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Due modi opposti di reagire alla “mancanza-a-essere”.
Ciascuno di noi può reagire allo stato strutturale di mancanza, di imperfezione, che ci caratterizza come umani, in due modi molto diversi tra di loro, anzi opposti.
O con l’atteggiamento negativo, deluso, chiuso, ripiegato su sé stesso, rassegnato, disincantato, a volte addirittura disperato di chi tende alla depressione o è un depresso acclarato.
O con l’atteggiamento positivo, aperto, speranzoso, luminoso, anche se realistico, di chi attiva il proprio desiderio, originato appunto dalla mancanza, e cerca di soddisfarlo, per quanto è possibile.
© Giovanni Lamagna
Pensare è dialogare.
Per pensare io devo sempre mettere una distanza tra me e l’Altro da me.
Che è, dunque, “me” e, allo stesso tempo, “un altro”.
Pensare è, pertanto, sempre una forma di colloquio tra un “Ego” e un “Alter-ego”.
Quando io non riconosco (simbolicamente) l’Altro da me, quando non lo vedo, quando non ci parlo, perché sono tutto ripiegato e chiuso in me stesso, il mio pensiero subisce un arresto.
Quantomeno subisce un arresto il pensiero meditativo, riflessivo, cioè il “pensiero nobile”
E resta – nella migliore delle ipotesi, quando non viene meno anche questo – solo il pensiero meccanico, come pura logica: quello che Heidegger chiamava “pensiero calcolante”.
Cioè il pensiero robotico, che è lo stesso pensiero del computer e – possiamo ipotizzare – di quella che oggi viene definita “Intelligenza Artificiale” (IA).
© Giovanni Lamagna