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Il segreto del figlio.

C’è un “segreto del figlio” (rubo l’espressione a Massimo Recalcati; 2017), che i genitori non devono avere la pretesa di scoprire, un territorio proprio del figlio che non devono invadere.

Il figlio deve fare il suo percorso su una via distinta e, a volte, distante dai genitori; quindi, in qualche misura almeno, sconosciuto, nascosto ai suoi genitori.

Così sembra abbia previsto la natura; piaccia o non piaccia a noi genitori.

© Giovanni Lamagna

Sentimento religioso, laici e “credenti”.

Considerare la religione come un evento puramente intimo e personale è sicuramente un’offesa al sentimento religioso.

Che i laici pretendano questo modus vivendi dagli uomini di religione è puro arbitrio, se non addirittura violenza.

E’ lecito, invece, chiedere ai credenti che essi rinuncino alla pretesa (anche questa violenta) di imporre ai non credenti la loro morale.

Come se essa fosse LA MORALE, l’unica morale possibile e praticabile.

© Giovanni Lamagna

Il ruolo dell’Ego nella vita psichica dell’uomo.

Vorrei trarre spunto per questa mia riflessione da tre affermazioni di Massimo Recalcati, che ho trovato nel suo “La legge della parola” (Einaudi 2022); affermazioni da cui dissento in maniera alquanto significativa.

In tutte e tre le affermazioni Recalcati affronta il problema del ruolo dell’Ego (o dell’Io) nella vita psichica dell’uomo, traendo spunto da alcune parole o da episodi della Bibbia; ne trarrò pretesto per affermare la mia posizione in proposito.

Cominciamo dalla prima: a pag. 263 del suo libro Massimo Recalcati sostiene che il “serpente… sospinge i primi umani – Adamo ed Eva – ad assimilarsi a Dio, dunque a non accontentarsi di essere umani.”

Io non sono per niente d’accordo con tale affermazione, la mia posizione è del tutto diversa.

Nell’Eden (da cui poi saranno scacciati dopo aver commesso la “colpa” di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male) Adamo ed Eva non erano affatto umani, come sostiene Recalcati, ma (io direi) pre-umani.

In altre occasioni (vedi “Elogio della disobbedienza a Dio”; 2016 Guida editori) ho avuto modo di dire che Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre erano beati, ma anche beoti, cioè ignoranti, incoscienti, nel senso letterale dei due termini.

Diventeranno umani proprio grazie alla loro disobbedienza al comandamento divino.

Che non è affatto, come invece sostiene Recalcati, un atto di “ambizione sconfinata”, figlio della pretesa inconsistente di “volersi comparare a Dio”, ovverossia secondo la “Torah… la versione più propria del carattere perverso del desiderio umano” (pag. 262).

Ma bensì un atto di legittima affermazione della loro natura, alla quale li aveva destinati il loro stesso creatore, chiamandoli a vivere “non come bruti”, ma “per seguire virtute e conoscenza”.

In altre parole ad essere come Lui, come Dio.

D’altra parte Dio non li aveva creati “a sua immagine e somiglianza”?

La seconda affermazione di Recalcati che io contesto si trova anch’essa a pag. 263; qui Recalcati sostiene che “… lo sfondo di ogni malattia mentale non è l’indebolimento dell’Io ma il suo eccessivo potenziamento, la sua smodata amplificazione, l’attaccamento narcisistico a sé stesso.”.

Mi permetto – anche qui – di non essere del tutto d’accordo; perché qui Recalcati fa una generalizzazione a mio avviso inesatta dell’origine delle malattie mentali, estendendo indebitamente questa diagnosi a tutte le malattie mentali, senza distinzioni.

Io invece ritengo che ci siano indubbiamente malattie mentali che trovano la loro più profonda eziologia nell’eccessiva esaltazione dell’Io, nella “sua smodata amplificazione”, nel suo narcisismo, come sostiene Recalcati.

Ma che ce ne siano altre che hanno una eziologia esattamente opposta e speculare alla prima.

Malattie che trovano la loro radice proprio in un eccessivo indebolimento dell’Io, in alcuni casi nella sua totale o grave inconsistenza, nella mancanza di ogni sia pur minima stima e considerazione di sé.

Nell’io che vive alla deriva, privo di un “centro gravitazionale”, sballottato di qua e di là, tra le opposte sponde dell’Es (istinti, impulsi, passioni, desideri…) e il Super-io (censure, divieti, paure, sensi di colpa…).

La terza affermazione di Massimo Recalcati, che non mi trova d’accordo, si trova a pag. 264 del libro già citato: sulla scorta dell’insegnamento di Qohelet, egli ritorna sullo stesso tema affrontato in precedenza, sostenendo che “… la riduzione dell’infelicità è la castrazione del proprio Ego e delle sue passioni smodate e idolatriche”.

