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Possiamo fare a meno di una nostra visione del mondo?

Krishnamurti, nel suo libro “La quiete della mente” (Ubaldini, Editore; 2021), a pag. 100, così scrive: “… i sistemi non purificano la mente e non liberano il cuore dalle cose della mente.”

Per “sistema” egli intende “un metodo”, “un ideale”, “un credo”, una “fede”, “un particolare modello di attività”.

Cosa penso di una tale tesi?

Penso che – in linea teorica e di principio – Krishnamurti abbia ragione: i sistemi in qualche modo ci limitano, ci ingabbiano, ci condizionano.

Allo stesso tempo, però, ritengo che non possiamo fare a meno dei “sistemi”, cioè di una certa visione del mondo; non possiamo prescinderne.

D’altra parte, in fondo, lo stesso Krishnamurti porta avanti, propugna una sua particolare visione del mondo, quindi un suo sistema di vita.

E allora?

Credo che la parte di verità di quello che dice Krishnamurti stia in questo: ciascuno di noi non può fare a meno di avere un suo sistema di vita, una sua visione del mondo.

Non deve però chiudersi in questo sistema e diventarne prigioniero.

Il suo sistema deve rimanere aperto ai cambiamenti, sempre.

Deve essere disponibile ad evolvere, financo, se è il caso, a negare sé stesso.

La vita è, infatti, movimento.

Pertanto tutto ciò che contribuisce a fermarla, bloccarla (anche le cose che per un certo tempo e fino ad un certo momento ci hanno reso felici) è negativo, perché interrompe o, quantomeno, ostruisce il nostro flusso vitale.

Bisogna avere (è impossibile non averla) una propria visione del mondo; senza di essa deraglieremmo come un treno uscito fuori dai binari, oscilleremmo come una canna al vento.

Ma la nostra visione del mondo deve essere e restare sempre aperta, disponibile ad essere messa in discussione in qualsiasi momento.

© Giovanni Lamagna