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Legittima difesa e nonviolenza.

Ho la ferma, solida, intuizione (non arrivo alla presunzione di definirla “convinzione”) che la violenza contraccambiata sia solo uno dei modi coi quali si possa (qualcuno invece presuntuosamente, arriva a dire: si debba) reagire alla violenza ricevuta.

Certo, la risposta violenta è sicuramente quella più istintiva, quella che viene più immediata e facile; e (forse per questo) quella che finora ha prevalso nella storia delle relazioni umane, soprattutto tra le Comunità e gli Stati.

Il concetto di “difesa legittima” (per quanto limitato dal carattere della giusta proporzionalità rispetto all’offesa ricevuta) è parte integrante del diritto di tutti gli Stati, anche di quelli più democratici e tendenzialmente pacifisti.

Ed è stato assunto perfino dalla morale cristiana, in modo particolare da quella cattolica; anche se negli ultimi decenni molti pronunciamenti delle gerarchie ecclesiastiche hanno cominciato a metterlo seriamente in discussione.

Eppure è mia profonda sensazione che alla reazione violenta in risposta all’azione violenta subita possano esserci delle alternative, concretamente praticabili; e che, prima o poi bisognerà cominciare ad attuarle, se l’Umanità vorrà evitare di mettersi (se non si è già messa) sul pendio scosceso che la porterebbe fatalmente verso la catastrofe atomica mondiale e, quindi, verso il suicidio.

Ritengo, infatti, che sia istintivo e, quindi, naturale reagire difendendosi con la violenza dalla violenza, ma che sia altrettanto naturale e forse persino istintivo (almeno per alcuni) provare ripugnanza per la violenza in sé, anche per quella eventuale difensiva e non solo (com’è ovvio) per quella eventuale subita.

Chi prova ripugnanza istintiva, direi addirittura fisica prima che morale, verso ogni forma di violenza, avverte intimamente e profondamente che dovrà reagire con metodi non violenti alla violenza di cui sarà oggetto, che “all’occhio per occhio, al dente per dente” dovrà sostituire, se non proprio la scelta evangelica del “porgere l’altra guancia”, una difesa attiva nonviolenta.

Anche a costo di risultare inizialmente perdente e di dare scandalo, apparendo codardo agli occhi di chi non vede e non concepisce alternative alla “legittima difesa violenta”.

Ma tant’è: qui si confrontano due visioni del mondo, che entrambe hanno, a mio modesto parere, dei fondamenti di razionalità.

Anche se a chi ne sostiene una (specie a chi non vede alternative alla “legittima difesa violenta”) risulterà difficile riconoscere i fondamenti di razionalità (e, quindi, di legittimità) dell’altra.

La mia previsione è che non sarà la preveggente autocoscienza (come sarebbe auspicabile, anche se forse è pura utopia) ma la storia e solo la storia a stabilire (quindi – purtroppo! -solo a posteriori) quale di essa era la più saggia e lungimirante.

Spero solo che non sarà una storia tragica, anzi apocalittica.

Come temo, invece, sarà, se l’Umanità non si deciderà a fare (quanto prima, non ci resta molto tempo a disposizione) una scelta radicale di nonviolenza.

Che poi – sia detto qui solo per inciso; il discorso richiederebbe ben altro spazio – non vuol dire affatto arrendersi passivamente alla violenza subita (come la caricatura propagandistica che ne fanno i “militaristi” tende a far passare nel comune immaginario), ma significa fare ricorso ad altre forme di conflitto, diverse da quelle pur legittime (almeno in sede teorica) della difesa violenta, dell’occhio per occhio, dente per dente.

© Giovanni Lamagna