Anche qui mi permetto di non condividere del tutto l’affermazione di Recalcati: il termine “castrazione” mi sembra esagerato; “castrazione” per me è sinonimo di taglio, eliminazione, annullamento.

Mentre per me non si tratta di annullare, eliminare il proprio Ego, quanto di limitarlo, di sottoporlo al principio di realtà.

D’altra parte lo stesso Freud, con la sua celebre affermazione “Dove c’è l’Es ci sarà l’Io”, ci indica che l’obiettivo della possibile crescita umana non deve essere affatto la “castrazione” dell’Io, ma semmai il suo rafforzamento.

Ciò che dovrà indebolirsi è tutt’al più l’Es, cioè l’insieme delle pulsioni libidiche vissute allo stato brado, selvaggio, cioè nella forma delle “passioni smodate e idolatriche”.

Ma anche qui sento il bisogno di precisare meglio il concetto di “passione”, secondo il mio punto di vista.

Non si tratta, infatti, a mio avviso, di rinunciare alle passioni e ai desideri, come ad esempio afferma una certa versione (primitiva e radicale) del buddhismo, che non a caso, opportunamente, Recalcati cita nella nota che si trova a pag. 263.

Quanto piuttosto di limitare, contenere, tenere sotto controllo e mai annullare del tutto le passioni e meno che mai i desideri.

D’altra parte non ci ha più volte avvertito lo stesso Recalcati (sulla base dell’insegnamento del suo maestro, Lacan) che il più grave peccato che l’uomo possa commettere è quello di “cedere sul proprio desiderio”?

In estrema sintesi e per concludere, mi sembra di poter affermare che:

1. la sete di conoscenza del bene e del male nell’uomo non risponde affatto ad un moto perverso e inconsistente di superbia, che fatalmente lo perderebbe, ma ad un naturale e positivo desiderio di trascendere la sua natura animale per avvicinarsi a quella divina, cui del resto lo aveva destinato la stessa volontà del suo Creatore;

2. c’è malattia sia in un eccessivo potenziamento dell’Io, sia in un suo eccessivo indebolimento; l’Io, come ci ha insegnato Freud, il padre della psicoanalisi, svolge, infatti, un importante funzione nella vita psichica dell’uomo, quale punto insopprimibile di equilibrio tra il “principio del piacere” e il “principio della realtà”.

3. non si tratta affatto di “castrare” le proprie passioni e i propri desideri, ma tutt’al più di dare loro un limite, di tenerle sotto controllo, per non farsene travolgere nella ricerca di un godimento illimitato, che diventerebbe fatalmente (in questo caso, sì!) dissipativo, dissoluto e, quindi, mortifero, come ci ha insegnato Lacan.

© Giovanni Lamagna

La VERITA’ e le verità.

Sì, per me non esiste LA (grande) VERITA’, ma solo tante (piccole) verità, quanti sono gli uomini.

Per fortuna, però, queste verità hanno tanti punti in comune, non sono assolutamente distanti e del tutto incomunicabili.

Per questo, a mio avviso, nessun uomo dovrebbe avere la pretesa di voler imporre la “sua verità” agli altri.

Ma ogni uomo dovrebbe avere solo il desiderio di confrontare la sua “piccola” verità con quella degli altri, per provare a comporre insieme una verità più “grande”, il più possibile comune, condivisa.

Non ci sono per me alternative a questo modo di convivere tra gli uomini.

O, meglio, l’alternativa c’è; ma è la legge della giungla; in altre parole, la barbarie.

© Giovanni Lamagna

“Verità” e “verità”

Non è vero che gli uomini siano condannati a non poter accedere alla verità.

Noi abbiamo la possibilità di trovare la verità.

Solo che questa sarà la “nostra verità”, la nostra piccola verità, uno spicchio di verità, non LA VERITA’, ovverossia la “verità assoluta”, intera, valida per tutti, come molte volte pretendiamo e ci incaponiamo che sia.

Con la verità succede come con la vista.

Ognuno di noi ha un suo punto di vista, unico, il suo, esclusivo.

Ciò che guardiamo è assolutamente vero e, per molti aspetti, obiettivo.

Ma è diverso (perché cambia il punto di vista) da quello di tutti gli altri; e, quindi, per altri aspetti, soggettivo.

Ognuno di noi può, dunque, dire che ciò che vede è vero.

Ma nessuno di noi può dire che ciò che vede è SOLO come lo vede lui.

Quanto detto giustifica la nostra ricerca della verità.

Non la pretesa che la “nostra verità” sia LA VERITA’.

© Giovanni Lamagna