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Dio condanna Adamo (Genesi 3, 17 – 3, 19)

23 ottobre 2015

Dio condanna Adamo (Genesi 3, 17 – 3, 19)

3,17 Ad Adamo disse: «Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dall’albero circa il quale io ti avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita.

3,18 Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l’erba dei campi;

3,19 mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai».

La cosa che più colpisce nel versetto 3,17 sono le due motivazioni con cui Dio condanna l’uomo.

La prima è “… hai dato ascolto alla voce di tua moglie…”, che sembra dirci (plateale maschilismo!): l’uomo non deve dare ascolto alla voce di sua moglie; questa cosa è riprovevole di per sé.

La seconda (ma solo seconda) è “…hai mangiato del frutto dell’albero circa il quale ti avevo ordinato di non mangiarne”. Qui Dio richiama anche l’uomo alla sua responsabilità, ma solo in seconda battuta rispetto alla donna. Anche questa chiara manifestazione di maschilismo!.

La pena a cui è condannato l’uomo consiste essenzialmente nel conflitto che viene a stabilirsi da questo momento in poi tra lui e la natura. L’armonia originaria si è rotta.

Il giardino dell’Eden fino ad allora produceva solo frutti buoni, d’ora in poi la terra produrrà erba (e piante), ma anche spine e rovi.

Il giardino dell’Eden produceva da solo, spontaneamente i suoi frutti e l’uomo poteva cibarsene senza fatica; da ora in poi l’uomo potrà procurarsi il cibo per sostentarsi solo a costo di una dura fatica.

Nasce qui il concetto di lavoro, anzi del lavoro come condanna.

In questa ottica il lavoro non ha niente a che fare con la creatività e con la realizzazione dell’uomo, né tantomeno con la sua socializzazione. E’ solo “affanno” e “sudore”.

Ma, anche qui, trattasi di condanna definitiva e irreversibile? A giudicare dalla evoluzione che ha avuto la storia, non sembra.

Certo, per molti uomini, per la maggior parte di essi purtroppo, il lavoro è ancora solo una condanna, è principalmente “affanno” e “sudore”.

Ma per quanti uomini (anche se, purtroppo, ancora solo una minoranza) esso è diventato invece l’occasione privilegiata per socializzare con gli altri loro simili e, perfino, occasione per realizzare ed esprimere le loro doti creative.

Ci sono buoni motivi per credere che in futuro il lavoro diventerà sempre meno “affanno” e “sudore” e sempre più occasione di crescita umana e spirituale per l’uomo e per le comunità nelle quali egli si troverà a vivere.

E che quindi anche questa condanna divina verrà meno del tutto o, quantomeno, risulterà alleviata.

(12, continua)

Giovanni Lamagna

Dio, l’uomo, la natura, l’anima. (Genesi 2,7 – 2,8)

8 settembre 2015

Commento a Genesi 2,7 – 3,24 (fonte CEI Nuova Riveduta)

Il racconto di Genesi 2,7 – 3,24 è di un grandissimo fascino: ricco di metafore e di simbolismi, di grande valore storico e, ancor prima, antropologico, forse il più bello che sia stato mai scritto sui primi passi della vita dell’uomo su questa terra.

Voglio avventurarmi nella sua meditazione, senza nessuna pretesa esegetica (per la quale non ho le competenze) ma con l’animo semplice dell’uomo di media cultura che intende confrontarsi con uno dei testi più famosi e importanti della storia dell’umanità e raccoglierne le risonanze (emotive e intellettuali) che ne riceve, provando a restituirle a coloro che vorranno leggerle.

A me interessa evidenziarne soprattutto le parti che riguardano il rapporto uomo/donna, quello con la loro corporeità, l’atto della disobbedienza e i sensi di colpa che ne derivano. E farci una riflessione che mi appare oltremodo intrigante.

Ma non mancherò di soffermarmi anche sulle altre parti del testo che mi sembrano tutte ugualmente stimolanti.

Per non appesantire troppo la riflessione la dividerò in tappe o puntate o capitoletti, che dir si voglia, dando ad essi un titolo a seconda dell’argomento o degli argomenti prevalenti che vi saranno affrontati.

…………………………

Dio, l’uomo, la natura, l’anima. (Genesi 2,7 – 2,8)

“2,7 Dio il SIGNORE formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente”.

Questo versetto ci dice che l’uomo è della stessa natura della terra (in un altro punto della Bibbia Dio ricorda all’uomo “polvere sei e polvere ritornerai”) e allo stesso tempo la trascende, ha un qualcosa in sé (comunemente chiamato “anima”) che lo rende diverso dalle altre cose della terra.

A mio modo di vedere è improprio definire questo qualcosa “vivente”, quasi che le altre realtà della terra (minerali, vegetali e animali) non lo fossero. E tuttavia è indubbio che l’uomo abbia in sé qualcosa (un “anima”?), che lo rende diverso da tutte le altre creature, comprese gli animali, ai quali lo accomuna il genere.

Resta da definire in cosa consista questa diversità. E a tale proposito il racconto biblico offre interessanti spunti di riflessione. Che esamineremo in seguito.

“2,8 Dio il SIGNORE piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato.”

Questo versetto ci dice che l’uomo nasce in un determinato contesto, che gli è proprio, congeniale: la natura che lo circonda è “un giardino”, non un deserto o un ghiacciaio.

Le condizioni di vita più favorevoli all’uomo sono, quindi, quelle dove sono presenti gli alberi, le piante, i fiori. Dunque: un giardino.

Ciò crea un nesso inscindibile tra la vita dell’uomo (che pure possiede un’anima) e il mondo dei vegetali (che, a detta del racconto biblico, quest’anima non la possiede).

Ed evidenzia una prima contraddizione di questo racconto: come mai un essere vivente, dotato di anima, ha bisogno (per vivere, anzi per sopravvivere) di creature che di anima non sono dotate?

Forse la distanza (nel senso della gerarchia dei valori) tra l’uomo e le piante non è poi così profonda come il racconto biblico (già qui, ma soprattutto in seguito) cercherà di farci credere.

Resta da capire perché Dio piantò il giardino dell’Eden a oriente. Non ho gli strumenti esegetici per dare una risposta a questa domanda. Vado a intuito e mi do la seguente risposta: forse perché da oriente sorge il sole, che è il simbolo della vita; in questo senso l’oriente è metaforicamente il luogo da cui nasce la vita.

(1 – continua)

Giovanni Lamagna