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Svuotare la mente e liberarla dai desideri?

Per me – al contrario di quello che sostiene la cultura un tempo egemone nel lontano Oriente – non si tratta di “svuotare la mente, liberarla dal desiderio…”, come ci ricorda ancora oggi Byung-Chul Han nel suo “Il profumo del tempo” (pag. 69).

Io ritengo, infatti, che sia impossibile svuotare la mente dai suoi pensieri. Anche volendolo.

Cercare di farlo, quindi, come ci suggeriscono gli orientali, è un tentativo vano.

La mente, infatti, è i suoi pensieri. Per eliminare i pensieri bisognerebbe eliminare la mente. Cosa impossibile! Perché l’uomo è non solo mente, ma anche mente, non solo pensieri, ma anche pensieri.

Per eliminare mente e pensieri bisognerebbe dunque eliminare l’uomo stesso, uccidendolo o costringendolo a suicidarsi.

L’uomo può, tutt’al più, far fluttuare i pensieri, non inseguirli per metterli immediatamente in una sequenza logica, come di solito è abituato a fare in nome del primato della ragione su tutte le altre dimensioni della psiche.

Può farli galleggiare liberamente come palloncini che si librano nell’aria, in un gioco di libere associazioni, che generano altri pensieri e, soprattutto, emozioni, sentimenti, intuizioni, nuove visioni prospettiche.

E questo può essere sicuramente un modo creativo di utilizzare la mente e i pensieri: è l’esperienza della contemplazione, dell’arte e quella della psicoanalisi.

E, però, mai e poi mai l’uomo potrà liberarsi totalmente dei pensieri, svuotare totalmente la mente, come pretenderebbe un certo pensiero orientale.

…………………….

Ancora di più è vano, anzi è insano, liberare la mente dai desideri.

Il desiderio, infatti, – lungi dall’essere un male, fonte addirittura dell’infelicità umana, come sostiene un certo pensiero orientale, ad esempio il buddhismo – è forza vitale, è energia, è sangue che scorre nelle vene della vita psichica.

Spegnerlo avrebbe come effetto quello di togliere linfa alla vita stessa.

Si tratta, semmai, di coordinare i desideri, spesso contraddittori tra loro, di incanalarli, per non disperdere in mille rivoli la loro energia, di dare loro una direzione unitaria, laddove essi affiorano in noi il più delle volte senza un progetto coerente.

E si tratta soprattutto di aver coscienza del limite, quella che Lacan chiama “legge della castrazione” e, prima di lui, Freud aveva definito “principio della realtà”.

Non tutti i nostri desideri, infatti, potranno avere immediata soddisfazione, non tutti i nostri desideri potranno essere pienamente realizzati.

Ma, se quanto sopra è vero, è altrettanto vero che solo attraverso i desideri noi possiamo scoprire prima e trovare la forza poi di realizzare il nostro daimon, cioè il destino per il quale un giorno siamo venuti al mondo.

Aveva ancora una volta ragione, dunque, Lacan a sostenere che il peccato maggiore per ognuno di noi è quello di tradire “il proprio desiderio”. Altro che liberare la mente dai desideri!

Perché senza desideri la nostra vita è destinata tristemente a spegnersi. Come sanno bene i depressi, per i quali nessun desiderio ha valore, nessun desiderio anima e dà senso alla loro vita.

Per cui essi vivono (fisicamente) ma come se fossero morti (psichicamente).

Giovanni Lamagna