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Noi e la morte.

E’ bene pensare spesso alla morte.

Per diventare sempre più consapevoli che il nostro destino finale è quello di morire.

Non per vivere depressi le proprie giornate e neanche per condannarci alla tristezza, che sempre si accompagna al pensiero della morte.

Bensì per dare il giusto valore alle cose, dare alla nostra vita la giusta prospettiva.

Che non sarebbe ovviamente la stessa, se fossimo immortali o solo ci considerassimo destinati a non morire mai.

© Giovanni Lamagna

Il desiderio come dovere?

Massimo Recalcati nel suo libro “Contro il sacrificio” (2017 Raffaello Cortina Editore), nel paragrafo intitolato “Il desiderio come dovere” (pag. 113-118), sulla scorta dell’insegnamento ricevuto dal suo maestro Jacques Lacan e, ancor prima, da Freud, mette in correlazione molti concetti (quali quello di sacrificio, etica, desiderio, Legge, fedeltà, infedeltà, godimento, Super-io, Altro, Dio, Padre, Stato, Madre, Famiglia, Natura, Razza, vita, dovere, imperativo, senso, capriccio, vocazione, sofferenza, colpa, trasgressione, peccato, violazione, norme, psicoanalisi, senso di colpa, responsabilità, padronanza, coscienza, inconscio, soggetto, sogni…) facendo molte osservazioni interessanti, ma non sciogliendo però del tutto (almeno a mio modesto avviso) alcuni nodi problematici e lasciando alcune zone d’ombra che sarebbe utile a mio avviso rischiarare.

Voglio qui provare a farlo.

Il paragrafo si apre con il riferimento al principio generale evocato da Lacan di “un’altra etica, non più imbrigliata dai lacci del sacrificio”.

Dico subito che questa esigenza lacaniana mi trova perfettamente d’accordo. Per millenni l’etica delle varie società umane è stata fondata sul principio del sacrificio, in moltissimi casi di un sacrificio fine a se stesso, come valore in sé, quasi masochisticamente inteso.

Sono altresì pienamente d’accordo con Lacan quando afferma che questo fondamento è del tutto arbitrario, quindi insano, e che occorre liberare l’etica da questo imbrigliamento; che occorre perciò una nuova etica.

Per Lacan questa nuova etica si deve fondare “sul proprio desiderio”; il principio fondamentale della nuova etica dovrà essere quello di “non cedere sul proprio desiderio”.

E qui, a mio avviso, nascono le confusioni; o, almeno, le possibili confusioni.

Perché quello di “desiderio” è (come tutti possono intuire) un concetto quantomeno ambiguo.

Per “desiderio” possiamo intendere la pura spinta pulsionale, assimilabile quasi all’istinto, per sua natura sregolato, quindi affine al capriccio.

Inteso in tale senso (e questo è indubbiamente uno dei modi possibili di intendere il “desiderio”) si può fondare su di esso la nuova etica?

Domanda del tutto retorica, perché è a tutti evidente che no, non si può fondare l’etica sul desiderio inteso come puro capriccio: ci sarebbe una contraddizione in termini.

Ma per “desiderio” possiamo intendere anche “la propria vocazione fondamentale” (per utilizzare un’espressione a cui fa ricorso Recalcati) o il proprio “daimon” (per utilizzare un’espressione a cui ricorrevano gli antichi Greci e più volte ripresa da un pensatore come Jung, a voler fare un solo esempio).

E’ a questa seconda accezione di “desiderio” che mi pare faccia riferimento, come è ovvio, Lacan ed è su di essa che egli intende fondare “un’altra etica”, opposta a quella tradizionale, fondata sul “sacrificio” o, meglio, sul “fantasma sacrificale”.

E però, nonostante questa distinzione chiarisca un primo possibile equivoco, non mi pare che tutti gli equivoci e i fraintendimenti possibili siano stati con essa dissipati.

