Archivi Blog
Tutti gli uomini hanno una vita spirituale?
Vorrei rispondere qui ad alcune domande, che mi sono state poste talvolta e sulle quali ho riflettuto spesso e approfonditamente.
Tutti gli uomini hanno una vita spirituale, per il fatto stesso di essere uomini? La spiritualità è una caratteristica intrinseca, naturale, quindi spontanea, della umanità, che non ha perciò bisogno di essere attivata e di seguire determinate procedure (starei per dire determinati protocolli), in qualche modo standard?
O la vita spirituale abbisogna di un atto di volontà specifico, è il frutto di una scelta, che non tutti gli uomini fanno o sono in grado di fare, presuppone cioè un certo stile di vita, che non è intrinsecamente e spontaneamente connaturato all’essere umano, per cui ci sono uomini che vivono una vita spirituale ed altri che non la vivono?
………………………….
La mia prima risposta a queste domande è: dipende; dipende da che cosa intendiamo per spiritualità e per vita spirituale.
Se per vita spirituale intendiamo la semplice vita delle emozioni o, tutt’al più, una ricca e intensa vita emozionale, allora, certo, tutti gli esseri umani, chi più e chi meno, hanno una loro vita spirituale.
Se per vita spirituale intendiamo l’emozione che si può provare di fronte ad un’alba o a un tramonto, di fronte ad un paesaggio particolarmente suggestivo, di fronte ad un’opera d’arte, di fronte alla bontà e alla generosità di un gesto, dinanzi ad una scoperta scientifica o ad un’intuizione filosofica, allora tutti gli esseri umani, chi più e chi meno, hanno una loro vita spirituale.
Anche se a questa affermazione si potrebbe obbiettare subito che pure gli animali vivono delle emozioni. Per quanto ad un livello di complessità e di intensità indubbiamente diverso da quello di cui sono capaci gli esseri umani.
Se, infatti, osserviamo gli animali, possiamo facilmente verificare che anche loro, al loro livello, incomparabile certo con il nostro, ma non strutturalmente dissimile dal nostro, sono capaci di vivere, sperimentare stati emozionali.
Ne possiamo dedurre quindi che la vita emozionale non è uno specifico degli uomini.
Per cui, se identificassimo la vita spirituale con la vita emozionale, dovremmo ricavarne che anche gli animali, sia pure ad un livello diverso dagli uomini, vivono una loro vita spirituale. Il che è quantomeno arduo da affermare.
Ancora. Se per vita spirituale intendiamo la vita della mente, della ragione, la cosiddetta vita intellettuale, allora possiamo senz’altro affermare che tutti gli uomini, anche se a livelli ovviamente diversi, hanno una loro vita spirituale.
E qui non vale neanche l’obiezione che abbiamo preso in considerazione prima a proposito delle emozioni nel mondo animale.
Perché, mentre possiamo riconoscere agli animali emozioni abbastanza simili a quelle umane, certo non possiamo riconoscere loro una vita intellettuale, neanche lontanamente paragonabile a quella degli uomini, anche del più rozzo intellettualmente parlando, del più ignorante e del più incolto degli esseri umani.
………………………………..
E, però, qui si pone una questione: la vita spirituale si identifica con la vita delle emozioni? O con la vita della mente, dell’intelletto? O anche delle emozioni e dell’intelletto messi insieme, compresenti?
La mia risposta a queste domande è negativa: no, la vita spirituale è altra cosa dalla semplice vita emozionale; ed è altra cosa anche dalla stessa vita intellettuale, fosse anche la vita intellettuale più alta e più sublime, fosse anche la vita intellettuale di un Kant e di un Hegel, di un Freud o di un Marx o di un Einstein, per considerare solo alcuni dei più grandi pensatori dell’epoca moderna.
Ne consegue che per me la risposta alla domanda che mi sono posto all’inizio è la seguente ed è molto chiara, molto netta: no, io non penso che la vita spirituale sia connaturata a tutti gli esseri umani, che sia cioè un frutto spontaneo e naturale della stessa condizione umana.
