La politica deve essere necessariamente una professione?
Il terzo mito filosofico da sfatare è quello della “politica come professione”. Che allude immediatamente e inevitabilmente al titolo (“Politik als Beruf”) della famosa conferenza tenuta da Max Weber nel 1919.
Chi intende la politica essenzialmente come una professione, infatti, spesso si rifà all’autorevolezza del grande pensatore tedesco per avvalorare la sua tesi, dimostrando di non aver letto bene o di non aver letto per niente lo scritto di Weber.
Infatti, a leggere bene il testo di Weber, non emergono affatto argomenti a sostegno della tesi che la politica debba essere terreno esclusivo degli specialisti, anzi dei professionisti della politica.
Innanzitutto perché il termine “Beruf” in tedesco può essere inteso sia come “professione” che come “vocazione”. E poi perché dalle argomentazioni che porta avanti Weber sembra che egli abbia voluto dare al termine più la seconda accezione che la prima.
E comunque qui io non voglio appoggiarmi tanto all’autorità intellettuale di Max Weber, ma provare a fare un ragionamento autonomo. Che tende a replicare a due argomenti forti di chi sostiene la tesi della “politica come professione”.
I due argomenti sono: 1) la politica richiede competenze specialistiche; 2) la politica richiede esperienza.
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Al primo argomento così replico. Certo la politica richiede competenze specialistiche. Non credo affatto che la casalinga di Voghera possa andare al governo del Paese e governare bene. Né che “uno valga uno”, come sostengono i 5 Stelle.
Ritengo, infatti, che per occuparsi di questioni economiche occorra essere degli economisti, che per occuparsi di questioni scolastiche occorra essere esperti del mondo della scuola, che per occuparsi di questioni sanitarie occorra essere esperti del mondo della sanità, che per occuparsi di infrastrutture occorra essere degli ingegneri, che per occuparsi della questione della giustizia occorra essere dei giuristi e così via…
Ma, se questo è vero, allora il punto è mettere al posto giusto, per decidere delle questioni che riguardano il bene comune (cioè la politica), le persone giuste, cioè dei tecnici competenti. E non il politico di professione, che magari non capisce niente delle questioni tecniche di cui si dovrà occupare ed ha come unico titolo quello di fare il “politico di professione”.
E non mi si venga a dire che per fare il ministro o l’assessore non occorre essere competenti delle questioni di cui si occupa un certo ministero o un certo assessorato, perché il ministro o l’assessore deve avere e dare una linea politica e non essere un tecnico esperto della materia specifica di un ministero o di un assessorato.
Perché a questa obiezione rispondo: ma la linea politica riguardante un determinato settore di problemi mica nasce in un empireo astratto, separato dalle questioni concrete; si forma, invece, analizzando le questioni concrete e confrontando, diverse ipotesi di soluzione, per poi sceglierne una, certo anche in base ad una determinata line politica, ma non certo prescindendo da un obiettivo esame tecnico dei problemi.
Se il ministro o l’assessore delle questioni concrete facenti capo al suo ministero o al suo assessorato, non capisce niente, come farà a scegliere tra le varie ipotesi di soluzione?
Non sto manco dicendo (come dicono i 5 Stelle) che le questioni sono solo tecniche e che fare scelte politiche significa dare semplicemente soluzioni tecniche ai problemi. Perché non esisterebbero soluzioni di destra, di sinistra o di centro, esisterebbero solo “le soluzioni”, come fatti esclusivamente tecnici e, quindi, neutri.
Questa è un’emerita sciocchezza, contraddetta, tra l’altro dalla stessa esperienza politica dei 5 Stelle, che hanno rotto con la Lega sulle soluzioni politiche da dare alle questioni tecnico-politiche che via, via si ponevano. Segno evidente che ai problemi si posso dare soluzioni tecniche diverse, la cui diversità è data dal loro diverso segno politico.
Sto solo dicendo (e lo ribadisco di nuovo) che le soluzioni politiche non possono prescindere da un esame tecnico dei problemi. La scelta sulla TAV (per fare un solo esempio) è di natura squisitamente e prevalentemente politica (nel senso che dipende in ultima istanza dalla visione politica dello sviluppo e di ciò che si intende per “progresso”, che ciascuna forza politica ha).
Ma non può prescindere da una valutazione (anche) tecnica dei costi (non solo economici) ed degli eventuali benefici, che l’opera comporta.
Qual è allora la mia proposta per selezionare e scegliere il personale politico destinato a ricoprire determinati ruoli politico-istituzionali?
La mia proposta è quella di “pescare” nella società civile le competenze professionali migliori nei vari settori della vita economica e culturale. E affidare loro incarichi politici, cioè istituzionali, collegati alle loro competenze.
Ma per periodi non troppo prolungati. Conclusi i quali, il “professionista politico” (che è cosa ben diversa dal “politico di professione”) tornerà a svolgere la professione per cui si è formato e che praticava prima di “entrare in politica”.
In questo caso il professionista in questione non sarebbe “prestato alla politica”, come si suol dire oggi con un’espressione a mio avviso impropria, ma sarebbe semmai “prestato alle Istituzioni”.
