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La psicoterapia non è un ballo di gala.
Lo confesso, mi danno su ai nervi quegli psicoterapeuti che ai loro pazienti, a prescindere dal tipo di problemi che questi presentano loro, dicono sempre: “Va tutto bene! Sei tutto ok!”
Alla Eric Berne, per intenderci; anche se Eric Berne con queste espressioni, francamente banali, forse non voleva intendere quello che poi molti (fraintendendolo) hanno inteso leggendo i suoi libri.
Questi psicoterapeuti, infatti, mi fanno pensare ad un oncologo che, di fronte ad un paziente con un carcinoma, gli dicesse: “Non ti preoccupare, stai bene, va tutto bene!”; e lo rimandasse a casa, tranquillo e sereno, senza prescrivergli alcuna terapia, né tantomeno prendere in considerazione un intervento chirurgico.
Sappiamo tutti a quale sorte crudele sarebbe fatalmente destinato un paziente che si rivolgesse ad un oncologo che si comportasse così.
D’altra parte, se io vado da uno psicoterapeuta, non sto certo bene, non sto certo ok! Altrimenti che ci andrei a fare?
Allora che senso ha che lo psicoterapeuta, al quale mi rivolgo, mi rassicuri dicendomi: “Stai bene! Va tutto ok!”?
Se non soffrissi di qualche disturbo psichico, più o meno grave, se non vivessi dei conflitti irrisolti, se quindi stessi realmente bene, mica andrei in psicoterapia?
Se non altro per i costi che comporta: mi risparmierei volentieri il tempo e il denaro che essa mi richiede.
Ora con questo non sto dicendo affatto che uno psicoterapeuta dovrebbe intimorire e scoraggiare il suo paziente ancor prima che egli inizi un percorso terapeutico, prospettandogli un quadro disastroso e insanabile della sua situazione psichica.
Allo stesso modo che un oncologo non deve/non dovrebbe certo “tramortire” psicologicamente con una diagnosi senza speranze il suo paziente.
E, anche quando la diagnosi fosse tale, certo anche un oncologo deve/dovrebbe saperla comunicare al paziente coi modi e il tratto giusto, dimostrandogli empatia, vicinanza e calore umano.
Ma una cosa è non atterrire, anzi incoraggiare il proprio paziente, fargli sentire la propria vicinanza e il proprio sostegno, altra cosa è dargli un quadro falso, non realistico, delle sue condizioni (fisiche o psichiche, qui fa poca differenza) illudendolo.
In altre parole e per concludere, io penso che uno psicoterapeuta bravo e competente dovrebbe, come suo primo compito, aiutare il suo paziente a prendere consapevolezza dei suoi problemi e a metterli a fuoco, per poterli affrontare adeguatamente e provare a risolverli.
Non dovrebbe, quindi, banalizzarli, con la malintesa idea di dare in questo modo sostegno e conforto al paziente, che giunge da lui sofferente, disorientato e confuso; un sostegno e un conforto che ben presto si rivelerebbero inadeguati, se non addirittura controproducenti e dannosi.
Allo stesso tempo dovrebbe essere empatico e incoraggiante nella giusta misura, affinché il paziente trovi la forza e il coraggio, le risorse in sé stesso (se le ha), di assumersi le sue responsabilità di fronte alle scelte di cambiamento che inevitabilmente in un percorso terapeutico dovrà compiere.
Nessuna persona, infatti, “guarisce”, nel senso che riesce ad affrontare e in una qualche misura almeno a risolvere i suoi problemi, se non attua dei cambiamenti nella sua vita, se non imbocca strade nuove, abbandonando quelle vecchie che con tutta evidenza gli hanno causato problemi e quindi sofferenze.
Come diceva Albert Einstein, “non si può risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che l’ha generato”; qui Einstein si riferiva al pensiero matematico e scientifico.
Ma lo stesso paradigma – io penso – può essere applicato anche alla vita psichica: non si possono risolvere problemi di natura interiore e psicologica, se non si è disposti a modificare l’ottica, il punto di vista, i comportamenti e lo stile di vita che li hanno generati.
In altre parole, se non si è disposti a fare delle scelte di cambiamento, a volte anche molto profonde, persino radicali.
Questo, ad un certo punto del loro percorso a due, un bravo e competente terapeuta dovrebbe dirlo o, meglio, rappresentarlo, in maniera più o meno esplicita, al suo paziente per metterlo di fronte alle sue responsabilità.
Senza eccessive compiacenze e diplomatismi; senza addolcire inutilmente le pillole che il suo paziente dovrà necessariamente (anche se solo metaforicamente) ingurgitare.
© Giovanni Lamagna
Passaggio d’epoca.
Oggi ci troviamo di fronte a un passaggio epocale; simile a quello che significò il passaggio dal Medioevo al Rinascimento.
Allora l’Europa oltrepassò i suoi confini e si scoprì un piccolo continente del pianeta Terra.
Oggi il pianeta Terra ha varcato i suoi confini e si è lanciato nello Spazio: ha scoperto così di essere un piccolissimo frammento dell’Universo.
Questo cambia completamente l’ottica con la quale gli uomini guardano a sé stessi e al mondo.
Forse molto di più di come cambiò quella dell’uomo rinascimentale con la scoperta delle Americhe.
© Giovanni Lamagna