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L’uomo e la Legge.

Non ci sono dubbi che il godimento senza Legge, senza cioè limiti e confini, porta alla “distruzione della vita”, cioè alla morte.

Così come affermato da Lacan prima e, sulla sua scia, da Recalcati poi (vedi “La legge della parola”; 2022 Einaudi; pag. 33).

E, però, chi stabilisce il limite, il confine al godimento; in altre parole chi instaura la Legge?

A mio avviso, non può essere un’autorità esterna; non può essere manco Dio; meno che mai possono esserlo gli uomini, per quanto nella forma organizzata della società.

In ultima istanza, allora, la Legge, l’unica Legge a cui siamo tenuti ad obbedire, è la Legge della propria coscienza.

Che – sia ben inteso – non è l’anarchia, il caos dell’assenza di leggi; come qualcuno (superficialmente) potrebbe intenderla; ad esempio, il principe Ivan, quando ne “I fratelli Karamazov” afferma: “se Dio non esiste, allora tutto è possibile”.

Perché la Legge della propria coscienza, se rettamente intesa e, soprattutto, se ascoltata e seguita, può essere molto più severa di qualsiasi altra Legge che proviene dall’esterno; fosse anche la Legge di Dio.

La Legge che ci è imposta dalla nostra coscienza è, infatti, null’altro che la presa d’atto della Realtà, è la legge freudiana del “principio di realtà” che si oppone al “principio del piacere”.

E’, quindi, la coscienza del limite: il limite costituito dall’impossibile: a me piacerebbe volare gettandomi dal balcone, ma ciò non mi è possibile; se lo facessi, mi sfracellerei.

Il limite costituito dalla presenza/esistenza dell’Altro: la mia libertà finisce dove inizia quella dell’Altro.

Se voglio, infatti, entrare in relazione con l’Altro, devo accettarne l’esistenza, accoglierne la presenza; e queste rappresentano oggettivamente un limite alla mia libertà, non solo un dono d’amore potenziale.

Inoltre, se – come afferma Gesù – è la Legge al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio della Legge, allora davvero l’unica Legge a cui l’uomo deve obbedire è quella che gli detta la propria coscienza.

Il che non vuol dire che l’uomo possa e debba prescindere dalla Legge di Dio e manco da quella degli uomini.

Vuole dire che ogni legge (quella stabilita dagli uomini e persino quella attribuita all’autorità divina), prima di essere da noi osservata, deve (o, meglio, dovrebbe) passare al vaglio della nostra coscienza.

Che in ultima analisi, quindi, è l’unico parametro che può definire il confine tra la legge giusta e la legge ingiusta.

Perché anche questo bisogna dire: non tutte le leggi stabilite dagli uomini, persino quelle che gli uomini attribuiscono all’autorità di Dio, sono giuste.

Molte leggi, un tempo giudicate giuste e insindacabili, si sono rivelate poi, col trascorrere del tempo storico, ingiuste e quindi da superare, anzi rinnegare e persino condannare.

Pensiamo alle leggi che riconoscevano la schiavitù o la disparità tra i sessi; o anche alle usanze (in qualche modo divenute leggi: del costume di una società, se non del suo diritto positivo) che antepongono la forma alla sostanza.

La Legge, le leggi, non vanno dunque viste come principi insindacabili, a cui bisogna obbedire sempre e comunque.

In altre parole, come diceva don Lorenzo Milani, “l’obbedienza non è più una virtù”; affermazione che io chioserei così: “l’obbedienza non è sempre una virtù”.

© Giovanni Lamagna

Sui concetti di laicismo e di illuminismo

Io mi considero un laico a tutto tondo. Per il quale la libertà di pensiero e della sua espressione è un valore sacro. Memore della celebre frase: “Non condivido le tue idee, ma darei la vita perché tu le possa affermare liberamente”.

Ma non penso che il laicismo sia sinonimo di supponenza e presunzione, tale da portarmi a considerare (per fare un esempio calzante con alcuni recenti avvenimenti) tutti coloro che hanno fede in Dio come dei poveri diavoli, ai quali sia normale mancare continuamente di rispetto per la loro “superstiziosa ignoranza”.

Ora – sia chiaro- con queste mie affermazioni non voglio giustificare affatto (anzi li condanno senza se e senza ma; e penso che vadano perseguiti e puniti severamente dalla legge i loro autori) le quattro uccisioni avvenute in questi ultimi giorni in Francia da parte di alcuni fanatici islamici.

Credo, però, che vada compreso – proprio in nome di una laica e quindi direi scientifica razionalità – il contesto nel quale esse sono avvenute, se non si vuole ulteriormente avvelenare il clima dei rapporti tra culture ed etnie diverse e favorire così il ripetersi di altri episodi criminali simili.

Da questo punto di vista ritengo sia un dato obiettivo (difficilmente controvertibile) che una certa supponenza laica (presunta illuminista, in realtà stupida perché – se non intollerante – quanto meno inopportuna) le abbia in qualche modo oggettivamente provocate (nel senso letterale del termine: di “chiamate a sé”).

Chi non si rende conto che determinate sue affermazioni, fossero pure perfettamente razionali e irreprensibili sul piano del costume e della morale occidentale, sono invece inopportune e fuori luogo (anche in società laiche e non confessionali come le nostre), perché poco rispettose di una cultura altra, non è un vero illuminista, ma solo uno sciocco, perché presuntuoso, irresponsabile.

Una cosa è argomentare e criticare anche severamente le idee diverse dalle nostre (e questo è “illuminismo”, sano e del tutto legittimo, anzi sacrosanto), altra cosa è disprezzare e irridere le idee diverse dalle nostre, fosse pure utilizzando “l’arma” della satira (e questo, almeno per me, è il contrario dell’illuminismo, perché è una forma di intolleranza speculare, anche se opposta, a quella che si vuole criticare).

© Giovanni Lamagna