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Tabù e sensi di colpa.

Ci sono donne che, invece di esserne gratificate, sono addirittura infastidite dalla libido dei loro partner, quando questa si manifesta come particolarmente vivace e fantasiosa.

Ciò è dovuto al fatto – con tutta evidenza – che essa le costringerebbe, se fosse da loro condivisa, a fare i conti fino in fondo con l’educazione sessuale, più o meno repressiva, ricevuta da bambine, e con i tabù che ne sono conseguiti.

Cosa che, invece, non sono disposte a fare, perché smuoverebbe troppi equilibri che non vogliono mettere in discussione e scatenerebbe sensi di colpa per loro insopportabili.

Per cui preferiscono rincantucciarsi in una sessualità di routine anziché godere di una sessualità sfavillante ed effervescente che sarebbe del tutto alla loro portata.

Quello che ho appena scritto qui vale ovviamente (lo dico subito, ad evitare malintesi e prevedibili accuse di maschilismo) anche per l’altro sesso.

Vale cioè anche per molti uomini nei confronti delle “loro” donne, laddove queste manifestassero una sessualità particolarmente spigliata e disinvolta.

© Giovanni Lamagna

La parabola dei rapporti di coppia.

Ad un certo punto succede (non in tutti, ma di certo nella grande maggioranza dei rapporti di coppia) che uno dei due o (ancora più spesso) tutti e due i membri della coppia si “siedano”, come se fossero giunti ad un approdo terminale, definitivo.

Per molti questo approdo coincide col matrimonio; quindi viene raggiunto abbastanza presto nella storia del rapporto, considerato che, in genere, ci si sposa dopo due o tre anni dal momento in cui si decide di “mettersi assieme”.

A questo punto i due diventano del tutto prevedibili l’uno per l’altro e, quindi, scontati; la loro relazione acquista pertanto i colori della malinconica monotonia.

Il rapporto, ovviamente, perde la brillantezza degli inizi, si opacizza; i partner cominciano col parlarsi di meno, continuano via, via col parlarsi sempre di meno e, infine giungono a non parlarsi proprio più.

Nella migliore delle ipotesi parlano di tante cose – degli altri, dei fatti che accadono, delle cose che li circondano, magari e perfino di arte, di filosofia, di scienza, di politica – ma non più di sé stessi.

Quando accade questo, per me il rapporto è psichicamente, spiritualmente, anche se non fisicamente, materialmente, morto.

Tra i due membri di una relazione c’è poi, spesso, se non sempre, chi a questa “morte” si rassegna, dandola per inevitabile e scontata, quasi fosse un esito naturale, fisiologico.

In certi casi entrambi sposano questa rassegnazione e in questo modo la relazione trova un nuovo equilibrio, basato su un tacito accordo, da entrambi condiviso: evitare ogni comunicazione profonda, davvero intima.

Il rapporto può, in questo modo, durare fino a che morte non li separi.

Altre volte, invece, tra i due c’è chi a questa “morte” non si rassegna e scalpita.

O facendo continue richieste (implicite o esplicite) all’altro di cambiamento, di rinnovamento; quasi sempre, però, inutili e fallimentari.

O/e cercando il cambiamento fuori, in un altro rapporto.

In questo caso il membro della coppia che cerca il cambiamento viene considerato il traditore del rapporto: lascio giudicare a voi con quale logica e fondatezza.

Conclusione: per mantenere vivo un rapporto non bisogna mai dare niente per scontato, bisogna continuamente stupire l’altro/a, presentandosi ai suoi occhi come una persona sempre nuova.

Tutto questo esige, ovviamente, cura, attenzione, dedizione, ma io dico soprattutto fantasia e creatività; immaginazione, come diceva Hillman.

Ad alcuni (anzi, forse, ai più) questo può risultare troppo faticoso; per cui viene spontaneo chiedersi, consciamente o inconsciamente: ne vale la pena?

A questa domanda io non ho dubbi nel rispondere: sì, ne vale la pena!

Sarà pure (anzi, è) faticoso, ma è anche l’unico modo per mantenersi vivi.

Non tanto o non solo per mantenere vivo, vitale il rapporto, ma per tenersi vivi come persone, come singole individualità.

L’alternativa è appassire come individui e contribuire, di conseguenza, per la propria parte, all’appassimento inesorabile della relazione di coppia.

© Giovanni Lamagna