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Il principale problema dell’uomo: la solitudine

Penso che il problema fondamentale con il quale si deve confrontare l’uomo (ancora prima che quello delle malattie e quello della morte) sia quello della solitudine.

Non sto parlando qui ovviamente della solitudine episodica, saltuaria, che a tutti noi capita di sperimentare di tanto in tanto e per periodi più o meno prolungati.

Parlo della solitudine radicale, la solitudine esistenziale, che niente e nessuno, al di fuori di noi stessi, può aiutarci ad affrontare e meno che mai a risolvere.

La solitudine per cui io sono io e tu sei tu, io sono io e gli altri sono radicalmente altro da me, costituzionalmente separati da me; la solitudine per cui il mio destino è mio e il tuo è altro dal mio.

Ci sono persone che lasciano trascorrere tutta la vita senza neanche porsi né tantomeno cercare di risolvere questo problema.

Che vivono alla perenne ricerca di puntelli, di supporti, di paletti a cui appoggiarsi, che diano loro l’illusione di poter restare in piedi senza crollare, senza essere risucchiati dall’angoscia insostenibile della solitudine.

Ovviamente questa sensazione di non essere mai soli è solo illusoria e molto superficiale.

Nel profondo, infatti, esse continuano ad avvertire una profonda insicurezza, sentono di essere sempre sul bordo di un burrone, a rischio di precipitare negli abissi della depressione esistenziale.

Questo problema, infatti, lo si può risolvere (per quanto sempre in maniera parziale e precaria) solo a due condizioni.

La prima è che questa solitudine radicale, potremmo dire ontologica, venga da noi accettata fino in fondo, come tratto costitutivo e insuperabile della nostra stessa essenza.

La seconda è che si incontri dentro di sé quell’Altro da sé in grado di farci compagnia costantemente, a prescindere dalla presenza o meno accanto a noi di altri esseri umani.

Queste due condizioni sono tra l’altro anche la necessaria e indispensabile premessa per intrecciare delle buone (nel senso di vere, sane, soddisfacenti e non surrogatorie) relazioni con gli altri.

Chi, infatti, non è capace di stare da solo, nel senso che non è buon compagno di se stesso, non è manco capace di stare bene assieme agli altri, di essere buon compagno per gli altri.

© Giovanni Lamagna

Violenza e felicità

Sono profondamente convinto che l’aggressività che tutti (direi fisiologicamente) proviamo verso gli altri (aggressività più o meno intensa e profonda, che può trasformarsi in alcuni in vera e propria violenza caratteriale, fino a sfociare – nei casi più gravi – in vera e propria criminalità) sia legata, per quanto riguarda la sua misura ed entità, all’educazione che abbiamo ricevuto (o non ricevuto) nei nostri primi anni di vita (qualcuno dice nei primi sei anni, qualcun altro addirittura nei primi tre).

Un bambino nato in una famiglia, dove si respirava violenza come si respira l’aria, non potrà che crescere violento e diventare da adulto un violento cronico, molto probabilmente irrecuperabile.

Un bambino, che non avrà ricevuto la dose di amore che gli sarebbe spettata nei primi sei anni di vita, coverà dentro di sé un germe di odio profondo, che poi riverserà contro gli altri, quando diventerà adulto (e, forse, anche prima, già in età adolescenziale e, in qualche caso, perfino, nella fanciullezza).

E, però, sono altresì convinto che chi in età adulta non riuscirà a trasformare la violenza e l’odio che ha accumulato dentro di sé da bambino sarà destinato ad essere un uomo profondamente infelice.

Perché la violenza e l’odio che egli riverserà contro gli altri gli rimbalzeranno inevitabilmente addosso come un boomerang.

L’essere umano, infatti, non viene al mondo per vivere nella violenza e nell’odio, ma per stare in pace, in amore e in armonia con gli altri.

Perché esiste una fondamentale, strutturale, continuità tra il Sé che ognuno di noi è e gli altri.

Anzi – dirò di più – tra ciò che ognuno di noi è e la natura che lo circonda.

L’uomo è, infatti, parte di un Tutto e questo Tutto comprende ciò che l’uomo è: l’uomo e il Tutto che lo circonda sono fatti della stessa fondamentale sostanza.

Se l’uomo disconosce questa realtà, scagliandosi, mettendosi contro ciò (persone, animali e cose) che lo circonda, non potrà dunque che essere infelice.

Perché andrà contro la sua stessa natura profonda ed essenziale.

Facendo violenza all’Altro da sé, fa in realtà violenza anche contro se stesso.

© Giovanni Lamagna