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Tre miti da sfatare.

Credo che sarebbe ora di sfatare alcuni miti che si sono affermati e consolidati quasi universalmente nel pensiero filosofico nel corso della sua storia, specie di quella moderna e contemporanea, sulla base di una presunta visione realistica dell’uomo, ma che, a mio avviso, del “realismo” ha ben poco, perché è legata a giudizi precostituiti piuttosto che ad una lettura fredda, razionale e, quindi, obiettiva della realtà.

E perciò, a mio avviso, sono dei veri e propri miti, per quanto rivestiti di (apparentemente) fredda, scientifica razionalità.

Ci troviamo, insomma, di fronte al classico pensiero “realista” che è più realista del Re.

In modo particolare tre sono i miti, che a mio modesto modo di vedere, andrebbero sfatati o (quantomeno parzialmente) rivisitati e rivisti:

1) l’uomo è per sua natura, intrinseca e immodificabile, strutturalmente “cattivo” (vedi Machiavelli, vedi Hobbes…);

2) l’uomo è condannato ad essere irrimediabilmente infelice: l’infelicità è la condizione umana basica (vedi Schopenhauer, vedi Cioran…);

3) la politica è una professione come le altre e va esercitata (solo) da coloro che ne hanno la predisposizione intellettuale e vocazionale (vedi Max Weber).

Qui pongo solo il problema, offro solo i titoli di altrettante ricerche su tesi che andrebbero ovviamente argomentate in maniera adeguata, allo stesso modo di come hanno fatto a suo tempo i cinque insigni autori da me citati, per sostenere tesi opposte.

Ma, secondo me, gli argomenti per sfatare quelli che io definisco dei veri e propri miti ci sono e sono anche abbondanti; almeno allo stesso livello (anzi per me ad un livello addirittura superiore) di quelli portati a sostegno delle loro tesi dai cinque pensatori di cui sopra.

© Giovanni Lamagna