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Movimento fisico e movimento spirituale.

Ci sono uomini che non vogliono muoversi né fisicamente né spiritualmente.

Che vivono nel torpore e nell’inedia più assoluti, totali.

E ci sono uomini che vogliono muoversi solo fisicamente.

Nell’illusione che in questo modo si stiano muovendo anche spiritualmente.

Anzi si muovono fisicamente in maniera frenetica, tanto più frenetica quanto meno si muovono spiritualmente.

Sono pochi gli uomini che si muovono sia fisicamente che spiritualmente.

© Giovanni Lamagna

Sicurezza, torpore, rischio, desiderio

Troppa sicurezza genera torpore e, quindi, spegne il desiderio.

Una quota parte di pericolo e rischio genera adrenalina ed accende, quindi, il desiderio.

© Giovanni Lamagna

Sicurezza, pericolo, rischio, adrenalina, desiderio

Troppa sicurezza genera torpore e, quindi, spegne il desiderio.

Una quota parte di pericolo e rischio genera adrenalina ed accende, quindi, il desiderio.

© Giovanni Lamagna

Perché i più rinunciano a realizzare il loro potenziale.

3 aprile 2016

Perché i più rinunciano a realizzare il loro potenziale.

La psicologia umanistica e quella transpersonale sostengono (e, a mio avviso, con molta ragione) che la maggior parte delle persone realizza al massimo il 30% del proprio potenziale umano.

E questo perché preferisce “dormire” (in senso metaforico, ovviamente) o, nella migliore delle ipotesi, campare in uno stato di mezza veglia o mezzo sonno.

Che si manifesta in mille forme. Qui ne indico solo alcune, quelle che mi sembrano le più eclatanti e diffuse:

– una scarsa concentrazione e attenzione alla realtà (tanto è vero che almeno una parte degli incidenti – ad esempio, le cadute – di cui siamo vittima possono essere attribuiti a questo modo di vivere);

– una inclinazione a razionalizzare, a vivere in una dimensione prevalentemente o puramente mentale, intellettuale;

– una incapacità ad emozionarsi;

– all’opposto, una tendenza ad essere succubi delle emozioni, incapaci di controllarle e di gestirle;

– il ricorso alle droghe, da quelle più leggere a quelle più pesanti;

– il sottoutilizzo del proprio senso critico, l’accontentarsi di sposare idee prese in prestito dai mass media o, peggio, il ricorso agli stereotipi e ai luoghi comuni;

– lo scarso senso civico;

– il disinteresse a partecipare alla convivenza civile attraverso un impegno politico attivo.

Viene da chiedersi: perché? perché la maggior parte degli esseri umani propende a vivere così? (Dire “sceglie” di vivere così sarebbe un ossimoro, contraddittorio con la premessa da cui sono partito).

Perché propende a vivere così, dal momento che in questo modo si perde – con tutta evidenza – il meglio?

Un po’ come succederebbe a un viaggiatore che restasse per tutto il tempo del viaggio a dormire nell’albergo dove ha trovato alloggio o camminasse per le strade e i luoghi che andasse a visitare con gli occhi socchiusi, non del tutto aperti.

Ci deve essere una risposta a questa domanda. Che cosa spiega un tale atteggiamento?

L’unica risposta che riesco a trovare è che la realtà fa paura, vedere le cose come stanno provoca ansia e, in qualche caso, perfino angoscia.

Avere consapevolezza (per fare solo un esempio, quello più estremo) che la nostra vita, per quanto bella e soddisfacente, si concluderà inevitabilmente, prima o poi, con la morte, può ingenerare perfino terrore e, quindi, fuga da tale consapevolezza, rimozione di questo pensiero.

Inoltre stare sempre concentrati, vivere cioè pienamente l’attimo presente, comporta una fatica, uno sforzo, almeno all’inizio, quando non si è abituati a farlo.

Ecco allora che, per difendersi dalla paura, dall’ansia e dall’angoscia, per evitare lo sforzo dell’impegno e vincere la pigrizia, si preferisce campare in uno stato di incoscienza o di semi-coscienza, in una condizione di indolente torpore.

Ovviamente in questo modo ci si protegge (forse) dalla paura, dall’ansia e dall’angoscia (anche se queste poi spesso si manifestano in altre forme e per altre vie: insoddisfazione, noia, disgusto, nausea, mancanza di empatia, incapacità di entrare in relazione profonda con gli altri, apatia, rinuncia all’eros, astenia o, perfino, impotenza sessuale, depressione più o meno profonda).

Allo stesso modo si evitano sforzi e fatiche (anche se, poi, paradossalmente spesso si è stanchi lo stesso).

Ma, nello stesso momento e in pari grado, ci si impedisce di godere appieno di tutte le cose belle della vita o, meglio, delle cose migliori della vita.

Che richiedono, per essere apprezzate, lo sguardo vigile, l’orecchio attento, la mente sveglia, l’animo aperto, un impegno attivo e costante, anche se faticoso.

Giovanni Lamagna