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Confessione privata.

Avverto uno stridore fortissimo e costante, quasi ininterrotto, tra quello che è il mondo attorno a me (da quello immediatamente più vicino a me – casa mia, i miei affetti più cari – a quello più lontano, anche migliaia di chilometri lontano, da me) e il mondo come – immagino, idealizzo – dovrebbe essere, come mi piacerebbe che fosse, come desidererei che fosse.

Insomma, mi sento un mezzo disadattato.

Questo stridore vedo, avverto, ha, da qualche tempo, delle ripercussioni anche fisiche, soprattutto nella pancia, come se l’intestino stesse sotto una tensione costante, quasi permanente, e facesse fatica a rilassarsi, a distendersi; insomma, a stare bene.

Me lo conferma il fatto che, quando vado a letto la sera; questa tensione psicofisica scompare quasi immediatamente; il sonno mi ristora; almeno il primo sonno, quello che dura quattro/cinque ora e che è profondo, tutto sommato sereno.

Poi, passato il primo sonno, vado in uno stato di dormiveglia e alle volte faccio brutti sogni; qualche volta persino angosciosi; o mi assalgono pensieri tristi, malinconici, specie negli ultimi tempi.

E, allora, quasi sempre all’alba o anche prima, sono costretto ad alzarmi; mi dedico, quindi, a un po’ di autoanalisi (quasi sempre su quanto ho vissuto il giorno precedente), a qualche lettura che mi tiri su, alla meditazione.

E così inizio bene, in genere abbastanza bene, la mia giornata.

Ma, quando vengo preso dal solito trantran quotidiano, riprendono piede lo stato d’animo e, di conseguenza, i sintomi fisici di cui prima; e questo fino alla sera.

Per fortuna, nel corso della giornata ci sono anche momenti “altri”: una passeggiata, la conversazione con un amico o un’amica, un film, uno spettacolo teatrale, la presentazione di un libro, un evento politico, ogni tanto l’incontro coi miei nipotini…

E in questi momenti il mio animo e, per conseguenza, il mio corpo si rilassano, distendono: sono momenti che benedico.

Ma sono sempre troppo pochi e troppo brevi, rispetto a quelli che desidererei e di cui, forse (o senza forse), avrei bisogno.

Non so bene perché ho messo in pubblico questo mio pezzo di privato.

O, forse lo so, ma non ne sono sicuro.

So solo, per certo, che me ne è venuta voglia e perciò l’ho fatto.

Nella speranza di non essere compatito, ma solo compreso.

Grazie a chi mi ha dedicato la sua attenzione.

……………………….

p. s. voglio solo aggiungere a questa piccola “confessione privata” che di grande conforto mi sono nel corso della giornata la lettura e la scrittura; non a caso ad esse dedico lunghe ore, lettura e scrittura occupano gran parte della mia giornata.

Per cui posso definirmi una persona fondamentalmente solitaria, mentre amerei essere una persona anche, se non fondamentalmente, socievole, che ama stare in compagnia degli altri.

La mia compagnia fondamentale, invece, sono le persone che hanno scritto i libri che leggo e quelle alle quali idealmente scrivo, nella speranza che almeno qualcuna di esse talvolta incroci le cose che scrivo e le legga.

© Giovanni Lamagna

Tradimento e amore.

Il tradimento – dice Massimo Recalcati – non viene mai da chi ci è estraneo affettivamente; non esiste tradimento tra persone che non si amano; o, per la precisione, che non si amavano prima di tradirsi.

Il tradimento viene sempre da chi ci ha amato, da chi ci è stato vicino affettivamente: un amico, un amante, un figlio, un discepolo…

Assodato questo dato di fatto, io però mi chiedo: esiste un amore che non contempli anche una qualche forma di tradimento? si può amare senza (prima o poi) tradire?

Non il tradimento causato dalla paura; come fu quello del discepolo Pietro nei confronti del maestro Gesù, quando questi fu arrestato e poi condannato a morte.

Non il tradimento motivato da un utile, da un tornaconto, come quello di Giuda, che tradì il maestro per trenta denari.

Ma il tradimento originato dalla spinta del proprio desiderio, che, ad un certo punto, entra (o può entrare) in collisione con l’amore fino ad allora provato; o che, magari, si continua ancora a provare.

Il tradimento che è il sostantivo del verbo “tradire”, che, se andiamo a vedere l’etimo (trans + ire), vuol dire “andare oltre”; quindi camminare, evolvere, non certo stare fermi, magari psicologicamente imballati.

Le domande che, quindi, a questo punto mi pongo e pongo sono: si può non “andare oltre” (non “tradire”) per “amore?

E’ vero amore quello di chi si ferma e non va oltre; smette quindi di cercare e di crescere?

Che cosa significa “tradire”? Andare oltre l’amore provato, quando questo amore non si prova più? O rinunciare al proprio desiderio, alla chiamata di un nuovo amore, in nome della fedeltà ad un vecchio amore che non si prova più?

Ancora e di più: rinunciare a un nuovo amore che ci chiama per non mettere a rischio un amore che si prova ancora? o, all’incontrario, mettere a rischio il vecchio amore, che pur si continua a provare, per non rinunciare al nuovo amore che ci chiama?

La vita può metterci – anche più di una volta – di fronte a scelte di questo tipo.

In molti di questi casi il tradimento non ha nulla a che fare con quello di Pietro, cioè non ha nulla a che fare con la paura.

Anzi esige un coraggio (che talvolta sfiora la temerarietà) non richiesto a chi, invece, rinuncia a tradire; che quasi sempre preferisce la sicurezza del certo al rischio dell’incerto.

E, meno che mai, ha a che fare con quello di Giuda, cioè con un interesse materiale.

Perché molto spesso questo tipo di tradimento richiede il pagamento di costi – a volte anche molto pesanti – di natura psicologica e non poche volte pure economica e materiale.

© Giovanni Lamagna