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Le ragioni del poli-amore contro quelle della monogamia.

Io credo che ogni donna (come del resto ogni uomo) abbia un suo carisma, cioè delle qualità potenziali, dalla cui esplicitazione dipenda la sua realizzazione di persona, cioè di essere umano.

Ci sono donne che hanno una marcata femminilità, che spesso si traduce in una spiccata e naturale, istintiva, innata capacità di attrazione erotica e sessuale.

Ce ne sono altre che hanno una forte propensione verso la maternità e la donazione agli altri.

Altre che brillano soprattutto per le loro capacità intellettuali e di raziocinio.

Altre ancora che hanno un forte senso operativo: sanno organizzare e risolvere problemi di ordine pratico.

Altre ancora che hanno un naturale e spiccato senso estetico: sono attratte dalla bellezza e sanno produrre bellezza.

Ognuno di questo tipo di donna potrà quindi attrarre un uomo per un motivo e per motivi di carattere diverso dalle altre.

E’ molto difficile, estremamente raro, se non del tutto impossibile, che tali caratteristiche diverse si ritrovino raggruppate, tutte allo stesso livello, nella stessa donna.

Ecco perché un uomo si può sentire attratto (e in maniera ugualmente importante e significativa) da più tipi di donne contemporaneamente.

Ovviamente quello che vale per un uomo nei confronti delle donne vale uguale, pari-pari, anche per una donna nei confronti dei maschi.

Se qui ho fatto riferimento alle donne è solo perché io sono un maschio che è attratto dalle donne.

Ma lo stesso ragionamento si può fare, a mio avviso, anche per le femmine che sono attratte dai maschi.

Anche una donna potrà sentire attrazione per più maschi contemporaneamente; uno lo attrarrà soprattutto per certe caratteristiche, altri l’attrarranno per altre caratteristiche.

Ecco perché è difficile, a mio avviso, molto difficile, sostenere le ragioni della monogamia contro quelle del poli-amore.

© Giovanni Lamagna

Valori assoluti ed eterni o storicamente e socialmente determinati?

Non si possono definire, una volta e per tutte, valori assoluti, cioè universali ed eterni.

Non esistono valori universali (cioè validi ovunque, in qualsiasi contesto sociale e culturale) ed eterni (validi in qualsiasi epoca storica); i valori sono sempre storicamente datati e socialmente determinati.

Quella che, invece, possiamo considerare assoluta (o, meglio, sovratemporale e sovraspaziale) è una certa tendenza/propensione, connaturata in qualsiasi essere umano (rintracciabile, quindi, in qualsiasi uomo, di qualsiasi epoca e di qualsiasi parte del pianeta), a perseguire il Bene e a sentirsi in colpa se non lo si pratica.

Questo è un dato accertato, che è possibile verificare empiricamente; cosa si intenda invece per “Bene” è un po’ più difficile e complicato da definire; qui ognuno può dire cosa intende lui per “Bene”; quindi io farò la stessa cosa: cercherò di definire cosa intendo io con questo termine.

Per me il “Bene”, più e prima che da certi contenuti, è costituito da una certa tendenza/propensione (che non esito a definire “universale”, perché presente in ogni tempo ed in ogni contesto culturale, sia pure in forme diverse, a volte molto diverse) ad uscire dai confini ristretti del proprio Ego, del proprio interesse e piacere individuale, per identificarsi con quello potenzialmente infinito dell’Umanità e della stessa Natura che ne costituisce l’habitat.

E’ possibile – come dicevo – definire come “assoluta” (nel senso di abbastanza generalizzata) questa tensione, anche se poi essa è più o meno intensa e importante nei diversi individui, tanto che in alcuni (ma solo in alcuni casi estremi) può risultare addirittura del tutto assente.

Non sono, invece, assoluti i valori concreti, specifici, che guidano poi realmente le azioni degli uomini, che sono sempre storicamente e geograficamente (cioè antropologicamente), se non proprio determinati, quantomeno fortemente condizionati da fattori contingenti e limitati, per niente assoluti e universali.

Ad esempio, i miei valori di uomo occidentale, anzi di italiano, anzi di napoletano, del XXI secolo, ma nato a meta del XX secolo, non sono e non potrebbero essere mai gli stessi valori dell’uomo della foresta amazzonica o di quello preistorico e manco dell’uomo nato e vissuto in epoca medievale.

Come – per alcuni aspetti almeno – non sono manco quelli di un tedesco o di un francese (per parlare di popoli a noi molto vicini) o quelli di un giovane italiano e persino campano, nato dopo il 2000, in piena cultura postmoderna, caratterizzata, per fare un solo esempio, da una forte marcatura informatica e digitale.

La tensione a fare il Bene e ad evitare il Male possiamo dire che è la stessa in ogni uomo, di qualsiasi epoca e di qualsiasi regione del mondo.

Ma il Bene e il Male saranno poi concretamente molto diversi per i singoli uomini; saranno (in molti casi vistosamente) influenzati – come già detto – dalle epoche e dai contesti geografici-antropologici, in cui si saranno incarnati.

E nessuno li potrà mai dettare ex cathedra, in quanto unico e assoluto depositario della verità del Bene e del Male.

Questi, bensì, potranno scaturire solo dalla ricerca incessante e dal confronto continuo tra i diversi individui che compongono una comunità sociale e, ad un livello ancora superiore, dal contatto/confronto culturale tra diverse comunità.

Ciò con buona pace dell’ex prefetto di Propaganda fide cardinale Joseph Ratzinger, divenuto poi papa Benedetto XVI, di cui oggi si celebrano i funerali, che vedeva in questo strutturale e ineliminabile relativismo culturale un grave segno di degrado e nichilismo morale, soprattutto della civiltà occidentale.

© Giovanni Lamagna