Cosa vuol dire, infatti, ciò che afferma Lacan, con molta drasticità (mi pare): “… propongo che l’unica cosa di cui si possa essere colpevoli, perlomeno nella prospettiva analitica, sia di aver ceduto sul proprio desiderio”?

Che non esiste altra Legge per il singolo soggetto che la Legge del desiderio? Che il proprio desiderio mai e poi mai debba essere posposto e, quindi, in qualche modo, per quanto provvisoriamente o parzialmente, sacrificato?

Ci rendiamo tutti conto (io penso) che, detta così e presa alla lettera, l’affermazione lacaniana, ripresa e condivisa dal suo discepolo Recalcati, sia inaccettabile.

Quale etica può, infatti, porre al centro dei suoi imperativi esclusivamente il soggetto, per quanto nella forma nobilitata della fedeltà alla propria vocazione o “tendenza” o “inclinazione” o “prospettiva” o “propria via” (termini, quelli virgolettati, usati da Lacan)?

Per nessuna etica il soggetto può porsi come assolutamente autoreferenziale, sganciato cioè dall’esistenza dell’Altro o, meglio, degli altri, i quali dal punto di vista etico hanno almeno uguali diritti (oltre che doveri) rispetto a quelli rivendicati dal singolo soggetto.

Allora il problema per me diventa: come si può conciliare la Legge del proprio desiderio, a cui ciascun soggetto è indubbiamente chiamato ad essere fedele, con il rispetto di analogo desiderio presente nell’Altro, nei soggetti altri?

La mia risposta è che la Legge del proprio desiderio non può essere considerata (narcisisticamente, egoicamente) come un assoluto, ma che va sempre e necessariamente conciliata con la Legge del desiderio altrui.

In altre parole il mio desiderio e la sua realizzazione trovano un limite e un argine laddove inizia il desiderio dell’Altro, degli altri.

Il limite, il confine rappresentato dall’altro impongono il sacrificio, perlomeno parziale e provvisorio, del mio desiderio.

E in questo caso si tratta di un giusto e, quindi, necessario sacrificio, che non ha nulla di masochistico e di insano, come nel caso ampiamente descritto sia da Lacan che da Recalcati del cosiddetto “fantasma sacrificale” (su cui non mi soffermo, rimandando alla lettura del libro).

In ultima analisi (e qui valgono alcune “posizioni alla Bataille”, giustamente citato in proposito da Recalcati: ibidem; pag. 100) l’etica umana non può essere fondata su “una concezione meramente edonistico conformistica della vita”: la libertà di affermare e realizzare il mio desiderio finisce laddove incomincia la libertà dell’altro (degli altri) di affermare il suo (i loro).

Ma c’è un altro motivo per cui la Legge del desiderio non può essere posta sic et simpliciter al centro e a fondamento della nuova morale di cui parlano Lacan prima e, sulla sua scorta, Recalcati poi.

Questo secondo motivo è che non tutti i nostri desideri sono poi di fatto realizzabili: i nostri desideri devono, infatti, fare sempre i conti con la Realtà; con la realtà fisico-materiale, innanzitutto, ma anche con la realtà psicosociale nella quale siamo immersi e dalla quale non possiamo mai totalmente prescindere, per quanto vogliamo (giustamente) affermare la nostra autonomia e libertà.

Questa Realtà è uno zoccolo duro con il quale il nostro desiderio deve fare ogni volta i conti, è la Cosa che consente all’Es di diventare Io. E non ha nulla a che fare con il Super-io, dunque con il “fantasma sacrificale”.

Il “fantasma sacrificale”, infatti, ci chiede di rinunciare al nostro desiderio in nome di una Legge che è puro capriccio.

La Realtà, invece, ci chiede di sacrificarlo in nome di una Legge che è scritta nella natura fisica del mondo e in alcune convenzioni psicosociali, che è impossibile trasgredire (almeno oltre un certo limite).

