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Pregiudizio e realtà.

11 agosto 2016

Pregiudizio e realtà.

Due giorni fa mi è capitato un episodio curioso che mi sembra opportuno raccontare in questo mio diario ferragostano.

Stavo facendo la mia passeggiata pomeridiana. Mi ero inoltrato a passo svelto lungo una strada in pendenza e piuttosto solitaria (solo di tanto in tanto qualche automobile, qualche raro passeggiatore, più spesso un ciclista). Godevo dell’aria dolce, calda e allo stesso tempo frizzante, ricca di ossigeno, come la si trova (oramai) solo in montagna.

Ad un certo punto, mentre ero di ritorno, non so perché mi è venuta in mente la recente strage avvenuta in un paesino del nord della Francia, nella quale due giovani dichiaratisi dell’Isis hanno sgozzato un vecchio sacerdote, padre Jacques.

Avevo davanti agli occhi il volto dolce e mite di questo prete ed ho immaginato la situazione di orrore e perfino di umiliazione (pare lo abbiano costretto a invocare Allah prima di ammazzarlo) che il pover’uomo deve aver vissuto.

Mi è montato dentro un sentimento molto violento, quasi di odio, verso questi uomini fanatici e sprezzanti della vita: avrei voluto scrivere qualcosa e inveire, esprimere insomma la mia indignazione forte per tutta questa violenza che sta insanguinando da qualche tempo il mondo, in particolare l’Europa.

Quando ad un centinaio di metri di distanza vedo salire e venire verso di me un gruppetto di tre giovani neri, presumo africani. Mi colpisce la coincidenza tra i miei pensieri di odio e il fatto. Mi prende anzi un po’ di ansia. Irrazionale, convengo. Forse collegata ai sensi di colpa per l’aggressività appena provata.

Ma l’ansia, si sa, è un sentimento per sua natura istintivo, che solo fino ad un certo punto si può dominare. Nei fatti l’ansia, nonostante i miei tentativi di controllarla, aumentava a mano a mano che i tre giovani si avvicinavano. La situazione di perfetta solitudine in cui mi trovavo di certo non mi aiutava a lenirla. Ha toccato l’acme quando i tre giovani sono giunti a pochi passi da me.

“Ciao!”- mi hanno detto appena mi hanno incrociato, con semplicità e gentilezza, come fossero persone che conoscessi e avessi incontrato già altre volte. Poi hanno proseguito dritto nella direzione da cui provenivano, quindi in quella opposta alla mia.

Io, a mia volta, non ho potuto fare a meno di rispondere “Ciao!”.

In un attimo tutti i mie pregiudizi, paure, ansie e in fondo anche la stessa violenta aggressività che avevo provato pochi attimi prima si sono dissolti. Ne ero contento e allo stesso tempo un po’ imbarazzato.

Giovanni Lamagna

L’Io e l’amore di se stessi.

domenica 7 agosto 2016

L’Io e l’amore di se stessi.

La lettura dell’incipit dell’editoriale di Scalfari su “la Repubblica” di oggi mi induce alcune riflessioni.

“…l’Io ama se stesso, da Adamo ed Eva in poi…” – dice Scalfari.

L’Io ama se stesso? Veramente? Non ne sono tanto convinto. O, almeno, non sono convinto che sia sempre così. Alle volte (anzi parecchie volte) l’Io crede di amare se stesso, ma in realtà non si ama affatto.

Amare, infatti, significa volere il bene della persona che si ama. Ma, se è così, siamo proprio sicuri che noi vogliamo sempre il bene per noi stessi?

Io non ne sono tanto sicuro. Anzi penso che molte volte noi non cerchiamo affatto il nostro bene, ma (più o meno consciamente o inconsciamente) cerchiamo esattamente il contrario: e, cioè, il nostro male.

Penso (per fare solo alcuni esempi eclatanti; ma se ne potrebbero anche fare di meno clamorosi) a quei giovani esaltati che negli ultimi tempi si stanno scagliando contro povere persone inermi (colpevoli ai loro occhi di essere “infedeli” di Allah), ne uccidono un certo numero, e poi vengono immancabilmente braccati, colpiti e, quasi sempre, uccisi dalle forze dell’ordine intervenute a macello oramai compiuto.

Di fronte ad episodi così sconvolgenti viene da chiedersi: cosa cercavano questi giovani?

Certamente non cercavano il bene di quelli contro cui si sono scagliati ammazzandoli. E, quando si fa del male agli altri, addirittura ammazzandoli, si cerca veramente il proprio bene? Si può cercare il proprio bene dando la morte ad altri?

Ma, forse, essi, in realtà, non cercavano neanche il proprio bene. Se, infatti, avessero riflettuto appena un po’ sulle conseguenze del proprio gesto, sarebbero divenuti facilmente consapevoli che esso si sarebbe concluso con la loro stessa morte.

Ma, molto probabilmente, essi ci avevano riflettuto ed erano perfettamente consapevoli di questo esito.

E allora si può pensare che chi sa di stare andando incontro alla morte stia cercando il proprio bene? Solo una mente allucinata (e perciò malata) può pensare che il proprio bene stia nella propria morte.

Ecco allora un caso eclatante in cui l’Io non ama se stesso. Ma anzi odia se stesso. Questo è un caso eclatante. In cui molto probabilmente nessuno di noi si troverà mai coinvolto. Perlomeno dal punto di vista dell’assassino.

Ma in quanti casi (meno clamorosi e appariscenti, magari insignificanti, perché impercettibili anche a noi stessi) mettiamo in atto la stessa “logica” perversa e ci facciamo o procuriamo del male da soli, con le nostre stesse mani?

E’ diversa la gravità degli esiti (e, ovviamente, la cosa ha la sua rilevanza), ma non è diverso il meccanismo autolesionistico che vi sottende.

Giovanni Lamagna