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Fedeltà sessuale e attrazione fisica.

Questa cosa della fedeltà sessuale è una grande ipocrisia.

Il nostro desiderio sessuale è, infatti, per sua natura vario, multiplo, polimorfo, non si indirizza cioè verso un solo oggetto.

Quindi restare “fedeli” sessualmente è in fondo reprimere la nostra natura.

A questa ipocrisia che accomuna, in genere, uomini e donne, molte donne ne aggiungono poi un’altra: quella secondo cui a loro non interessa la bellezza fisica del maschio; perché a loro del maschio interessano soprattutto le qualità, le caratteristiche psichiche; e solo in seconda (ma molto in seconda) battuta quelle fisiche.

Io sono convinto che anche questa sia un’ipocrisia; che molte donne hanno introiettato a causa della loro subalternità alla cultura maschilista, che ha riservato solo al maschio certe libertà.

E’ vero che oggi questa seconda ipocrisia tende ad essere superata e che molte donne si sono oramai emancipate e manifestano liberamente i propri desideri, anche quelli puramente fisici e sessuali.

Ma è anche vero che ancora oggi molte donne, soprattutto in certe culture e aree geografiche, persino del nostro Paese, ne sono vittime e non se ne sono che poco o niente liberate.

© Giovanni Lamagna

Semplicità e semplicismo

Credo che occorra essere molto rigorosi e netti nel fare questa distinzione: una cosa è la semplicità, altra cosa è il semplicismo.

E che occorra perseguire (con costanza, con metodo, con tenacia) la semplicità come stile di vita.

Ma che sia necessario allo stesso tempo fuggire (con uguale costanza, tenacia e metodo) il semplicismo.

La semplicità, infatti, non si propone e, meno che mai, si sogna di negare la complessità, la difficoltà dei problemi, anzi della vita stessa.

Il semplicismo invece è proprio questo: la negazione, la rimozione della complessità, in nome dell’approssimazione, della faciloneria, del ricorso alle soluzioni (o, meglio, pseudosoluzioni) che a volte quasi sembrano voler negare l’esistenza stessa dei problemi.

La semplicità non nega la complessità e non parte dal presupposto che già sia tutto chiaro, anzi semplice, in partenza.

La semplicità ha come suo primo obiettivo quello di rendere chiaro il problema, che all’inizio, in molti casi, non lo è affatto.

E, per raggiungerlo, non si limita solamente a semplificare il linguaggio; cosa che, almeno in certi casi, è del tutto impossibile.

Cerca solo – almeno ci prova – di rendere il linguaggio quanto più accessibile al maggior numero di persone possibile.

Senza però mai farlo scadere al livello della superficialità, dell’approssimazione, se non della vera e propria banalità.

La semplicità, inoltre, non nega, né rimuove le contraddizioni (logiche, filosofiche, teoriche, materiali, economiche, sociali, culturali, politiche…) ed i conflitti che da esse derivano.

Prova solo ad individuare i percorsi, i metodi più adatti ed efficaci per affrontarle e possibilmente risolverle.

Nel suo procedere non fa mai credere, anzi non dà mai neanche lontanamente a intendere, che il suo cammino sia tutto rose e fiori, solo avanzamenti e successi, applausi e premi.

Ammette e riconosce i fallimenti, i punti di crisi, le sbandate, gli arretramenti, così come evidenzia gli avanzamenti e i risultati ottenuti.

Per concludere, la semplicità non è una dote di natura, quasi fosse costitutiva del codice genetico di una persona.

Ma è il frutto di una vera e propria ascesi, di un lavoro faticoso, a volte duro, innanzitutto su stessi.

La semplicità, in altre parole, è il punto di arrivo di un percorso intellettuale, etico e, perciò, spirituale, che tende ad affinarsi ed elevarsi sempre più nel corso del cammino; non è mai il punto di partenza di una vita.

Può e deve essere considerata, dunque, una virtù e non una qualità innata, come lo sono (per fare degli esempi) la bellezza fisica o il quoziente intellettuale.

Si diventa semplici, così come si diventa colti, saggi, educati, buoni…

Si nasce infantili e si corre il rischio di rimanere tali o di diventare dei sempliciotti, se non si fa un lavoro serio e, in molti momenti, duro su se stessi.

Non si nasce semplici, come qualcuno crede, confondendo (semplicisticamente, appunto!) la semplicità con la semplicioneria.

© Giovanni Lamagna

Sulla sensualità

Come definire la sensualità? Per me, in estrema sintesi, è la capacità, del tutto particolare e specifica, che hanno alcune persone (mentre altre non la posseggono per niente) di farsi desiderare sessualmente. Innanzitutto per le caratteristiche che ha il loro corpo. Ma ancora di più per i loro modi di essere, il loro modo di parlare, i loro gesti, le loro movenze, il loro modo di vestire. La sensualità è in altre parole la capacità di sedurre, di attrarre a sé.

Non si identifica, sic et simpliciter, con la bellezza fisica. Anche se questa può costituire un suo prerequisito. Può, ma non necessariamente. Infatti, ci sono persone molto belle fisicamente, che però non sono sensuali. E persone sensuali che non sono dei campioni/modelli di bellezza fisica.

Sono state sensuali alcune attrici famose e bellissime, come Marilin Monroe o Brigitte Bardot o Ava Gardner. Mentre non lo erano (almeno per me) attrici come Greta Garbo o la stessa Ingrid Bergman, donne altrettanto belle, ma un po’ algide e non altrettanto sensuali come le prime.

E’ la sensualità un valore? Per me sì. Perché entrare in contatto con una persona sensuale trasmette energia, dona gioia di vivere, ci fa sentire il desiderio di fare sesso, ingenera adrenalina. Sarebbe ipocrita non riconoscerlo.

La sensualità è quindi per me un valore. Allo stesso modo di come lo sono la bellezza fisica, l’intelligenza, la cultura, la simpatia del carattere, la bontà dell’animo, l’altruismo…, per indicare solo alcune (le principali, a mio avviso) delle caratteristiche che possono rendere attraente per noi una persona, un essere umano.

So benissimo che qualcuno nega valore a questa caratteristica umana e che alcuni anzi, addirittura, la disprezzano, ritenendola un disvalore, un che di deplorevole, un qualcosa di affine alla lascivia o alla lussuria.

E però io penso che tali giudizi nascano dall’invidia, dal fatto cioè che si vorrebbe essere sensuali e che non si riesce ad esserlo. O che siano ingenerati da un cattivo rapporto con la propria carnalità, col proprio corpo e con tutto ciò che ha a che fare con la sessualità. Tali giudizi, dunque, lungi dal segnalare una virtù, cioè un pieno di qualità, indicano una mancanza, una deprivazione, una nevrosi in chi li esprime.

So bene, d’altra parte, che altri sopravvalutano la sensualità, che la considerano l’unica dote o la principale, per la quale una donna (specie una donna) o un uomo possano essere ritenuti desiderabili e attraenti. Io non mi metto in questa categoria di persone. Non penso affatto che la sensualità sia l’unica dote o la principale delle doti che mi fa sentire attraente una persona.

E però (ripeto) considero la sensualità un valore. Un valore aggiunto per una persona che possegga anche altre doti. Sarebbe ipocrita per me negarlo!

Giovanni Lamagna