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Popolo.

Il termine “popolo” è troppo complesso per essere utilizzato in modo univoco nei più diversi contesti.

Esso può significare un insieme più o meno grande di persone accomunate dalla condivisione di un territorio, di una lingua, di una storia e di un certo numero di usi, costumi e tradizioni.

Ma per “popolo” noi possiamo intendere anche l’insieme delle persone che, all’interno di una società, si distinguono dalle élites, soprattutto da quella economica e da quella politica.

Come si può vedere i due concetti di “popolo”, sopra individuati, sono molto diversi tra di loro.

Il primo può sostanzialmente coincidere con quello di “nazione”.

Il secondo è molto vicino a (anche se non coincide certo con) quello di “classe sociale”.

© Giovanni Lamagna

Perché è così difficile comprendersi, comunicare?

Nessuno di noi parla esattamente la stessa lingua degli altri.

Anche quando siamo accomunati dalla stessa patria, città e persino paese o quartiere.

Se, infatti, la lingua è espressione di un modo di guardare la realtà, il mondo, siccome nessuno guarda la realtà, il mondo, esattamente allo stesso modo dell’altro/degli altri, nessuno allora parlerà esattamente la stessa lingua dell’altro/degli altri.

Per fare un esempio, quello più macroscopico e persino banale: di certo la persona ignorante, nel senso di poco o per nulla istruita, non parla la stessa lingua della persona colta.

E, infatti, spesso la persona ignorante non capisce quello che l’uomo colto dice, come se questi parlasse una lingua straniera, diversa dalla sua.

Per fare un altro esempio, un po’ più sofisticato e meno vistoso: chi è abituato a frequentare se stesso vede e sente cose che chi non è abituato a farlo manco si rende conto che esistono.

Di conseguenza i due parleranno lingue completamente diverse, anche se useranno un lessico, una ortografia, una grammatica e una sintassi simili.

Da qui deriva un dato che è sotto gli occhi di tutti noi: la babele delle lingue, la grande difficoltà a comunicare, a intendersi, a comprendersi gli uni cogli altri.

© Giovanni Lamagna

Il “relativismo linguistico”.

Noi pensiamo utilizzando una lingua.

Sempre; anche quando pensiamo in silenzio, senza parlare con qualcuno.

Il pensiero, dunque, non è separabile dalla lingua in cui esso è espresso, formulato.

La lingua in cui il pensiero si manifesta è il modo stesso di generarsi e di vivere di un pensiero.

Perciò a lingue diverse corrispondono modi di pensare diversi.

E’ di questo che ci ha resi edotti la linguistica moderna.

Di conseguenza ogni lingua rappresenta una determinata (e relativa, parziale) visione del mondo.

Che include determinati aspetti della realtà e ne esclude altri.

E’ questo che sottintende il principio del “relativismo linguistico”.

© Giovanni Lamagna

Lingua, pensiero e realtà.

A lingue diverse corrispondono non solo segni e strutture grammaticali e sintattiche diversi, ma anche modi di pensare diversi.

La lingua non è solo un modo di parlare, ma anche un modo di guardare alla realtà.

A lingue diverse corrispondono dunque modi diversi di guardare alla realtà.

E questo, ad esempio, complica, rende estremamente complesso, il compito del traduttore di un testo da una lingua all’altra.

© Giovanni Lamagna

A chi parlo e per chi scrivo

Io non parlo e non scrivo per i cosiddetti filosofi, non mi rivolgo ai filosofi di professione, ai filosofi dell’Accademia, che parlano quasi sempre una lingua difficile, sofisticata, oscura, comprensibile (ammesso che lo sia davvero; molte volte mi sono venuti seri dubbi in proposito) ai soli addetti ai lavori.

Costoro, in generale, tranne alcune lodevoli eccezioni, sono persone che hanno una testa molto grande, ma un corpo ed un cuore molto piccoli, la cui umanità mi appare, quindi, piuttosto modesta; e non attirano, perciò, granché il mio interesse.

Io preferisco parlare e scrivere piuttosto per l’uomo comune, per l’uomo della strada, (perché no?) per chi frequenta i social, purché sia un uomo in ricerca, che si pone domande (ovviamente non banali) su stesso e sul mondo che lo circonda.

Per questo preferisco adoperare un linguaggio semplice, piano, non eccessivamente tecnico, che sia comprensibile ai più; ho sempre avuto un’istintiva resistenza ad utilizzare quello dei circoli ristretti delle Accademie, nei quali ho l’impressione il più delle volte ci si parla addosso, senza vera e autentica passione per la “sophia”.

© Giovanni Lamagna