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Fedeltà e tradimento

Leggendo il capitolo “Il tradimento di Giuda” del libro “” di Massimo Recalcati “La notte del Getsemani” ho fatto le riflessioni che seguono.

Ogni rapporto interpersonale a me pare viva sulla tensione tra due opposte polarità e debba reggere questa tensione, pena il venir meno della vitalità del rapporto stesso:

– da una parte la fedeltà al debito simbolico che si contrae con la persona con la quale si è entrati in relazione;

– dall’altra la ineludibile fedeltà al proprio desiderio (altre volte lo stesso Recalcati, facendo tesoro dell’insegnamento di Lacan, ha sostenuto che non c’è peccato più grande che cedere sul proprio desiderio).

In un rapporto, in un qualsiasi rapporto, bisogna, dunque, contemperare il dovere della responsabilità (etica) che si contrae verso l’altro/a (quando si stabilisce una relazione) con il dovere (del tutto personale e individuale, ma anche questo etico) di rispondere alla chiamata del proprio daimon, alla propria vocazione personale.

Alle volte (forse il più delle volte, a dire il vero) questi due doveri ci chiamano a camminare su un’unica strada o su due strade che camminano parallele e vanno nella stessa direzione. Altre volte invece ci chiamano in due direzioni diverse e perfino opposte, per cui generano conflitto, perfino conflitti laceranti.

Nel capitolo in questione Recalcati rimarca in maniera (a mio avviso un po’ unilaterale) il dovere della responsabilità etica che si assume verso la persona con cui si è entrati in relazione (che in certi casi è addirittura la persona da cui si è ricevuta la vita, fisica o spirituale ha qui poca importanza) e fa ricorso al termine forte di “tradimento” per indicare il venir meno a questa responsabilità.

Addirittura fa ricorso alla “scena originaria” del “primo tradimento”: “quello di Adamo ed Eva nei confronti di Dio”. Ed afferma:

Ogni debito simbolico nei confronti del Creatore è cancellato nel nome del diritto alla libertà di godere che Adamo ed Eva – sospinti dalla malignità del serpente – rivendicano. Dio non è colui al quale essi devono la vita ma un ostacolo per la loro vita.

Il “traditore” rifiuta di riconoscere la relazione di debito simbolico che lo lega al “tradito”; rifiuta di riconoscere il valore del dono che ha ricevuto; il tradito è divenuto per il traditore, come attesta chiaramente la scena matrice di Adamo ed Eva, solo un ostacolo per l’affermazione della propria vita, un peso ingombrante da lasciare cadere, di cui liberarsi il più rapidamente possibile.

Qui Recalcati evidenzia giustamente il dono che Dio aveva fatto ad Adamo ed Eva (il dono più grande: quello della vita) e quindi il debito che essi avevano assunto nei confronti del loro Creatore.

Ma sembra dimenticare che Dio, all’atto della loro nascita, aveva imposto ai nostri progenitori un obbligo molto oneroso: quello di non mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male.

E’ a questo obbligo che i nostri progenitori si ribellarono. Per rispondere al loro daimon (demonio/vocazione) di conoscenza, soprattutto di conoscenza proprio di ciò che è bene e di ciò che è male.

Non dunque al desiderio (questo sì perverso!) di godere illimitatamente, come sembra intendere e presentarla Recalcati.

Cosa sarebbe stata infatti la vita di Adamo ed Eva senza quell’atto originario di disobbedienza e trasgressione? Una vita poco più che animale; anzi in tutto simile a quella degli animali.

Sono gli animali, infatti, che non sono in grado di discernere il bene dal male e di agire di conseguenza. Adamo ed Eva avrebbero vissuto dunque una vita magari beata, ma anche beota.

Il loro “tradimento” è stato perciò necessario: hanno dovuto tradire il loro Dio, per obbedire al loro daimon. Cosa che in alcune situazioni viene richiesto a ciascuno di noi. In quelle situazioni in cui si genera un conflitto tra la fedeltà al debito simbolico che abbiamo contratto e la fedeltà alla propria vocazione individuale.

Non è questo in fondo il tradimento che è chiamato a compiere ogni adolescente se vuole diventare finalmente e pienamente adulto? Cosa deve fare un adolescente per diventare pienamente adulto?

Deve (quasi necessariamente) ribellarsi ai suoi genitori, coi quali pure ha contratto un debito simbolico per aver ricevuto la vita (la vita fisica con l’atto del concepimento e la vita spirituale con la prima educazione).

“Tradire” in qualche modo (nel senso di “trans-ire”: andare oltre) i loro modelli educativi, per trovare una sua strada.

Se non lo facesse egli resterebbe perennemente attaccato alla gonna della madre e ai pantaloni del padre: resterebbe un eterno bambino.

E i genitori che pretendessero questo dai loro figli (e ce ne sono; alcuni lo fanno in maniera più o meno palese ed esplicita, altri in forme più o meno tacite e subdole) sarebbero dei cattivi genitori, forse addirittura dei genitori perversi.

In certi casi dunque il tradimento è un atto obbligato, quasi fisiologico. Fa parte dei compiti evolutivi che ciascuno di noi è obbligato a compiere.

Almeno quanto la fedeltà ai debiti simbolici che ciascuno di noi ha contratto e continuamente contrae nel corso della sua vita.

© Giovanni Lamagna