Nessuno di noi può essere, infatti, “prestato alla politica”, perché ciascuno di noi è “politico” nella sua essenza, è politico vita natural durante e in ogni atto che compie. Non si entra in politica, perché si è già politici per il semplice fatto di essere cittadini. Semmai si entra nelle istituzioni: che è cosa diversa.
In questo modo, secondo questo mio criterio, nessuno diventerebbe mai “politico di professione”, non ci sarebbero più i cosiddetti “professionisti della politica”, e, nello stesso tempo, la politica avrebbe a sua disposizione le professionalità migliori presenti nel campo della cittadinanza, cioè della cosiddetta “società civile”.
Questo tipo di selezione garantirebbe, oltretutto, al massimo l’autonomia e l’indipendenza dell’uomo politico, il quale non verrebbe mai a trovarsi nella condizione di quei chierici che perdono la vocazione ma sono costretti a continuare a fare i chierici perché questo è anche il loro mestiere, quello che garantisce loro il reddito con cui vivere.
E nello stesso tempo limiterebbe al massimo il rischio che la categoria degli uomini a cui affidiamo la nostra rappresentanza e, soprattutto, la gestione delle nostre Istituzioni, si costituisca, come spesso è avvenuto in passato e come avviene ancora tuttora, in corporazione separata dagli altri cittadini e, quindi, come vera e propria casta.
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Al secondo argomento (“la politica richiede esperienza”) replico con le argomentazioni che seguono.
Certo, la politica richiede esperienza!
E, infatti, le scelte politiche non possono essere improvvisate: richiedono competenze tecniche, professionali (come abbiamo visto in precedenza); e le competenze uno o ce le ha o non ce le ha, non se le può inventare solo perché fa il politico di professione.
E questo è quindi (come abbiamo già visto) un argomento non a favore, ma semmai contro il concetto di “politica come professione”.
In secondo luogo, se la politica richiede esperienza, non ci si improvvisa politici. Perché le relazioni politiche richiedono ponderazione, capacità di dialogo, di diplomazia, di compromesso, conoscenza della vita, saggezza e chi più ne ha più ne metta.
Tutte doti, qualità, che possono anche essere innate in alcuni casi (lo dubito, però), ma che nella maggior parte dei casi, si maturano col tempo, con l’avanzare dell’età.
Questo va contro un vezzo oggi molto diffuso in politica, dopo la vertiginosa ascesa del giovane Renzi (seguita da una altrettanto vertiginosa e ben meritata sua caduta): quello che, se hai superato una certa soglia di età non sei più buono per fare politica, per ricoprire incarichi istituzionali, vai rottamato.
Magari sei buono per lavorare in miniera o presso un altoforno, ma non lo sei più per la “politica”.
La mia tesi sostiene esattamente il contrario: io penso che in politica più sono alti i livelli degli incarichi istituzionali da ricoprire e più bisogna affidarli a persone di età avanzata (non sto parlando, ovviamente, degli ottuagenari, come Napolitano, ad esempio). Perché gli anziani sono, appunto, dotati di esperienza (come ci hanno insegnato bene i Romani, per i quali i “senatores” erano appunto gli anziani).
Trovo singolare, quindi, che chi sostiene la tesi del “professionismo in politica” trovi poi del tutto naturale, anzi addirittura auspicabile, che vengano affidati incarichi istituzionali (perfino nel governo nazionale) a uomini e donne quarantenni o, addirittura, trentenni.
Per me l’esperienza necessaria in politica significa innanzitutto questo: che prima di una certa età non puoi (e non dovresti) ricoprire determinati incarichi istituzionali, perché potrai anche essere uno scienziato, ma non ne hai (appunto!) l’esperienza (quantomeno quella umana).
Come dimostra, ad esempio, da ultimo ma non da sola, la vicenda politica del 33enne Di Maio.
L’esperienza, quindi, per me (anche per me) necessaria in politica, non è quella maturata nella “professione della politica” (per intenderci, come funzionario di qualche organizzazione politica), ma piuttosto quella che matura cogli anni nel corso della vita in generale e nell’ambito delle professioni specifiche in particolare.
E’ di questa esperienza che le Istituzioni hanno un imprescindibile bisogno ed è questo tipo di esperienza (e solo di questa) che non bisogna far mancare alla politica, cioè alla gestione pubblica, dei nostri quartieri, dei nostri comuni, del nostro Paese.
Della esperienza dei “funzionari di partito” possiamo, invece, benissimo fare a meno. Questi, infatti, tendono a fare più i loro interessi personali o, tutt’al più, quelli dell’organizzazione di cui sono parte, che gli interessi comuni della collettività, da cui spesso anzi si sentono “separati”, quasi fossero una casta a parte.
Giovanni Lamagna
(4, fine)
Pubblicato il 31 agosto 2019, in Filosofia, personalità autorevoli, personalità storiche, politica, Psicologia, società con tag "Beruf", "società civile", 5 Stelle, assessore, autonomia, bene comune, benefici, casta, centro, cittadinanza, cittadini, competenze, compromesso, corporazione, costi, destra, dialogo, diplomazia, esperienza, funzionari di partito, indipendenza, istituzioni, Lega, linea politica, Max Weber, ministro, Napolitano, politica, ponderazione, professione, progresso, rappresentanza, Romani, saggezza, senatores, sinistra, sviluppo, TAV, tecnici, vocazione. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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