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La parola e il silenzio.
L’uso della parola è fondamentale nel farsi dell’uomo. E’ il suo specifico. E’ ciò che ne decide la sua natura precipua.
Eppure la parola ha senso se nasce dal silenzio. Se, anzi, si alimenta del silenzio e con il silenzio.
Non, ovviamente, il silenzio che è incapacità di pronunciare verbo. Che è, a sua volta, assenza o paralisi del pensiero.
Ma il silenzio che è capacità di ascolto. Il quale, per farsi efficace, ha bisogno di rinunciare alla parola, per immedesimarsi nella parola dell’altro/a.
Il silenzio che è rinuncia voluta, consapevole (e momentanea) alla parola esteriore, alla “parola parlata”, per farsi parola interiore, dialogo con il Sé, anzi con l’Altro da sé, che è l’unico modo per attivare il pensiero, di rendere la ragione attiva, ragionante, nello sforzo (forse vano, ma comunque irrinunciabile) di essere obiettiva, cioè il più possibile aderente all’oggetto del suo pensare.
La condizione per non accontentarsi di un pensiero come semplice moto spontaneo, per forza di cose “luogo comune”, stereotipo, banale.
Il silenzio che è ricerca del dato il più possibile oggettivo, vicino alla “verità”.
“Verità” sempre sfuggente, sempre relativa, mai assoluta, ma pur sempre “la mia verità”.
L’unica verità possibile, piccola, limitata, parziale, eppure la verità per la quale vale la pena vivere; la sola verità che ci consente di entrare in qualche modo in contatto con gli altri, di uscire dalla nostra (radicale) solitudine.
Il silenzio, quindi, al servizio delle parole, della parola.
Così come la radice è al servizio della pianta, anzi è essa stessa pianta. Parola nascosta, invisibile, ma essenziale alla “parola parlata”, se questa non vuole ridursi a puro e vuoto “flatus vocis”.
La vita si fa vera, cioè spirituale, solo nel silenzio. Come sanno bene i contemplativi.
Giovanni Lamagna
Il filosofo, il λόγος e l’ἔρως.
9 agosto 2018
Il filosofo (almeno un certo tipo di filosofo; ma, guardando alla storia della filosofia, stiamo parlando della maggioranza dei filosofi), ha la pretesa di ridurre il mondo, cioè la vita stessa, a λόγος.
In questo modo fa, a mio modesto avviso, un’operazione indebita. Perché il mondo, la vita non sono riducibili a λόγος. Il λόγος è parte, una componente importante, anzi essenziale della vita dell’uomo, ma non è tutta la vita.
La vita dell’uomo è λόγος (ragione, pensiero, parola), ma è anche emozione, sentimento, anzi è perfino bisogno corporeo, istinto.
La vita è una realtà complessa, nella quale ha un ruolo fondamentale ἔρως. Che è una realtà ben diversa, del tutto distinta e distante da λόγος.
In questo fare astrazione, in questo ridurre la realtà a λόγος, il filosofo dunque, quasi sempre, finisce per deformare la realtà, anzi in molti casi per alienarsi la realtà. E proprio nel momento in cui desidera, si propone di possederla.
Ho l’impressione che al filosofo (non a tutti i filosofi, non, ad esempio, a quelli dell’antica Grecia, ma a molti filosofi) sfugga, come in un gioco infinito e crudele, proprio ciò che egli insegue, cioè il reale.
Che, a mio avviso, non è percepibile con il semplice λόγος, ma lo è (per quel poco che lo è) soprattutto con l’ ἔρως.
Noi, in altre parole, cogliamo la realtà (quel poco di realtà che ci è dato di cogliere) non tanto quando ci facciamo intellettuali (quando cioè facciamo uso della mente), ma quando ci facciamo contemplativi (quando cioè facciamo ricorso ad una facoltà – difficile da descrivere e definire – che è un misto di intelletto e di amore, più simile all’intuizione che all’intellezione).
Nell’intellezione il soggetto conoscente rimane separato dall’oggetto conosciuto. Nell’intuizione questa separazione viene ad annullarsi, il soggetto conoscente diventa tutt’uno con l’oggetto conosciuto.
“Intuire”, infatti, vuol dire letteralmente “entrare dentro con lo sguardo” (da “in”: “dentro” + “tueor”: “guardare”).
Nell’atto contemplativo (che, per me, è essenzialmente un atto di intuizione) si realizza l’unione di due dimensioni che di solito, la maggioranza degli uomini, compresi i filosofi (o, meglio parecchi di essi), tendono a tenere separate. Si realizza una felice sintesi di λόγος e di ἔρως.
Giovanni Lamagna