gli antichi Greci chiamavano “daimon”, che abita in ognuno di noi, anche se non è facile e non è dato a tutti incontrarlo e ascoltarne la voce, il richiamo.

E’ uno sguardo che ci dà una particolare energia vitale, perché è da esso che ci deriva la chiarezza su qual è la nostra strada, quella che siamo chiamati – per destino unico, che è solo nostro, a imboccare e percorrere.

Chi ha lo sguardo contemplativo saprà sempre, pur se magari dopo qualche più o meno lungo attimo di dubbio, incertezza, esitazione, in che direzione andare; anche quando tutto intorno a lui è scesa la nebbia e l’orizzonte non è del tutto chiaro e ben definito.

E non (tanto) perché ha fatto o fa dei ragionamenti e delle analisi intellettuali, ma perché sente, intuisce, quasi annusa, dove lo porta il suo percorso esistenziale, perché è guidato da una luce interna e misteriosa, ma ben reale.

Perché segue una specie di istinto primordiale, che poi solo istinto non è, dal momento, che è anche (e, forse, soprattutto) il risultato di un esercizio, di una pratica, appunto.

Il frutto di un’applicazione costante, eppure dolce; necessaria, eppure mai e per niente ossessiva o nevrotica.

Beato chi nella vita riuscirà a maturare uno sguardo contemplativo!

Perché avrà trovato la roccia su cui poggiare i suoi piedi, il sentiero su cui camminare saldo, pur se non sempre sicuro, la bussola che guiderà la sua esistenza, la pietra angolare che gli indicherà, momento per momento, la via da seguire.

Chi ne è sprovvisto, invece, sbanderà di continuo, sarà come una barca in balia delle onde, arrancherà spesso nel suo cammino esistenziale, senza orientamento e conforto, sarà preso dalla paura e, qualche volta, addirittura dal panico ogni volta che dovrà operare delle scelte o prendere una decisione.

Tutti siamo chiamati a coltivare, formare, far crescere in noi uno sguardo contemplativo; perché in ognuno di noi ce ne sono le potenzialità, le strutture fondamentali.

Purtroppo, però, non tutti lo attiviamo, non tutti ne diventiamo consapevoli; e così ci lasciamo sfuggire il tesoro più prezioso che la vita ci ha destinato, quello che sarebbe capace di realizzarla alla sua massima potenza.

© Giovanni Lamagna

Cosa cerco nei rapporti?

Ho sempre cercato la verità o, quantomeno, la chiarezza nei rapporti cogli altri.

Anzi, di più: ho sempre cercato rapporti intensi, nei quali ci si espone, ci si mette a nudo, non si mostra solo la superficie, la maschera di se stessi.

Ma vedo, constato che questi miei non sono un desiderio e un piacere molto condivisi.

© Giovanni Lamagna