Io penso che la vita spirituale sia il frutto non di una condizione già presente in natura, ma di un atto di volontà, di una precisa e consapevole scelta (di avviarsi in un percorso, di sposare un certo stile di vita), di una vera e propria conversione (metanoia) che alcuni uomini compiono ed altri uomini no.
Per cui, da questo punto di vista, ci sono uomini che vivono una vita spirituale ed altri no. E sia i primi che i secondi sono riconoscibili.
Ci sono alcuni fattori, alcuni elementi, alcuni tratti di personalità che li contraddistinguono e li rendono riconoscibili.
…………………………………………
Quali sono questi fattori, questi elementi, questi tratti di personalità? Provo a delinearne due o tre, quelli che mi sembrano i più essenziali, i principali.
Una persona che vive una vita spirituale è per me in primo luogo una persona che ha scelto, deciso di unificarsi, di trovare un’unità dentro di sé.
Unità, che per nessun uomo è un dato di partenza, perché nessun uomo nasce già interiormente unificato: tutti gli uomini in qualche modo, chi più e chi meno, nascono interiormente divisi, frammentati.
Il processo di unificazione interiore si avvia (se si avvia) solo ad una certa età, nella fase dell’adolescenza, quando si comincia a diventare adulti.
Ed è il frutto di una scelta, di una vera e propria decisione, che molti che hanno vissuto questa esperienza ricordano perfino nei particolari, nei tempi e nei luoghi in cui essa è avvenuta.
Perché è un’esperienza fortissima, anzi unica, in alcuni casi addirittura sconvolgente, in genere frutto o figlia di un vero e proprio insight o illuminazione interiore. Corrisponde potremmo dire ad una vera e propria seconda nascita.
Era ad essa, forse, che si riferiva Gesù quando pronunciò queste parole: “In verità, in verità io ti dico che se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio. Nicodemo gli disse: Come può un uomo nascere quand’è vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel seno di sua madre e nascere? Gesù rispose: In verità, in verità io ti dico che se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne, è carne; e quel che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: Bisogna che nasciate di nuovo. Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né donde viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Giovanni; 3:3-8).
Qui non sto parlando di un’esperienza straordinaria (tipo la conversione di Paolo di Tarso fulminato e caduto da cavallo sulla via di Damasco) né di un’esperienza miracolosa o anche soltanto esoterica.
E neanche di un’esperienza legata necessariamente ad una scelta religiosa, mistica in senso classico. No, qui io penso ad un’esperienza e ad una scelta forte, importante, radicale, che segna la vita, ma del tutto ordinaria e laica.
Il risultato di questa scelta, di questa decisione, di questo insight, di questa illuminazione interiore, di questa vera e propria seconda nascita, è la che la vita di chi ne è stato protagonista cambia profondamente.
Certo non da un giorno all’altro, ma gradualmente, progressivamente. E, però, un giorno dopo l’altro, senza soste significative, ogni giorno di più.
Questa scelta segna un prima e un dopo, nel senso che ciò che prima era frammentato, disunito, a volte caotico e dispersivo, si unifica gradualmente, si ricompone. Al caos interiore di prima subentra un’armonia, sempre crescente, tra le varie parti di sé.
Le emozioni non contrastano più con gli impulsi istintuali e con i dettami dell’intelligenza. Impulsi istintuali, emozioni, sentimenti, idee, concetti si unificano tra di loro in un’armonia prima del tutto sconosciuta e via, via sempre più profonda e più completa.
Questa esperienza dona una pace e a volte perfino una gioia impagabili, diverse da tutte le altre, a cui non si è più disposti a rinunciare e a cui non si rinuncerebbe neanche in cambio dei più grandi tesori del mondo.
La persona che vive questa esperienza (in ciò consiste quella che io chiamo “vita spirituale”) è come se avesse trovato una potente leva con cui spostare il mondo o un filo rosso che oramai guiderà tutte le sue scelte e le sue azioni.
Una persona così, pertanto, non vive più insicura, incerta, confusa, come magari lo era prima, ma diventa assertiva, perentoria, decisa, senza per questo essere ottusa e intollerante al confronto con gli altri.
