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Azioni premature, azioni mancate e azioni tardive

Ci sono momenti in cui conviene stare fermi, rinunciare ad ogni azione, in attesa di capire bene come muoversi, cosa fare.

Le azioni premature sono altrettanto dannose che le azioni mancate o tardive.

© Giovanni Lamagna

Azioni intempestive ed azioni mancate

Ci sono momenti in cui conviene stare fermi, rinunciare ad ogni azione, in attesa di capire bene come muoversi, cosa fare.

Le azioni intempestive sono altrettanto dannose che le azioni mancate.

© Giovanni Lamagna

L’iperattivismo e la scarsa propensione a cogliere il rapporto tra essere e dover essere.

14 agosto 2015

L’iperattivismo e la scarsa propensione a cogliere il rapporto tra essere e dover essere.

Ci sono due comportamenti o modi di essere molto diffusi, che (a mio avviso almeno) costituiscono un preciso limite della condizione umana prevalente e che meritano perciò una riflessione.

Il primo riguarda il rapporto tra “essere” e “dover essere”. Il secondo una tendenza all’attività (che in alcuni casi diventa persino iperattivismo) che copre un vuoto di senso o una incapacità (o non volontà) di entrare in contatto con se stessi.

Credo che tra i due atteggiamenti ci sia un profondo nesso, anzi che in qualche modo questi due atteggiamenti rappresentino le due facce di una stessa medaglia.

E veniamo alla prima questione, quella che ho definito del rapporto tra “essere” e “dover essere”.

E’ per me scontato che tutti gli uomini, anche i più superficiali, arruffoni e insensibili, in qualche modo si rifacciano ad una morale, cioè ad un quadro di valori cui fanno riferimento nelle loro azioni.

Quindi la dialettica “essere/dover essere” è presente in misura diversa (ma in una qualche misura comunque) in ogni essere umano, forse anche in quelli che siamo soliti definire “bruti” (o quasi bruti).

E però ci sono persone che si vedono agire nel quotidiano, nei singoli comportamenti concreti, come se questa dimensione non esistesse. Agiscono cioè d’impulso, quasi di istinto, senza chiedersi minimamente “ma questa determinata cosa che sto facendo la potrei fare anche in una maniera diversa? in una maniera migliore? esiste un’altra possibilità di agire o quella che sto mettendo in atto in questo momento è l’unica possibile, anzi la migliore possibile?”

Parto dal presupposto che queste persone non ammazzerebbero mai nessuno, non ruberebbero mai manco uno spillo, non tradirebbero la moglie o il marito neanche col pensiero, non mentirebbero mai (in maniera grave, cioè facendo danni a qualcuno).

Voglio dire che sulle grandi opzioni etiche (sulle quali tutta l’umanità, almeno in un determinato contesto storico/culturale ha raggiunto un accordo per così dire unanime) non commetterebbero mai colpe (o “peccati”) gravi.

E però, nonostante ciò, queste persone (che poi sono la maggior parte delle persone) danno l’impressione di non tenere in vista, tenere presente una norma di comportamento che vada al di là del semplice impulso, quello che viene loro più naturale e che suggerisce, quasi in automatico, il loro comportamento.

L’impressione è che queste persone ci tengano ad apparire (anzi ad essere) persone eticamente corrette (anzi, perfino, irreprensibili) ma che non si pongano mai e per niente il problema di affinare, migliorare, elevare la qualità delle loro azioni. Che, insomma, non si pongano (per niente o quasi per niente) il problema della crescita, della evoluzione della loro persona.

Si accontentano di obbedire a delle norme di carattere molto generale e universale (il codice etico prevalente nella società nella quale vivono e sono inserite), ma non si pongono il problema di interiorizzarle, di personalizzarle (e quindi di praticarle poi con un sempre maggiore rigore e una sempre più forte coerenza) o, al limite, di trasgredirle, qualora ne ravvisassero l’inconsistenza o il non fondamento etico/razionale.

La norma è, dunque, per loro qualcosa di estrinseco, di appreso attraverso i modelli educativi, mai messi in discussione. E’ il Super Ego, per usare un’espressione di Freud.

La norma (per queste persone) non fa parte dell’Ego (per usare un altro termine freudiano), non è cioè la norma che si dà l’individuo stesso, certo anche tenendo conto dell’educazione ricevuta, certo tenendo conto della realtà nella quale si trova ad operare, ma, in ultima analisi, sempre in base a sue (più o meno) autonome, personali e libere valutazioni.

Con l’intenzione consapevole e decisa di aderire sempre di più ad un modello di persona ideale, a un suo Ideale dell’Io (per usare un’altra espressione psicoanalitica), su cui uniformare i propri comportamenti e il proprio stile di vita.

Insomma sono persone che non vivono in contatto profondo con se stesse o meglio con l’Altro da Sé, quasi un maestro interiore, che orienti e guidi le loro azioni e le loro scelte.

Ripeto non sto parlando qui di persone immorali o che commettono azioni o vivano secondo modelli di comportamento addirittura contro natura. Sto parlando di persone che vivono all’interno di un quadro eticamente irreprensibile (almeno nelle sue linee generali) e che però non hanno (avuto) dei Maestri (per lo meno non saprebbero indicarli) e non si sono costruite dentro di sé un modello di Uomo o di Donna Ideale, con cui dialogare costantemente (nel loro foro interiore) e a cui chiedere continuamente consiglio e orientamento, da seguire poi il più possibile, momento per momento, nello spirito di una crescita ed elevazione continua del proprio modo di vivere.

Queste persone (ripeto: eticamente non riprovevoli, anzi in alcuni casi persino encomiabili) vivono quasi sempre “fuori”, in una dimensione prevalentemente esteriore o pratica. Trascurano completamente (o quasi) la dimensione del “dentro”, quella interiore, della meditazione e della contemplazione.

Hanno bisogno per questo di stare sempre in attività. Per loro lo “stare fermi” è una perdita di tempo, una noia, qualcosa che li fa sentire come “nudi”, senza bussola e orientamento; o, addirittura, una cosa moralmente indegna, negativa.

In alcuni casi l’attivismo di queste persone diventa iperattivismo. Una malattia speculare alla pigrizia e all’accidia.

Per loro ogni scelta è scontata e non ha bisogno di eccessiva riflessione, soprattutto se riguarda la dimensione intimistica dell’agire (a voler usare un ossimoro), ad esempio le relazioni interpersonali.

Credo (spero) sia diventato chiaro, da queste poche e semplici riflessioni, perché l’iperattivismo e la scarsa propensione a valutare la dialettica tra essere e dover essere siano in qualche modo speculari, vadano di pari passo e d’accordo, siano le due facce di una stessa medaglia.

Giovanni Lamagna