Nel primo caso, se rinunciamo al nostro desiderio in nome del “fantasma sacrificale”, ci suicidiamo psicologicamente; e allora pagheremo la nostra rinuncia, cioè il nostro “tradimento” del desiderio, con “il ritorno del rimosso; il sintomo, la depressione, lo spegnimento della vita e del desiderio stesso o di altre forme di sofferenza delle quali si occupa la clinica psicoanalitica” (ibidem; pag. 113).

Nel secondo caso, se il nostro desiderio pretende di contravvenire alle leggi della natura, corriamo il rischio di suicidarci addirittura fisicamente.

Per fare un esempio estremo ma che rende bene l’idea, se il mio desiderio è quello di volare e allora mi lancio dal balcone di casa, andrò fatalmente a sbattere al suolo con conseguenze più o meno gravi a seconda dell’altezza dalla quale mi sono lanciato.

Allo stesso modo, se il mio desiderio è quello di disobbedire alle leggi dello Stato in cui vivo, devo essere consapevole che subirò conseguentemente delle sanzioni civili o addirittura penali. Non posso certo pretendere che in uno Stato ciascuno faccia quello che vuole in nome della “Legge del proprio desiderio”.

Ugualmente, se il mio desiderio è quello di trasgredire alcune convenzioni sociali (i casi più frequenti sono quelli che riguardano la morale sessuale corrente), devo essere consapevole che pagherò dei prezzi in termini di sanzioni sociali, sotto forma di giudizio e di conseguente isolamento.

Poi, magari, in alcuni casi la nostra coscienza morale (l’altra morale, di cui parla Lacan) ci imporrà di disobbedire ad alcune Leggi dello Stato e di trasgredirne altre della morale corrente, in nome della fedeltà al nostro desiderio (non inteso come capriccio del momento, ma come nostra vocazione profonda).

E, però, lo ripeto, in questo caso dovremo essere consapevoli delle sanzioni giuridiche o semplicemente psicologiche a cui andremo incontro. La nostra scelta non potrà essere avventata e compiuta con faciloneria, in nome di una pretesa anarchica del nostro desiderio.

Per concludere io ritengo che la coscienza dell’Io sia costretta a muoversi sempre tra due sponde, quasi una Scilla e una Cariddi, come del resto ci ha insegnato Freud: – da una parte la pulsione del desiderio, alla quale bisogna cercare di rispondere e che in qualche modo bisogna cercare di soddisfare, “pena il pagamento di questo tradimento attraverso il ritorno del rimosso”; – dall’altra il “principio della realtà” che ci impedisce di soddisfare sempre e, soprattutto, pienamente la pulsione inconscia del nostro desiderio. In questo modo avverrà quanto auspicato da Freud: “Dove c’è l’Es ci sarà l’Io (Wo es war Ich werden)”.

Non potrà quindi affidarsi unilateralmente e totalmente alla Legge del desiderio, come sembrano dire sia Lacan che Recalcati, in maniera – a mio avviso – eccessivamente drastica e perentoria, suscitando, quindi, equivoci che possono invece facilmente essere evitati, come ho cercato di dimostrare con questa mia riflessione.

Allo stesso tempo per me la coscienza dell’Io dovrà assolutamente evitare di sottoporsi (almeno oltre un certo limite) alla Legge del sacrificio, del tutto gratuita e arbitraria, imposta dal Super-io, rappresentata dai dettami familiari e dalle convenzioni sociali correnti, fino a rendersene del tutto schiava, come avviene nel caso delle nevrosi.

Da questo punto di vista – fatte le precisazioni di cui sopra – la lezione di Lacan e di Recalcati è del tutto corretta e da me pienamente condivisa. Sono d’accordo pertanto che uno dei compiti principali in molti casi della terapia psicoanalitica è quello di alleggerire “la presenza implacabile del Super-io del paziente”.

Tanto è vero che arrivo a dire (parafrasando Freud) che “dove c’era il Super-io dovrà esserci l’Io”.

© Giovanni Lamagna