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Morte graduale… morte desiderata…

La morte, come dice Montaigne, tranne rari casi, non ci coglie mai d’improvviso, cioè nel pieno delle nostre forze.

In genere è l’atto finale, la conclusione di un più o meno graduale lento declino, di un progressivo logoramento del nostro fisico.

Per cui non uccide mai l’uomo intero che eravamo da giovani e, perfino, nella piena maturità (ovverossia tra i 40 e i 50 anni), ma solo “una metà o un quarto” dell’uomo che fummo da giovani o anche da anziani, prima di giungere cioè (semmai vi giungeremo) alla tarda età.

La morte – in certi casi – potrà giungere persino come consolazione, cioè come conclusione desiderata di una vita capace oramai di offrire solo pene e nessuna o ben poche gioie.

© Giovanni Lamagna

Scopi e compiti della formazione intellettuale

Lo scopo della formazione intellettuale è per Montaigne (“Saggi”, Libro I, cap. XXVI, pag.147): “Et quo quemque modo fugiatque feratque laborem” (“E in che modo evitare e sopportare le pene” (da Virgilio, “Eneide”, III, 459).

Io aggiungerei – con Epicuro – che compito della formazione intellettuale è anche quello di apprendere a godere il meglio delle gioie e dei piaceri che la vita pure ci dà, assieme alle pene che indubbiamente non ci fa mancare.

© Giovanni Lamagna

Dio condanna la donna (Genesi 3, 16)

19 ottobre 2015

Dio condanna la donna (Genesi 3, 16)

3,16 Alla donna disse: «Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te».

Dopo la pena inflitta al serpente viene immediatamente quella inflitta alla donna. Anche qui Dio mostra di essere maschilista. Egli avalla, infatti, completamente l’ordine, la graduatoria delle responsabilità avanzata dal maschio: è la donna che ha indotto l’uomo alla infrazione della Legge. Quindi ella sarà condannata prima dell’uomo.

Due sono i castighi a cui viene condannata la donna ed entrambi sono collegati alla sfera della sessualità, il primo in modo diretto, il secondo in modo indiretto.

Il primo è, infatti, legato al desiderio sessuale stesso, renderà la donna “per sempre” dipendente dal maschio, da lui dominata, si potrebbe anche dire, con altre parole, sua schiava.

Qui però Dio dimostra di non saper prevedere esattamente l’evoluzione della Storia. Che indubbiamente per molto millenni dalla pronunzia di questa condanna è andata esattamente nelle direzione che aveva prevista il Signore Dio.

D’altra parte tutto il racconto biblico è figlio di una cultura rigidamente patriarcale e maschilista e non poteva che avere, quindi, una tale concezione del ruolo della donna e del rapporto maschio/femmina.

E, tuttavia, da qualche decennio la “storia”, prevista dalla condanna del Dio biblico, ha avuto una qualche significativa soluzione di continuità: il femminismo e. in genere, l’emancipazione femminile hanno segnato questa rottura. Oggi la donna (almeno presso certe culture e per quanto riguarda certe donne: quindi in forme e spazi ancora minoritari) non è più succube del maschio.

Questa rottura non è ancora giunta alle sue estreme conseguenze, non si è ancora consolidata, vive ancora di molte contraddizioni profonde (sia intrapsichiche che sociali), soprattutto non è diventata ancora fenomeno diffuso e di massa, ma è tuttavia potentemente avviata e, credo, non farà più ritorni all’indietro.

L’altro castigo è legato alla gravidanza e, soprattutto, al parto, che avverranno la prima nella fatica di nove lunghi mesi di gestazione e il secondo nel travaglio e nelle doglie.

Anche qui però la Storia sta cambiando abbastanza e in netta controtendenza con quello che lasciavano presagire le condanne divine. I progressi della scienza non hanno di certo eliminato del tutto le pene della gravidanza e del parto, ma le hanno rese, di sicuro, più gestibili e, almeno in parte, anche meno dolorose.

Segno che le condanne che Dio aveva promesso per l’eternità forse proprio eterne non sono destinate a rimanere. Segno che almeno sul carattere dell’eternità delle condanne da lui emesse Egli si era sbagliato. Aveva fatto i conti senza l’oste (del progresso scientifico).

(11, continua)

Giovanni Lamagna