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Pensare è dialogare.

Per pensare io devo sempre mettere una distanza tra me e l’Altro da me.

Che è, dunque, “me” e, allo stesso tempo, “un altro”.

Pensare è, pertanto, sempre una forma di colloquio tra un “Ego” e un “Alter-ego”.

Quando io non riconosco (simbolicamente) l’Altro da me, quando non lo vedo, quando non ci parlo, perché sono tutto ripiegato e chiuso in me stesso, il mio pensiero subisce un arresto.

Quantomeno subisce un arresto il pensiero meditativo, riflessivo, cioè il “pensiero nobile”

E resta – nella migliore delle ipotesi, quando non viene meno anche questo – solo il pensiero meccanico, come pura logica: quello che Heidegger chiamava “pensiero calcolante”.

Cioè il pensiero robotico, che è lo stesso pensiero del computer e – possiamo ipotizzare – di quella che oggi viene definita “Intelligenza Artificiale” (IA).

© Giovanni Lamagna

L’Altro da me.

“L’altro da me” non esiste, è il frutto di una mia invenzione/creazione.

O, meglio, della mia capacità di simbolizzazione.

Ovverossia della capacità di sostituire all’Oggetto primario perduto (la Cosa materna), interdettomi dalla Legge di castrazione del Padre, un oggetto simbolico.

“L’altro da me”, dunque, non esiste.

Eppure è ciò che mi permette di poter continuare a dare un senso alla mia esistenza.

Che mi permette di recuperare il senso smarrito dopo il lutto della perdita dell’oggetto primario: “la Cosa”, di cui parlava Lacan.

© Giovanni Lamagna