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La mia idea di politica.

Per me è sbagliato affermare che la politica è un lavoro come gli altri.

Perché si lavora in primo luogo per una necessità materiale, per guadagnarsi da vivere.

Mentre non si dovrebbe fare politica per guadagnarsi da vivere, come in un qualsiasi altro lavoro.

La politica è (o dovrebbe essere) innanzitutto un servizio – reso gratuitamente – alla comunità, un mettere i propri talenti a disposizione della comunità in cui si vive, perché la sua vita (e quindi indirettamente anche quella di chi si impegna in politica) sia la migliore possibile.

La politica, dunque, per me non è (o, meglio, non dovrebbe essere, come pure un illustre pensatore, quale Max Weber, quantomeno la definì) un lavoro, una professione.

Ma è (o, meglio, dovrebbe essere) innanzitutto una sorta di vocazione, comune (o, meglio, auspicabilmente comune) ad ogni uomo, per la sua stessa natura di essere sociale.

Un modo di essere, quindi, di ogni uomo e non solo di una categoria particolare di persone, che la scelgono come lavoro, una professione (quasi) come le altre.

Che in alcuni casi (eccezionali, però) è (può diventare) – meglio provvisoriamente, cioè per una fase limitata – anche una scelta (particolare) di vita, con un impegno a tempo pieno.

Ma mai col fine primario che essa assicuri un’occupazione e, quindi, un reddito, in mancanza di altra occupazione e quindi di altra fonte di reddito.

Questa è la mia idea di politica!

Come si vede, un po’ diversa (anche se, a leggere bene i suoi argomenti, non molto diversa) da quella di Max Weber, che su questo argomento nel 1919 tenne una memorabile conferenza, il cui testo fu pubblicato qualche mese dopo col titolo di “Politik als Beruf” (“La politica come professione”).

© Giovanni Lamagna

Il senso e il fine del “conosci te stesso”

Gli antichi Greci raccomandavano: “γνῶϑι σεαυτόν” (“conosci te stesso”).

A questa antica massima mi viene da obiettare: ma che senso aveva ed ha predicare il “conoscere se stessi”, se poi comunque noi uomini siamo destinati alla morte, a finire nel nulla, dal quale del resto siamo venuti?

Oltretutto gli antichi Greci avevano una spietata, radicale consapevolezza di un tale destino, forse come nessun altro popolo l’ha mai avuta nella storia, almeno nella storia antica.

Tanto è vero che definivano l’uomo “essere mortale”; facevano quindi della morte la caratteristica, lo stigma principale dell’uomo.

Poi penso ai bambini; la cui occupazione (mi verrebbe da dire: il loro lavoro) principale è il gioco.

E mi chiedo: qual è il senso del gioco (non solo per i bambini, ma anche per noi adulti)?

Risposta: nessuno!

Il gioco non ha nessun senso finalistico, se non il piacere in sé, il piacere che si prova a giocare.

Anche se nel caso dei bambini (e forse non solo dei bambini) il gioco è anche una forma (anzi forse la principale forma) di apprendimento.

E allora penso che è così anche per la vita in generale; è così anche per gli adulti.

Il “conosci te stesso” che raccomandavano i Greci non ha nessun senso finalistico, dal momento che noi uomini siamo “esseri mortali”, la cui vita si conclude definitivamente e ineluttabilmente con la morte.

Il “conosci te stesso” ha un valore in sé, per il piacere che la ricerca di sé dona a chi la fa.

La vita non ha un senso metafisico, un senso che sta oltre se stessa; la vita ha un senso in sé.

Proprio come il gioco, che non si gioca per una qualche utilità pratica e neanche per chissà quale nobile ragione ideale.

Si gioca perché è bello giocare, perché giocare ci distende, ci rilassa, ci diverte, ci fa stare bene.

La vita ha senso viverla non perché trova una giustificazione che sta fuori della vita stessa.

La vita è bella in sé; o, perlomeno, la maggior parte di noi trova che, nonostante tutto, ha senso viverla.

Pur con tutte le sofferenze che inevitabilmente la attraversano e la consapevolezza che essa prima o poi terminerà con la morte.

Allora, fin quando troveremo che essa è – nonostante tutto – bella, avrà senso viverla.

Quando non la troveremo più bella e le sofferenze supereranno le gioie che – nonostante tutto – essa ci dà, forse sarà il caso di togliere le tende e andare incontro – consapevolmente, volontariamente e, se possibile, serenamente – al nostro destino di uomini: quello di essere mortali.

© Giovanni Lamagna