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Il “figlio giusto”.

Il “figlio giusto” non è, certo, quello che rifiuta drasticamente i suoi genitori, ribellandosi violentemente e indefinitamente ad essi, rinnegando l’eredità spirituale che essi gli hanno lasciato in consegna.

Ma non è neanche quello che rimane aggrappato alle figure genitoriali, dipendente a vita dal padre e dalla madre, continuando magari a vivere in casa con loro, incapace di farsi una vita sua.

Il figlio “giusto” è colui che sa riconoscere l’eredità spirituale ricevuta dai suoi genitori e, allo stesso tempo, sa emanciparsene, andando per la sua strada, diventando autonomo e indipendente da loro.

© Giovanni Lamagna

Sviluppo dell’autonomia e sviluppo del linguaggio.

C’è un rapporto strutturale tra lo sviluppo dell’autonomia di un bambino – che significa distacco, separazione simbolica e, almeno in parte, anche reale dalle figure genitoriali (specie da quella materna) – e sviluppo del linguaggio, della padronanza nell’uso della parola da parte dello stesso bambino.

Fin quando un bambino rimarrà attaccato alle figure genitoriali avrà difficoltà ad apprendere l’uso del linguaggio; e ciò creerà in lui una sorta di circolo vizioso: più egli si sentirà incerto nel parlare, più avvertirà il bisogno di rimanere aggrappato alle figure genitoriali, specie a quella materna.

© Giovanni Lamagna