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“Cogito ergo sum” o “dubito ergo sum”?

Cartesio ebbe a dire “cogito ergo sum” (penso, dunque sono).

Ma, per cogitare (pensare) bene, occorre dubitare molto.

Cioè sospendere il giudizio fino a quando il pensiero non giunge a idee chiare e distinte.

Ed anche allora non bisogna smettere di dubitare.

Perché un pensiero “vero” può essere sempre messo in discussione e falsificato (come diceva Popper) da un pensiero ancora più “vero”.

In questo senso “dubito ergo sum” è ancora più vero che “cogito ergo sum”.

Perché il dubbio (certo, non il dubbio paralizzante e nichilista!) è il fondamento stesso del pensiero.

Almeno del pensiero moderno.

Ma, in fondo, anche del pensiero antico, quello più vitale e durato nei secoli, che ancora oggi ha qualcosa da dirci e insegnarci.

Penso a quello di Socrate, Platone, Aristotele; ma, in fondo, anche a quello di un Epicuro, di un Seneca, di un Marco Aurelio.

O, per venire a tempi meno antichi e un po’ più vicini a noi, a quello di un Agostino d’Ippona o di un Tommaso d’Aquino.

© Giovanni Lamagna

Farsi compagnia.

La compagnia è un’ottima cosa.

Soprattutto quando – come consiglia Seneca – è alternata a momenti di solitudine.

Questa, infatti, oltre certi limiti, non è sopportabile, se non dai misantropi, e non fa bene allo spirito; è – possiamo dirlo – una brutta bestia.

“Il farsi compagnia” all’interno di una coppia, quando è tramontata la passione, con i doveri e gli impegni di solidarietà reciproca che questo comporta, è, in fondo, pur sempre una forma di amore reciproco.

Soprattutto quando la cosa è vissuta con consapevolezza e come decisione condivisa.

Ma non è certo l’amore erotico; non ha più niente a che fare con l’amore erotico, che aveva caratterizzato magari la prima fase della relazione di coppia.

E, forse, non è manco l’amicizia, una vera amicizia.

Perché anche l’amicizia, perlomeno la vera amicizia, non è fatta di routine, come lo è quasi sempre il semplice “farsi compagnia”, ma è uno scoprirsi e uno scoprire continui.

© Giovanni Lamagna

Dove andremo a finire dopo la morte?

La risposta migliore alla domanda: “Dove andremo a finire dopo la morte?” l’ha data Seneca: “Dove sono i non nati”.

Come mai ci chiediamo dove andremo a finire dopo che saremo morti e non ci chiediamo da dove siamo venuti quando siamo nati.

In fondo, a pensarci bene, c’è lo stesso mistero dietro a entrambe le domande.

© Giovanni Lamagna