Al confronto con gli altri, però, arriva sempre con una sua posizione, disposta magari a metterla in discussione nel dialogo, ma mai a svenderla per qualche forma di timore reverenziale, di insicurezza cronica o di dipendenza dal giudizio altrui.
La vita spirituale, così intesa, è per sua natura e definizione un work in progress, un cammino, un pellegrinaggio, un viaggio, un percorso evolutivo.
Chi vive una vita spirituale, come qui la intendo io, è ogni giorno nuovo, diverso, non mastica mai lo stesso cibo, fa della sua vita un’avventura continua, è disposto al rischio, non ha paura delle novità.
Al contrario, chi non vive una vita spirituale, come la intendo io, (e a giudicare da quello che vedo attorno a me sono purtroppo la maggior parte degli esseri umani) è una persona quantomeno malinconica, spesso triste, talvolta depressa o, quantomeno, tendente alla depressione, o inquieta, agitata, confusa, vittima di indecisioni croniche e di dipendenza dagli altri, paurosa delle novità, incapace di affrontare i rischi che la vita comporta.
E’ una persona che si accontenta del già visto, che si muove sempre nello stesso orticello o cortile, che cerca (quando li cerca) rapporti rassicuranti e confortanti più che rapporti stimolanti ed eccitanti, che ha paura a guardare dentro di sé, per non affrontare i propri problemi, che anche quando si decide ad affrontarli in realtà fa finta di farlo.
E’ una persona che magari si lamenta della sua vita, ma poi non fa niente (o quasi niente) di serio per modificarla, trasformarla veramente, significativamente e in profondità. Dà a vedere o, meglio, mostra l’intenzione di voler cambiare, ma solo in apparenza, solo in superficie, perché in realtà non vuole cambiare nulla nella sostanza e in profondità.
Al modo del famoso principe del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che, non a caso, il suo autore intitolò “Il gattopardo”.
Giovanni Lamagna
L’uomo, la donna, il padre, la madre, l’unione carnale e la nudità (Genesi, 2,24 – 2,25)
24 settembre 2015
L’uomo, la donna, il padre, la madre, l’unione carnale e la nudità (Genesi, 2,24 – 2,25)
2, 24 Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne.
L’esistenza della donna e l’attrazione verso di lei danno all’uomo la spinta e la forza decisiva per allontanarsi dai suoi genitori, dalla loro casa, per uscire cioè definitivamente dall’utero materno: non solo in senso fisico/corporeo (come avviene subito, già al momento della nascita), ma anche in senso psicologico/spirituale (cosa che avviene, se avviene, solo molto più tardi e non è affatto scontato che avvenga).
Nella visione biblica l’uomo esce da un “utero” per entrare (in un certo senso) in un altro “utero”, per unirsi alla donna con la quale sarà una sola carne, così come una sola carne era stato con la madre, per i nove mesi della gestazione.
Solo che i genitori egli non se li è scelti, la donna con la quale egli si unirà carnalmente egli se la sceglie.
Qui sta la novità, il passo avanti, il salto, che genera l’evoluzione psicologica dell’individuo, anzi una sua vera e propria “seconda nascita”.
In questo versetto il linguaggio è (come spesso nella Bibbia) tutto al maschile, figlio dunque della cultura patriarcale. Ma esso può essere letto anche al femminile. Ciò che vale per il maschio vale a anche per la femmina: pure lei abbandonerà il padre e la madre e si unirà al marito e saranno una sola carne.
………………………………………………………………………………………………………………………………….
2, 25 L’uomo e sua moglie erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna.
La condizione naturale dell’uomo e della donna (come del resto quella degli altri animali) è, dunque, la nudità. Che è accompagnata dalla mancanza di quello che in seguito sarà definito “il comune senso del pudore”.
Alcune riflessioni semplici, al limite dell’ovvio:
evidentemente il “senso del pudore” non è poi tanto “comune”, se il primo uomo e la prima donna ne erano privi;
di certo “il comune senso del pudore” non è legato alla natura, se il primo uomo e la prima donna non solo nascono nudi (come del resto nascono nudi anche i bambini di oggi), ma vivono nudi anche da adulti, senza provare alcun imbarazzo.
(5, continua)
Giovanni Lamagna