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L’autostima personale implica la svalutazione degli altri?

Sono molti gli uomini (e le donne) che per elevare ed apprezzare sé stessi hanno bisogno di abbassare e disprezzare gli altri.

Come se il loro valore non avesse fondamento in sé, sulle proprie qualità, ma sull’oggettivo scarso valore o la soggettiva svalutazione degli altri.

Come se non si potesse avere stima di sé e allo stesso tempo riconoscere (almeno quando c’è) il valore degli altri.

In altre parole (come dice un noto proverbio napoletano) a molti uomini (e donne) “piace fà ‘o gallo ‘ncopp’ a mmunnezza” (“piace fare il gallo sopra la monnezza”).

© Giovanni Lamagna

Innamoramento e autostima.

Non ci sono dubbi: se e quando qualcuno/a si innamora di noi (ovviamente qualcuno/a che ci piace, qualcuno/a da cui, a nostra volta, siamo attratti) la nostra autostima lievita, in qualche caso addirittura sale alle stelle.

Al contrario, quando nessuno è innamorato di noi, quando nessuno è particolarmente attratto da noi, la nostra autostima langue, patisce, è depressa.

La nostra autostima, però, soprattutto ad una certa età, non dovrebbe più dipendere da questo tipo di esperienza.

Dovrebbe essere uno stato d’animo in noi consolidato, stabilizzato, non più soggetto all’influenza decisiva dell’innamoramento di qualcuno/a nei nostri confronti.

Il dongiovanni, invece, è proprio colui che ha bisogno di fare innamorare di sé le altre, quante più altre è possibile, per avere continue conferme della sua autostima, che evidentemente in lui è molto debole, fragile, precaria.

© Giovanni Lamagna

Il narcisismo buono

Talvolta l’autostima e l’assertività vengono confuse e identificate semplicisticamente col narcisismo.

E’ del tutto sbagliato.

Perché la mancanza di (o la scarsa) considerazione di sé non sono affatto una cosa buona e giusta, ma, semmai,, un limite, una debolezza del nostro carattere..

Da questo punto di vista potremmo arrivare a dire che non esiste solo un narcisismo cattivo, ma anche un narcisismo buono.

L’assenza in noi del narcisismo buono, dunque, non è affatto una virtù, ma semmai un difetto.

Giovanni Lamagna

Due personalità.

In ognuno di noi ci sono – come ha raccontato di sé Jung – due personalità.

Una che vive alla luce del sole, quella sociale, che appare all’esterno, quella che tutti vedono, riconoscono e in base alla quale si formano un giudizio su di noi.

E un’altra, più intima e profonda, che vive nell’ombra, nascosta, quasi invisibile e che affiora, trapela, traspare solo di tanto in tanto.

Questa seconda personalità è in genere del tutto ignorata dagli altri e molte volte non è nota manco a noi stessi. Facciamo fatica a riconoscerla come parte del nostro Sé e spesso la rimuoviamo o reprimiamo, perché ci appare destabilizzante; e, quindi, pericolosa.

Compito, però, della seconda parte della vita – se vogliamo raggiungere quel poco (o molto) di felicità (o, quantomeno, di realizzazione) che ci tocca – è quello di portare alla luce del sole anche la personalità che, soprattutto nella prima parte della vita (di solito durante l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza), è in ombra. E unirla, anzi possibilmente fonderla, con quella che sin dall’inizio era sulla scena.

Insomma, compito della vita è quello di unificarsi, laddove, almeno inizialmente, la maggior parte degli uomini è divisa, scissa.

La realizzazione di questo compito non è, però, scontata, automatica. Può essere solo il risultato di una scelta, di una decisione. Cui devono seguire e accompagnarsi poi la capacità di metterle in atto, quand’anche fossero prese.

Capacità di cui non sempre la natura e l’ambiente in cui nasciamo e cresciamo ci dotano adeguatamente.

Per cui spesso questo compito viene fallito. Allora per tutta la vita di noi appare solo la maschera. Non il volto vero.

In questo modo molti di noi si illudono di apparire migliori di quello che sono. In realtà tradiscono la loro vera natura, che è sempre migliore di qualsiasi maschera.

Vengono ingannati dalla mancanza di fiducia in sé stessi, dalla carenza di autostima.

Giovanni Lamagna